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scarantino-maschera-serpubdi Pippo Giordano - 31 gennaio 2014
Non entro nel merito dell’arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto dopo la sua “poco utile” testimonianza al programma “Servizio Pubblico”.

Qualcuno, stamani, mi ha chiesto se l’arresto fosse collegato alla sua presenza nello studio televisivo. Nulla di tutto questo: appare evidente che si tratta di una vicenda giudiziaria. L’unica cosa che m’incuriosisce è conoscere la data del provvedimento restrittivo.

Vorrei, invece, parlare della puntata di Michele Santoro. È innegabile che un conduttore televisivo non possa e non debba sostituirsi alla magistratura. Ieri sera, tuttavia, Santoro aveva l’opportunità di spronare Vincenzo Scarantino: laddove ha detto chiaramente che, oltre ai nomi citati, ce n’è un altro che non “può fare”.

Qui Santoro, a parer mio, si è lasciato sfuggire il carpe diem. Era necessario e utile che il signor Vincenzo Scarantino dicesse quel nome, altrimenti siamo nuovamente nel limbo delle falsità.

Per il resto, Scarantino non ha assolutamente aggiunto nulla di nuovo rispetto alle notizie pregresse. Ovviamente, resta il disgusto e di questo occorre che i soloni del negazionismo della trattativa Stato mafia se ne rendano conto: in via D’Amelio è stato compiuto il più grosso depistaggio della Storia di questo Paese.

Affermare il contrario vuol dire non concedere la pace eterna ai nostri martiri di via D’Amelio, oltre che non dare giustizia ai viventi.

L’operazione Vincenzo Scarantino, da qualsiasi angolazione si guardi, appare ignobile e terrificante: pensare che qualcuno possa avere vigliaccamente mestato nel sangue innocente di Palo Borsellino, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Agostino Catalano e Emanuela Loi per indicibili fini, mi fa star male.

E mi rendo conto ancor di più che la mia vita professionale sia stata violentata e ferita da individui appartenenti allo Stato, che di tutto hanno fatto all’infuori del proprio dovere Istituzionale.

Quando in passato ho scritto che lo Stato, nel suo complesso, ha la responsabilità oggettiva di tutte le vittime della violenza mafiosa, l’ho detto a ragion veduta e via D’Amelio rappresenta l’evidenza del mio assunto. Io non posso, in mancanza di elementi di fatto, affermare che il defunto Arnaldo La Barbera e altri appartenenti alla Polizia di Stato siano stati coloro che hanno indottrinato con la tortura lo Scarantino.

Però, invero, mentre La Barbera non potrà difendersi, ci sono altri che avrebbero dovuto dire la verità. E, in ogni caso. il tutto non può essere circoscritto ai soli funzionari di Polizia.

Comunque sia, il programma di Santoro mi ha proiettato nel passato, facendomi rivivere complesse attività investigative, come quelle del pedinamento e successiva cattura di Orofino e Profesta, quest’ultimo indicato quale autore della strage di via D’Amelio, condannato all’ergastolo e poi scagionato dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza.

Sono stati fatti altri nomi di uomini d’onore, come i Vernengo, Aglieri, Gioè, che sono stati i principali obiettivi durante le mie indagini a Palermo: quante intercettazioni e pedinamenti!

Per chiudere, vorrei ricordare un episodio.

Il dottor Arnaldo La Barbera, alla fine degli anni Ottanta, con una telefonata, mi convoca al Viminale per comunicazioni personali.

Raggiungo Roma e appena davanti al Ministero vedo affacciati alla finestra il capo della Polizia Parisi - ero stato in quell’ufficio – e La Barbera, che mi fa cenno di attenderlo.

Dopo una stretta di mano, ci rechiamo in un vicino ristorante: io ero col mio autista, invitato a sedersi da La Barbera in un altro tavolo.

Durante il pranzo, La Barbera mi dice che Parisi m’invita a scegliere il personale che voglio per costituire “una squadra” per operare in maniera riservata a Palermo e non organica alla Mobile.

«No, grazie», rispondo e non ci siamo mai più incontrati.

Tratto da: cronopolitica.it

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