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antimafiadi Osservatorio antimafie Pavia - gennaio 2013
Nell'ottobre del 2005 si teneva, all'università di Pavia, la prima edizione di un ciclo di dibattiti e conferenze che aveva ed ha per titolo "Mafie: legalità e istituzioni". Ad insistere per la sua realizzazione, ragazze e ragazzi che facevano parte del sindacato studentesco Coordinamento per il diritto allo studio, attivo a Pavia dalla fine degli anni '70.

Era il 2005, molto prima dell'operazione Infinito, degli arresti di Carlo Chiriaco e Pino Neri, dell'inizio di una presa di coscienza collettiva del fatto che al nord, in Lombardia, a Pavia, la mafia esiste. Era un tempo in cui, a nominare in sequenza le parole mafia e nord, si veniva ignorati nel migliore dei casi, presi per pazzi nel peggiore. Eppure di mafia al nord qualcuno voleva parlare e per questo chiese aiuto a Vittorio Grevi: il grande giurista pavese -scomparso il 4 dicembre del 2010-, tra i massimi processualisti italiani e tra gli estensori dell'attuale codice di procedura penale. Colui che, in città, rappresentava per tutti l'unico punto di riferimento nella diffusione della cultura antimafia. "Un intellettuale di cui troppo spesso sentiamo la mancanza", come ha detto Raffaele Cantone, unito a Grevi da un'amicizia tanto recente quanto profonda. La storia dell'Osservatorio antimafie Pavia è legata a quella di "Mafie: legalità e istituzioni" ed alla figura umana e professionale di Vittorio Grevi.

Abbiamo deciso di fondare l'Osservatorio nel 2009. L'idea ha preso forma una sera, durante una chiacchierata con Nando dalla Chiesa, che era ospite di "Mafie". Del resto, il Professor dalla Chiesa dice spesso che una delle sue passioni è "fondare": ha fondato Società civile, ha fondato Omicron, Melampo e tante altre cose. Ha contribuito a fondare anche l'Osservatorio antimafie Pavia. "Mafie" cominciava a diventare un appuntamento fisso per gli studenti e i cittadini pavesi; aveva un certo seguito e già contava tra i suoi ospiti personalità di spicco nella lotta alla criminalità organizzata. C'era dunque bisogno di un gruppo di persone che si occupasse stabilmente della sua organizzazione, raccogliendo il materiale che man mano veniva prodotto: le registrazioni delle conferenze, i volantini e i manifesti, la rassegna stampa. Tutto a titolo gratuito, ovviamente, con l'unico scopo di parlare di mafie al nord e di spezzare l'indifferenza generalizzata che circondava l'argomento. Tra quelle persone, in maggioranza studenti di giurisprudenza, non c'erano addetti ai lavori. La competenza era tutta da costruire: studiando, sbagliando ed imparando dai nostri errori. C'era però la guida del Professor Grevi, che stimolava il lavoro, diceva la sua sugli ospiti che proponevamo per "Mafie", fingeva di spazientirsi alle nostre richieste di moderare le conferenze con questo magistrato o quel giornalista, però accettava e dava vita a conversazioni dense di contenuti, piene di passione autentica, mai una volta banali. E ci rimproverava per le nostre mancanze, anche duramente, ma era pronto a difenderci ed a riconoscere i nostri meriti nei momenti di difficoltà. Impossibile esprimere davvero quanto sia stata dolorosa per noi la sua scomparsa.

Il 2010 è stato un anno cruciale: con l'operazione Crimine - Infinito la presenza mafiosa al nord comincia a fare notizia. Dimostrando su larga scala la connessione tra famiglie 'ndranghetiste lombarde e calabresi, quell'operazione squarcia veli di più o meno complice silenzio accumulatisi per trent'anni e fa drammaticamente esplodere il problema. Ora la questione non è più di nicchia: ne parlano i giornali locali e nazionali, sono coinvolti dirigenti di amministrazioni e aziende ospedaliere. Pavia si sorprende a leggere dell'arresto del capo dell'ASL locale Carlo Chiriaco e dell'avvocato Pino Neri. Eppure la realtà era quella da tempo, c'erano stati arresti e commissariamenti ben prima dell'operazione Infinito. Ma i grandi numeri (quello delle persone coinvolte nell'operazione, ad esempio) fanno più paura dei singoli episodi, anche se questi vanno avanti da decenni e sono di eccezionale gravità. Quell'anno Roberto Saviano è ospite di "Mafie". Portato a Pavia dopo mesi di lavoro, con mille fatiche e altrettante incognite, l'autore di Gomorra ha parlato di tutto questo e di molto altro in un dialogo intensissimo con Vittorio Grevi (qui il video della conferenza). Le aule dell'università non sono bastate a contenere il pubblico affluito in quell'occasione. Detto neanche poi tanto per inciso, il comune di Pavia sarà poi quello che negherà la cittadinanza onoraria allo scrittore napoletano perché "fa politica". Intanto, complice anche la piccola fama che lega il nostro nome all'iniziativa che ha visto protagonista Saviano, alcune scuole superiori di Pavia ci contattano per realizzare progetti di educazione alla legalità. All'inizio sono soprattutto gli istituti tecnici, poi arrivano anche i licei. Così, dal gennaio 2011 iniziamo a parlare ai ragazzi nelle classi e dobbiamo letteralmente inventarci un modo di "fare lezione", perché nessuno di noi lo ha fatto prima. Affrontiamo la sfida sentendo l'incertezza e la responsabilità del caso. Ma siamo consapevoli della necessità di condividere ciò che abbiamo imparato negli anni, ciò che i nostri ospiti ci hanno insegnato e di portare quella lezione fuori dalle aule accademiche, nella vita di tutti i giorni.

Dunque facciamo del nostro meglio per iniziare a scardinare i tanti stereotipi che una rappresentazione mediatica imperfetta del fenomeno mafioso trasmette ai ragazzi.E' dai media e dal cinema che la maggior parte di noi sente parlare di criminalità organizzata. Quindi occorre fare chiarezza prima di tutto su questo: distinguere il lavoro ben fatto dalle narrazioni tossiche e disinformate; mettere in guardia da quel modo di parlare del mafioso che lo avvicina troppo ad una figura eroica. Oppure dalla tendenza a parlare di mafia solo quando c'è di mezzo il fatto di sangue o la cattura spettacolare del boss di turno, gli eventi che fanno subito notizia, perché sono i più semplici da raccontare. Mentre l'infiltrazione nel tessuto socioeconomico del Paese è ostica da spiegare, più subdola e pericolosa. E poi raccontiamo le storie di Peppino Impastato e Giorgio Ambrosoli, di Falcone e Borsellino; quelle di Roberto Saviano e Peppe Diana, spieghiamo cos'è la delegittimazione, come la usano le mafie e perché lo fanno. Vogliamo, soprattutto, far passare un messaggio, urgente più d'ogni altro: non occorre essere degli addetti ai lavori, tanto meno degli eroi, per impegnarsi nella lotta alle mafie. E' sufficiente, anzi indispensabile, diventare più consapevoli, riuscire a riconoscere i segni che rivelano la presenza criminale attorno a noi. Le acli pavesi sono state il primo ente a coinvolgerci, tra il gennaio ed il marzo del 2011, in un progetto di educazione alla legalità, cui hanno partecipato tutti gli istituti tecnici di Pavia.
Abbiamo tenuto incontri anche in licei della provincia e da ultimo, ad ottobre 2012, un ciclo di lezioni presso un liceo linguistico della città, insieme al neonato presidio pavese di Libera. Già un paio di serie di lezioni sono in programma per i prossimi mesi. Dunque, il coinvolgimento nelle scuole è diventato il secondo filone della nostra attività, accanto al lavoro per "Mafie".

Nelle otto edizioni di "Mafie: legalità e istituzioni" che abbiamo realizzato sinora, sono stati numerosi i relatori che hanno dato il loro contributo. Hanno parlato magistrati: Raffaele Cantone, Nicola Gratteri, Armando Spataro, Ilda Boccassini (qui l'articolo di Antonio Castaldo apparso sul corriere del 4 ottobre 2011), Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Alberto Nobili. Giornalisti e scrittori: Roberto Saviano, Luigi Ferrarella, Francesco La Licata, Paolo Biondani, Saverio Lodato, Marco Travaglio, Attilio Bolzoni, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza. E poi attivisti, bloggers e tutti coloro che fanno dell'impegno antimafia e della ricerca della verità su fatti oscuri della storia del nostro Paese una ragione di vita: Maria Falcone, Pina Maisano Grassi, Salvatore Borsellino, Nando dalla Chiesa. Ci siamo spesi per portare il teatro civile in città: Saverio Tommasi con il suo "La mafia (non) è uno spettacolo", scritto insieme a Piero Vigna; lo spettacolo tratto dal libro "Parole d'onore" di Attilio Bolzoni e interpretato da Marco Gambino; quello di Luigi Galluzzo, dal titolo "La solitudine dell'onestà", dedicato alla memoria di Giorgio Ambrosoli e portato in scena dalla compagnia degli Anacoleti; la lezione-spettacolo "La diritta via" di Giuliano Turone. Abbiamo presentato il documentario "Un pagamu. La tassa sulla paura" insieme al Sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza e a Rocco Mangiardi, un imprenditore che si è ribellato al racket ed è riuscito a dar vita ad un movimento di imprenditori e commercianti ribelli come lui. I primi sette anni della nostra rassegna sono raccontati in un dvd -"Finale aperto. Sette anni di Mafie: legalità e istituzioni"- che vuole essere il nostro tributo alla memoria di Vittorio Grevi, cui, oltre al dvd, sono intitolate tutte le nostre iniziative, a partire dal 2011.
Accanto a "Mafie", che si svolge nella prima metà d'ottobre di ogni anno, organizziamo una serie di incontri pubblici, in occasioni di particolare rilevanza. Abbiamo ricordato Falcone e Borsellino, a vent'anni dalle stragi, con un dialogo tra Antonio Ingroia e Saverio Lodato, tenutosi il 26 maggio scorso e ripetuto, pochi mesi dopo -il 3 novembre- in occasione della partenza per il Guatemala dell'ex procuratore aggiunto di Palermo (dell'incontro, che precedeva di qualche settimana la nascita di Rivoluzione civile, si è occupata antimafiaduemila qui e qui). L'ultima nostra iniziativa, almeno in ordine di tempo, si è svolta ancora nel segno di Grevi. In occasione del secondo anniversario della sua scomparsa, Raffaele Cantone e Luigi Ferrarella hanno tracciato un quadro della legislazione antimafia vigente, tra problemi antichi e recenti (se ne parla qui). Negli ultimi tempi, alcuni di noi si sono laureati, hanno trovato lavoro o cambiato città. Come ogni gruppo di persone che fa attività su base volontaria, ci stiamo chiedendo come poter garantire continuità al nostro impegno e come evitare di disperdere quel che abbiamo accumulato in questi anni. Niente di nuovo, lo si è detto. E' un problema che assilla buona parte dell'associazionismo italiano. Lo confermano le tante conversazioni con persone che si trovano nella nostra stessa situazione. Ognuno di noi sacrifica un pò di sè stesso per portare avanti questo lavoro e spesso quel sacrificio dà risultati insperati. C'è chi si inventa autore di comunicati stampa, senza averne mai scritto uno in vita sua, chi si trova ad affrontare interviste radiofoniche all'improvviso e scopre di cavarsela bene anche in quella veste, chi deve adattarsi ad organizzare in extremis una conferenza e nemmeno lontanamente sospettava di essere in grado di farcela. Poi ci sono momenti impagabili di convivialità con i nostri ospiti. Momenti in cui, calata la tensione di tutti, a volte si raggiungono vette di divertimento insospettabili.
Far parte dell'Osservatorio, come di qualsiasi associazione, significa anche condivisione e leggerezza. Spesso ci chiediamo se siamo all'altezza, dubitiamo della riuscita di qualcosa, ci sorprendiamo a pensare che stiamo azzardando troppo. Poi succede che le nostre iniziative sono seguite da un numero sempre crescente di persone, che i ragazzi nelle scuole ci stanno ad ascoltare, ci fanno domande, stimolandoci a non dar nulla per scontato. Allora capiamo che stiamo provando a fare qualcosa di utile non solo per noi e che non possiamo fermarci, anche quando siamo stremati e ne avremmo una gran voglia. Non possiamo soprattutto ora, che si moltiplicano in città gli atti intimidatori nei confronti di chi si macchia della terribile colpa di raccontare le cose per come stanno, ora che prende forma il quadro giudiziario delle vicende che hanno coinvolto Pavia in questi anni ed è necessario parlarne, senza abbassare per un secondo il livello di guardia. E' una lotta che non deve arrestarsi.
Non di rado ci è capitato di dover dire di no a proposte che ci sono arrivate, perché nessuno di noi poteva assumersi un impegno in quel momento. E' il dramma di essere in pochi. Con il diffondersi del nome dell'Osservatorio sono aumentate le proposte di collaborazione, mentre noi siamo sempre rimasti gli stessi nel numero. Anzi siamo un pò di meno, rispetto solo ad un paio d'anni fa. Per questo non possiamo nè vogliamo fare tutto da soli. Per questo dobbiamo fare rete con tutte le persone e gli enti con cui condividiamo scopi, ideali e pratiche. E' un'espressione sulla bocca di molti, "fare rete": bisogna trasformare le parole in prassi, unire le forze. Bisogna farlo con intelligenza e metodo, non dar vita a carrozzoni -si perdonerà il termine orrendo- tanto per stare uniti: sappiamo la fine che fanno. Così si può provare ad interpretare quel motto che aveva coniato un filosofo tedesco e che Paolo Borsellino amava ripetere, in forma un pò modificata. Diceva più o meno:"ciascuno secondo i propri mezzi, a ciascuno secondo le proprie necessità".

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