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battaglia c shobhada libreriamo.it - 19 luglio 2013
La fotografa che attraverso i suoi scatti è divenuta uno dei simboli della lotta alla mafia, in questa intervista condivide con noi il suo personale ricordo di Paolo Borsellino

Milano. Una vita trascorsa a combattere contro la mafia quella della fotografa palermitana Letizia Battaglia. Ha iniziato la sua carriera di giornalista lavorando per il giornale del capoluogo siciliano “L’Ora”. Attraverso i suoi scatti ha documentato l’inizio degli anni di piombo della sua città, immortalando i soggetti dei delitti di mafia, sempre mossa da un forte impegno sociale e dalla sincera passione per gli ideali di libertà e giustizia. In questa intervista la Battaglia condivide con noi il suo personale ricordo di Paolo Borsellino, ci parla del difficile clima che si respirava in quegli anni, dell’importanza della fotografia come testimone di avvenimenti storici e dell’attuale stato della lotta alla mafia.

Per il giornale siciliano “L’Ora”, lei ha fatto diversi servizi di cronaca sull’esplodere della violenza mafiosa tra fine anni Settanta e anni Ottanta, fotografando anche le vittime di omicidi mafiosi. Com’è stato l’impatto con quel mondo?
Non c’è stato un impatto con questo mondo, io c’ero dentro, ero quasi contaminata. Era un viverci dentro, un lavorare contro, un fare tutto contro la mafia, sempre con questa idea forte che non bisognasse mai piegare la testa, che bisognasse essere liberi, che per poter essere liberi si dovesse essere onesti e corretti nei confronti della società, del mondo, della natura, nei confronti di tutti. Io vivevo male, e ci sto male ancora adesso che quegli anni sono passati e ne sono arrivati altri ancora più brutti anche se in maniera diversa. Brutti perché non ci siamo liberati dalla mafia, e comunque non posso sentirmi libera oggi. Non posso dire: “Ho avuto vent’anni terribili, ora viviamo la primavera”. No, ancora non c’è.

Quale è il suo ricordo di Paolo Borsellino?
Quando ammazzarono Borsellino io ero da mia madre. Sentii il botto, scesi , corsi, e lui era lì, il suo corpo straziato. Io non fotografai,  non riuscii a fotografare lui che tutti noi amavamo. Quando dico noi dico quella parte di popolo che capiva il lavoro che stava facendo e il pericolo che stava correndo. Vederselo lì davanti provocò sentimenti forti di rimorso, rabbia, perché non lo avevamo protetto. Non so come avremmo potuto proteggerlo, ma comunque non lo avevamo protetto. Lo avevamo incontrato qualche giorno prima alla Biblioteca Comunale di Palermo e lui era lì, con il suo viso triste, la sua sigaretta in bocca. Sapeva che sarebbe stato portato al macello. Ricordo quando a Palazzo di Giustizia c’erano le bare di Falcone e i suoi agenti, a cui la gente, tantissima, rendeva omaggio, ognuno a modo suo. In fondo, c’era un uomo solo che camminava avanti e indietro, con la testa china. Quest’uomo era Paolo Borsellino. Era ovviamente rimasto solo. Quando possono accadere certe cose è perché nessuno protegge. Ne è testimonianza l’agenda che non è stata trovata, e molte altri aneddoti. Nonostante siano passati vent’anni, sono momenti, ricordi e sentimenti che non posso dimenticare. Lui è lì, tra i miei eroi, colui che ha dato la propria vita per noi, per la giustizia.

Qual è stato il valore dell’opera di Falcone e Borsellino nella lotta contro la mafia?
Mentre loro venivano insultati, attaccati, e il tutto sembrava un attacco giornalistico ma in realtà erano manovre schifosissime, mossi da interessi, noi eravamo impotenti, perché non sapevamo molte cose che invece ora si sanno. Ho incontrato Falcone più volte fisicamente sempre per lavoro, e lui non voleva mai farsi fotografare, se non in luogo pubblico; mai nel suo ufficio nel palazzo di giustizia. E noi eravamo lì ad amarli. Erano molto amati. I funerali furono una grande celebrazione del popolo. Ricordo che alle esequie di Borsellino il capo della polizia venne aggredito dai poliziotti stessi e dalla gente, perché non ne potevamo più e non ne possiamo più. Ma siccome ora c’è questa finta pace la gente sta tranquilla. Falcone e Borsellino erano bellissimi, erano bellissime figure, perché il perseguire la giustizia è bellezza, cercare la giustizia non per quanto concerne le leggi, che talvolta sono molto discutibili, ma proprio per cercare una legge che serva al bene de popolo. Loro erano degli eroi già in vita. Falcone e Borsellino sono soltanto due delle tantissime vittime che la mafia ha mietuto.

Che valore può avere la fotografia nel denunciare un fenomeno di fronte al quale le persone hanno voluto o sono state costrette a chiudere gli occhi?
La fotografia come il teatro, il cinema, porta una testimonianza. Può essere anche una testimonianza fasulla: io posso mostrare con le mie fotografie fatti e vicende da un altro punto di vista. Basta scattare da un’altra angolatura, e la prospettiva muta totalmente. La fotografia è una prova, ed il mio scatto che ritrae boss Nino Salvo in compagnia di Giulio Andreotti servì a condannare quest’ultimo, nonostante il reato fosse già caduto in prescrizione. Io continuo, a distanza di anni, a portare in giro le mie fotografie: faccio esposizioni e ricevo tanti premi. Ma i premi non sono per me, bensì per loro, per Falcone, Borsellino, i ragazzi morti per droga e tutti i soggetti che sono diventati i protagonisti dei miei scatti. Ovviamente anche la buona fotografia è importante: una buona ripresa, uno scatto che tenga conto di tutti gli insegnamenti della storia della pittura, della fotografia, è una foto che rimane. La mia fotografia ha anche al suo interno purtroppo questa storia terribile di mafia. Spero che i miei scatti, anche quando io non ci sarò più, continuino a girare per il mondo e che facciano comprendere ai giovani che al tempo non ci fu solo mafia in questa terra, ma ci fu un popolo che lottò a mani nude contro la mafia. Noi non avevamo le armi, e tutte le volte che uscivamo di casa non sapevamo se saremmo tornati vivi o morti.

Crede che oggi sia ancora vivo un serio impegno nella lotta alla mafia?
Ormai siamo pochi. La gente è molto distratta, e purtroppo viviamo in una società terribilmente egoista. Ora la crisi spinge i giovani di alcuni quartieri che non hanno ricevuto l’istruzione adeguata a delinquere e ad entrare in questo grande esercito di gente collusa con la mafia. Sappiamo come la mafia, attraverso i suoi affari, riesca sempre ad essere ricca. Ci sono diversi gruppi che sentono ancora viva e forte la lotta alla mafia, ma sono composti da poche persone. Non sono più le centinaia e centinaia di cittadini che scesero per le strade gridando e piangendo quando ammazzarono Falcone e Borsellino. Non possiamo sempre e solo ribellarci quando uccidono qualcuno. La Sicilia è una terra tanto bella e che io amo, e purtroppo oramai da molti anni ce la stanno rovinando.

Tratto da: libreriamo.it

Foto © Shobha
Letizia Battaglia - Palermo, 1995

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