Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

via-damelio-web0di Pippo Giordano - 5 novembre 2013
Mi ero appena rinsavito ed ecco che la strage di Capaci mi fece di nuovo sprofondare nel regno ipogeo. Le ferite lancinanti per aver perso i miei migliori amici erano li a testimoniare tutta la mia fragilità di uomo. La morte di Lillo, Roberto, Beppe, Ninni e Natale (tutti miei colleghi della Mobile palermitana) squarciarono la mia anima, non ero più io e giunsi a rinnegare il mio lavoro di contrasto contro Cosa nostra. No! Era davvero troppo. Dopo aver visto i cadaveri di Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici m'ero convinto che questo Paese era un Paese di ciechi e sordi: una Nazione variopinta in mano ad imbelli soggetti che la governavano ad uso e consumo privato e non nell'interesse supremo del Popolo. E quando dopo qualche anno la mia anima cominciava a quietarsi, quando la mia mente riacquistava, seppure parzialmente, il discernimento del bene sul male, ecco che una telefonata mi fece ripiombare nuovamente nell'agone tra me e la mafia. Dovevo assistere Giovanni Falcone agli interrogatori di un nuovo pentito di Cosa nostra, del quale conoscevo ogni minuzia della sua vita. 'Presente', risposi! Non potevo rifiutarmi, i miei Amici andati non avrebbero capito il mio diniego colmo di solitudine e dramma. Ripresi la disputa contro Cosa nostra, con maggior vigore di prima. Conclusi il mio lavoro e salutai Falcone, per abbracciarlo dopo qualche mese in occasione di un altro interrogatorio.

Poi calò di nuovo la mia apatia contro le cose mafiose: m'ero assopito e Cosa nostra non era più nei miei progetti, quando un omicidio eccellente mi catapultò di nuovo a Palermo: era stato assassinato l'on. Lima. Eppoi il 23 maggio: giorno maledetto che cambiò per sempre la mia vita, sino a peggiorarla il 19 luglio. In quella domenica assolata di luglio mentre ero sulla spiaggia romagnola, la ridda di voci di vacanzieri mi fece sobbalzare fermando il mio respiro: “Hanno ucciso un giudice a Palermo con un'autobomba”. Non volevo crederci e nel mentre i palpiti del mio cuore aumentavano, il telefonino squillava ma non risposi: sapevo già chi era il Giudice, lo avevo abbracciato due giorni prima, venerdì. Lasciai la spiaggia con sopra tutti i miei sogni e da quel giorno smisi di sognare. I sogni condivisi senza nemmeno proferire parola, erano gli obiettivi che ci prefiggevamo: erano sogni alla portata di mano, sogni che potevamo realizzare se avessimo avuto al nostro fianco persone oneste. Se avessimo avuto politici di prestigio o politici moralmente integerrimi e non collusi che s'incontravano coi mafiosi mentre la morte spadroneggiava tra poliziotti, carabinieri e magistrati. Vigliacchi e maledetti! Barattarono la conferma del loro potere col sangue degli innocenti. Una folta schiera di personaggi di dubbia moralità, sono moralmente e non solo, responsabili della morte di onesti Uomini dello Stato.
Smisi di sognare e vidi con nitidezza i vari attori travestiti con abiti istituzionali che ancora oggi puzzano di compromesso e promiscuità coi boss mafiosi. Ci fu persino il ministro Mancino che candidamente dichiarò di non conoscere Paolo Borsellino e di non averlo mai incontrato, salvo poi rettificare. Una dichiarazione davvero inquietante, visto che Paolo Borsellino, insieme a Giovanni Falcone, aveva istruito il maxi-processo di Palermo. Eppoi, tutti i mass media, avevano dato risalto all'incarico di Borsellino per la strage di Capaci. Solo lui non lo conosceva, allora mi chiedo: come poteva Mancino fare il ministro dell'Interno se non era in grado di conoscere la realtà del Paese? E che dire degli esemplari individui che vigliaccamente affondarono le proprie mani nel corpo martoriato di Paolo Borsellino per rubargli l'Agenda rossa? Ieri ho scritto: "Nessuna mano violenta potrà mai fermare la mia sete di verità sulle stragi mafiose del 92/93. Se ciò dovesse accadere, altri continueranno ad avere sete ed è questa la forza che mi consente di urlare: Giustizia per i nostri caduti. Quando otterrò Giustizia, ricomincerò di nuovo a sognare".

Tratto da: 19luglio1992.com

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos