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giordano-pippo-web1La denuncia di Pino
di Pippo Giordano - 26 maggio 2013

Le parole che avrei dovuto dire e quello che avrei voluto far vedere agli studenti che si sono recati a Palermo per l'anniversario della strage di Capaci. Mi spiace tantissimo, ma credo che non ci sarà un'altra occasione: sto decidendo seriamente di smettere di parlare di mafia e dintorni. Ho preso atto che parlare di mafia è un privilegio di pochi: privilegio riservato a coloro che riescono a dare risalto mediatico o che siano di Grado elevato. E non importa se sono state distrutte alcune  telefonate o se, grazie ad una legge, qualcuno inopinatamente ha occupato un ruolo che poteva essere conteso da altri. Quel che conta  è che per l'anniversario si parli di mafia, eppoi? E altresì, poca importa se in questi giorni, proprio coloro che parlano di lotta alla mafia, presentano Disegni di legge, salvo poi ritirarli con la coda tra le gambe. Ordunque ad  una comparsa della lotta alla mafia, ad un operaio addetto alla costruzione della casa di Legalità - come spesso amo definirmi - non si può consentire di salire sulla nave della Memoria in partenza da Napoli per Palermo, altrimenti sarebbe nato un precedente e tanti altri poi “avrebbero preteso d'imbarcarsi”. Mi è stato rimarcato che nella nave salgono solo ministri, procuratori e personalità di rilievo, oltre che gli studenti.

Questa è stata la giustificazione al mio negato imbarco. Non l'avevo chiesto io, ero stato invitato e quando un mio carissimo amico me l'aveva proposto, ho fatto presente che avrei partecipato anche a mie spese, a condizione che potessi fare un intervento nel Giardino della Memoria di Ciaculli. Avevo in animo di parlare ai giovani nel luogo simbolo della lotta a Cosa nostra, della mia crescita giovanile e delle nostre sconfitte: le sconfitte dello Stato. Avrei parlato a Ciaculli per conto di Lillo Zucchetto Beppe Montana, Ninni Cassarà, Roberto Antiochia, Natale Mondo, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti agli altri assassinati dalla mafia. Ma io ero solo un ispettore ed ora per giunta pensionato e dunque non titolato ad imbarcarsi. Avrei urlato dal Giardino della Memoria, tutta la mia rabbia, le mie ansie e paure di allora: paure che condividevo coi miei amici della Mobile. Eppoi avrei fatto capire, con dovizia di particolari, che Ciaculli rappresentava il luogo ove partirono la gran parte di ordini di morte. A quei tempi la famigghia di Ciacullli poteva vantare il fior fior di killer di Cosa nostra: non c'era omicidio eccellente senza che partecipassero membri di quella famigghia. Avrei detto agli studenti che decine di politici di quel tempo, avevano libero accesso nelle proprietà del capo di Cosa nostra; tant'è che ad un uomo d'onore fu affibbiato il soprannome de “u senatore”, perché aveva la funzione di rapporti stretti coi politici. Avrei palesato una delle più grande sconfitte dello Stato che non ebbe la forza o la volontà di impedire, che decine e decine di famiglie residente a Ciaculli furono costretti ad emigrare, anche in città del Nord, per volere di Cosa nostra: lasciarono le loro case perchè Pino Greco “scapuzzedda” impose loro di “scappare”, altrimenti sarebbero stati uccisi. E chi si rifiutò, fu convinto a piegarsi con metodi violenti, anche con l'incendio delle propria abitazione. Cosa nostra aveva compiuto un'indagine valutativa degli abitanti e tutti coloro che non davano garanzia di fedeltà, furono cacciati via. In un episodio, io e Montana che indagammo sul fenomeno di migrazione forzata, accertammo che una mattina senza preavviso alcuno, “scapuzzedda” ritenendo che un magazzino fosse pericoloso per la sua sicurezza, lo abbatté senza avvisare  il proprietario, che  non protestò nemmeno. E, quando ci recammo dagli “sfollati” per interrogarli, nessuno volle raccontarci la verità. Se mi fosse stato permesso, avrei preso per mano i ragazzi e li avrei accompagnati nella stupenda villa di “scarpuzzedda” che è vicino al Giardino della Memoria. Avrei fatto vedere pure la grotta naturale dove lo stesso “scarpuzzedda” andava a nascondersi. Infine, avrei fatto vedere il luogo ove, attraverso una soffiata, intercettai il Capo di cosa nostra, scortato da quattro killer (due li riconobbi). L'avevo a due metri di distanza, ci separava un alto cancello con sbarre di ferro. Potevo sparare visto che a retromarcia si stavano allontanando, ma nessuno di noi tre lo fece: eravamo poliziotti. E per concludere la giornata avrei condotto gli studenti nella mia Palermo per far toccare con mano tutta l'onestà del Popolo palermitano: un Popolo che ha subito e subisce la mafia e che nonostante l'immondizia copra le strade di Palermo, il cuore della maggior parte dei palermitani profuma di Legalità. Un pugno di disonesti, non doveva, non deve e non dovrà disonorare Palermo, la Sicilia e l'Italia. Ed ora, cari studenti della nave della Memoria, siate i paladini della Legalità, dovete pretendere Giustizia e Verità, ma fatelo tutti i giorni e non come taluni che usano il 23 maggio per passerella mediatica. Mi duole ribadirlo, ma non ho più voglia di andare a “scuola” a parlare di mafia: sono stato un modesto ispettore che ha collaborato solo un anticchia (pochino) con uomini che hanno scritto una pagina gloriosa di questo Paese e dunque non poteva trovare ospitalità sulla nave.

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