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garofalo-lea-webdi Marika Demaria - Narcomafie - 1 ottobre 2013
Le motivazioni della sentenza sul delitto Garofalo, l’articolo della giornalista di Narcomafie, Marika Demaria/// -
Denise Cosco l’aveva chiesto con forza, quel 29 maggio 2013: “Voglio che i funerali di mia mamma siano celebrati a Milano. Perché in questa città è stata uccisa, perché questa città si è costituita parte civile nel processo, perché la cittadinanza si è mobilitata”. E così sarà. Il 19 ottobre, nel capoluogo lombardo saranno celebrati i funerali di Lea Garofalo (foto). Per l’occasione, “Libera” ha chiesto ai vari territori di partecipare – in maniera responsabile e sobria – e il coordinamento regionale lombardo ha lanciato la campagna “Io VEDO. Io SENTO. Io PARLO. E tu, da che parte stai?”

La giovane testimone di giustizia era sicuramente dalla parte della giustizia, della salvaguardia dei valori. Dalla parte delle denuncia. Per questo ha pagato con la vita, il 24 novembre 2009. Quando il suo ex compagno Carlo Cosco ha predisposto e fatto attuare la sua vendetta. Quando l’ha fatta salire sulla propria auto, dopo che si erano dati appuntamenti all’Arco della Pace a Milano, e l’ha accompagnata nell’appartamento di un suo amico. Lì, come hanno scritto i giudici della seconda sezione della Corte di Assise d’Appello di Milano, “mancano certezze in ordine alle concrete modalità esecutive dell’omicidio”. Due versioni. Diametralmente opposte. Che cancellano la prima, sancita dalla corte di Assise il 30 marzo 2012, secondo la quale Lea Garofalo fu sequestrata, torturata, uccisa con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo sciolto nell’acido.

Carmine Venturino – uno dei sei imputati condannati in primo grado all’ergastolo – nel corso dell’estate dello scorso anno ha deciso di collaborare con la giustizia, asserendo che la sua decisione è frutto dell’amore che nutre nei confronti di Denise Cosco, la figlia di Lea Garofalo. Tra i due giovani, dopo la scomparsa della donna, era nata una simpatia. Denise non poteva sospettare che lui fosse uno degli aguzzini di sua madre e che suo padre lo avesse “assoldato” per controllarla. Nel febbraio 2010, la drammatica e duplice scoperta.

Venturino racconta dunque la sua verità dei fatti. E cioè che Lea Garofalo è stata accompagnata da Carlo Cosco in un appartamento di proprietà della nonna di un suo amico, Massimiliano Floreale. Qui è stata prima picchiata e poi strangolata con un laccio verde utilizzato per legare le tende delle finestre. E che intorno alle 19.15 Carlo Cosco e il fratello Vito Cosco sono usciti dall’appartamento, hanno raggiunto Venturino e gli hanno chiesto di andare su per pulire. Poi, sempre secondo il giovane pentito, la donna è stata posizionata in uno scatolone, caricata su un furgone e trasportata a San Fruttuoso. Il suo esile corpo è stato dato alle fiamme “finché non rimase che cenere”.

Poi c’è la versione di Carlo Cosco, che in aula di tribunale, durante il secondo grado, si è assunto la responsabilità dell’omicidio di Lea Garofalo, a cui le ha tolto la vita “in preda a un raptus”. La scena del delitto – l’appartamento – rimane invariata, ma cambia un attore. Secondo la versione del padre di Denise, insieme a lui non c’era il fratello ma proprio Venturino, che per tutto il tempo ha assistito, quasi in trance, alla scena. Che Cosco dipinge come un momento di follia: lui e Lea Garofalo che hanno una discussione, la donna che lo aggredisce verbalmente, e lui che reagisce colpendola. La donna cade, sbatte la testa sul divano e muore. Poi Carlo se ne va, affidando ad altri il compito di mettere a posto e di sbarazzarsi del cadavere.

Come si evince dalle carte, “se da un lato la versione di Cosco risulta per più aspetti incoerente e dettata da esigenze autodifensive, quella del Venturino non si presenta maggiormente credibile”. Per quanto riguarda la versione di quest’ultimo, la Corte non vi aderisce in toto “non solo per la tardività della sua scelta collaborativa, né per la prospettiva di benefici premiali che l’ha verosimilmente indotta, quanto per le intrinseche contraddizioni che la connotano in alcuni punti salienti, quali il numero e l’identità di tutti i partecipi, e per la troppa ostentata sicumera nel contrapporsi ai Cosco”.

Riguardo invece alla posizione di Carlo Cosco, “il raptus non si spiega alla stregua delle ragioni che l’avrebbero determinato. Non va dimenticato, infatti, che a Campobasso, a fronte degli agiti di Lea ben più pesanti delle mere parole, l’imputato è rimasto impassibile, mostrano una non comune capacità di autocontrollo; al contrario, nell’appartamento di piazza Prealpi, a fronte di una mera minaccia verbale (…) Cosco avrebbe perso la testa, dando sfogo ad un’esplosione di rabbia e violenza bestiali tradottasi nell’atterramento della donna con pugni e nello sbatterle la testa contro il pavimento fino ad ucciderla”.

Cosa sia realmente accaduto tra le 19 e le 19.30 del 24 novembre 2009, non è ancora stato dimostrato. Il secondo grado ha parzialmente riformato la sentenza di Assise, riconoscendo una “logica difensiva” atta a “una riduzione del danno”. Sia la versione di Carlo Cosco sia quella di Venturino negano qualsiasi coinvolgimento di Massimo Sabatino e Giuseppe Cosco nella vicenda. Quest’ultimo infatti è stato assolto in secondo grado da qualsiasi accusa, ma sta attualmente scontando una pena di dieci anni per traffico di droga.

Anche Carmine Venturino ha avuto una riduzione di pena: dall’ergastolo a 25 anni, con le attenuanti generiche. Per tutti gli altri imputati è confermato l’ergastolo. Non si può affermare che Carlo Cosco abbia assassinato Lea Garofalo, ma che sia il mandante dell’omicidio. Non si può parlare di appartenenza alla ‘ndrangheta: non vi sono accuse per 416 bis, l’aggravante dell’articolo 7 non fu richiesta fin dall’inizio.

Ma si può affermare con forza che Lea Garofalo, i cui resti sono stati ritrovati in un tombino a San Fruttuoso grazie alle rivelazioni di Carmine Venturino, potrà avere un funerale e una degna sepoltura. Si può affermare che Lea è, per la società, una vittima della mafia e una donna coraggiosa che si è contrapposta alla ‘ndrangheta. Si può affermare che Denise ha raccolto l’eredità morale ed ideale della madre. Si può affermare che la volontà è di partecipare in tanti ai funerali della giovane donna, il prossimo 19 ottobre. Per ricordare. E per essere ancora una volta vicini a una madre e una figlia che hanno avuto la forza di ribellarsi alla criminalità.

Tratto da: liberainformazione.org

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