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di Lorenzo Frigerio
Non è stato facile fare i conti con la memoria perché l’esperienza umana e professionale vissuta, spalla a spalla, con Roberto Morrione è stata una delle stagioni più belle della mia vita, ricca di fatti e momenti che hanno segnato anni intensi e complicati. Non è stato facile anche perché il rischio di confondere dati e luoghi, persone e situazioni è alto: del resto l’energia di quel periodo è talmente vitale che fluisce disordinata, quando ripenso a quanto è accaduto nel quasi decennio che ha accompagnato la nostra conoscenza, la nostra collaborazione e, last but not least, la nostra amicizia.

Facciamo un passo indietro, torniamo agli inizi.

Prima di incontrarlo, Roberto Morrione per me era “semplicemente” un mito del giornalismo italiano. Un giudizio condiviso da tanti altri ovviamente, pochi dei quali avevano la fortuna di lavorare con lui, mentre la maggior parte aveva il piacere di conoscerlo attraverso il video che “bucava” con bravura e cortesia. La sua pacatezza, nel raccontare gli avvenimenti della cronaca italiana ed internazionale pronti a diventare passato nello spazio di un giorno, si sarebbe potuta equivocare per la freddezza acquisita in anni di mestiere, ma in realtà era ben altro. Lo avrei scoperto anni dopo. Roberto credeva fermamente nel dialogo tra gli uomini per la risoluzione di ogni problema ed è per questo che, nel misurarsi quotidianamente con violenze e delitti, tensioni internazionali e segreti di Stato, conservava una fiducia innata nell’essere umano e nella sua capacità di trarre da se stesso e dagli altri il meglio.

Scoprire questa sua visione del mondo, semplice e complessa al tempo stesso, fu una vera sorpresa, già dal nostro primo incontro in Veneto durante la Carovana antimafie, la manifestazione itinerante promossa da Arci, Libera e Avviso Pubblico che servì a promuovere le battaglie del movimento antimafia in tutto il Paese.

Mi sono chiesto sempre quale impressione Morrione avesse mai ricavato da quel primo nostro incontro, avvenuto sicuramente agli inizi degli anni Duemila, anche se non ricordo con precisione l’anno.

Lui era il professionista dal lunghissimo cursus honorum in Rai, dal Tg1 al Tg3, passando per il Tg2; e ancora, il fondatore di Rai International e Rainews 24, uno degli uomini dello scoop sui rapporti tra Cia e P2, ma anche l’unico direttore di una testata Rai ad aver avuto il coraggio di mandare in onda l’ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino. Una delle poche cose che riuscii a farfugliare, con la salivazione azzerata, fu un semplice “grazie” quando mi lasciò il suo bigliettino da visita, che conservo ancora.

Con il garbo che gli era proprio il direttore di Rainews 24 mi pregava di tenerlo informato di ogni altra iniziativa futura di Libera. Si approssimava per lui la pensione e allora “avrebbe avuto più tempo da dedicare alle cose importanti e tra queste il movimento antimafia”: così mi disse allora, parola più, parola meno.

Non potevo certo sapere che da quel giorno Roberto avrebbe smesso di essere un mito e che sarebbe diventato un maestro.

Da Contromafie a Libera Informazione

La prima occasione utile di un suo coinvolgimento fu il percorso che portò alla realizzazione della prima edizione di Contromafie, gli stati generali dell’antimafia promossi da Libera a Roma nell’autunno del 2006. Era la prima volta che si convocava un’assemblea così ambiziosa: lo scopo era fare il tagliando alla lotta alle organizzazioni mafiose nel Paese per vedere cosa funzionava e cosa invece doveva essere cambiato, per suggerire modifiche a Governo e Parlamento e, contemporaneamente, elaborare strategie e strumenti dell’associazionismo schierato contro i poteri criminali.

Morrione prese parte ai lavori preparatori e fu lì che ebbi il primo incontro con la sua precisione: non c’era incontro che sfuggisse ad una sua verbalizzazione manuale. Pagine e pagine di quaderno o taccuino ospitavano la sua scrittura, fatta di segni minuti e di rara decifrazione. Con quella pratica costante dava a tutti l’idea che anche un professionista di quella caratura avesse sempre qualcosa da imparare. Quegli appunti poi se li studiava e alla successiva riunione era in grado di essere sempre sul pezzo.

La sua partecipazione alla costruzione di Contromafie fece sì che alle iniziali cinque aree tematiche previste quelle giornate di studio e confronto (libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà), si aggiungesse anche quella dell’informazione.

Le ragioni addotte da Morrione per questa necessaria integrazione erano del tutto ineccepibili: tanto è vero che il tavolo tematico dedicato alle problematiche del giornalismo in riferimento alla lotta alla mafia e alla corruzione fu uno dei più partecipati e in grado di produrre proposte e impegni che confluirono, insieme alle conclusioni delle altre cinque aree, nel primo manifesto di Contromafie.

Infatti, accanto alle misure legislative richieste per migliorare la lotta alle mafie e alla corruzione per introdurre nel codice penale i delitti ambientali o contrastare la diffusione del caporalato e del lavoro nero, per sostenere le legittime domande di giustizia dei familiari, quel manifesto si proponeva anche di “costituire un osservatorio nazionale permanente sull’informazione in tema di mafie, tutelare il diritto di cronaca, ridimensionare il segreto di stato, favorire realmente l’erogazione di fondi pubblici ad iniziative editoriali indipendenti”.

Queste sole tre righe innescarono in pochissimo tempo il percorso di nascita della Fondazione Libera Informazione che, in meno di un anno grazie alla disponibilità piena e incondizionata di Morrione, prese il largo ufficialmente, con una conferenza stampa nel settembre del 2007 presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, partner dell’iniziativa, insieme ad Articolo 21, alla Fondazione Giuseppe Fava, a Unipolis, alla stessa Fnsi ed altre realtà che si sarebbero aggiunte strada facendo.

Un giornale? No, un osservatorio

Ho riguardato per l’ennesima volta le immagini di quella giornata e nelle parole di Morrione ho ritrovato il senso dell’operazione allora avviata.

Libera Informazione costituendosi come “Osservatorio sull’informazione per la legalità e contro le mafie” avrebbe dovuto offrire innanzitutto una sponda solida, un supporto fattivo ai tanti giovani, giornalisti o blogger poco importava, che allora documentavano e ancora oggi raccontano la morsa di mafia e corruzione nei diversi territori, senza però avere alle spalle una testata o un contratto, finendo per essere piuttosto ostaggi di un ricatto continuo, la cui contropartita sono la sopravvivenza economica e/o la stessa vita. Rilanciare ed ospitare le inchieste e gli articoli di questi “operai dell’informazione” su un sito come il nostro significava non lasciarli soli e, nel contempo, dare risonanza alle loro denunce. Una strada percorsa poi in anni successivi da altri soggetti, basti pensare al monitoraggio dei cronisti minacciati realizzato da Ossigeno per l’Informazione – nato all’interno di Libera Informazione e poi sviluppatosi autonomamente – oppure alla “scorta mediatica” lanciata da Articolo 21 per i giornalisti e poi appoggiata dalla Fnsi e dall’Ordine dei Giornalisti.

In seconda battuta, altro fondamentale scopo di Libera Informazione sarebbe stato quello di offrire ai media nazionali (Tv e carta stampata essenzialmente, visto che web e social all’epoca erano in pieno divenire) materiali e idee, proposte di inchieste e documentazione sull’attività dei clan, anche e soprattutto in aree non tradizionali, per accendere costantemente i riflettori su quella che non doveva essere più considerata un’emergenza, ma un dato di fatto strutturale del potere in Italia: la presenza di una criminalità mafiosa che si era fatta istituzione dentro l’istituzione, facendosi forza di un controllo del territorio e di un welfare criminale in grado di sovvenire alle necessità delle persone.

Due obiettivi forse velleitari ma che furono invece percorsi con caparbietà, grazie anche all’avvio di una piccola e agguerrita redazione fatta di giovani che, facendo base su Roma, incominciarono a stringere contatti e relazioni in tutto il territorio nazionale: Alessio, Mariangela, Stefano, Norma, Gaetano e Giacomo, ai quali altri si aggiunsero per stage o volontariato.

Al servizio di un’idea forte, sotto la guida di un nocchiero esperto, il piccolo veliero di Libera Informazione prese il largo, gettando il cuore oltre l’ostacolo degli evidenti limiti strutturali ed economici. L’entusiasmo per l’impresa contribuì alla sottovalutazione del dato economico: con il senno di poi sarebbero state necessarie prudenza e attenzione alle spese da sostenere per far funzionare un progetto così ambizioso, esaurita la spinta iniziale. Nessuno di noi si risparmiò e anche il sottoscritto fu dichiarato abile e arruolato. A Roberto non bastava che facessi l’ufficiale di collegamento con la casa madre, con Libera, ma voleva che tornassi a scrivere. Non fu facile dopo anni passati a fare il dirigente dell’associazione, tanto a livello locale (referente della Lombardia per dodici anni), che nazionale (tre anni di ufficio di presidenza coincidenti proprio con quel periodo): era diventato normale scrivere un progetto o una relazione piuttosto che lavorare ad un articolo o ad un’inchiesta. Per mia fortuna, anche quella volta ebbe ragione lui.

I due obiettivi di Libera Informazione furono perseguiti attivando, regione per regione, uno o due seminari che erano destinati ai giornalisti e a quanti, soprattutto giovani, il tesserino dell’ordine non l’avevano ma, di fatto, raccontavano meglio loro il territorio dei media ufficiali. Coinvolgevamo le associazioni regionali della stampa e gli ordini locali; a questi organismi di rappresentanza della professione si aggiungeva la mobilitazione della locale rete di Libera. Ricordo tanti di quei momenti in cui le parole di anziani professionisti si mescolavano alle denunce di ragazzi spesso armati solo di buona volontà o alle richieste di visibilità dei referenti di Libera. Per ognuno di loro Roberto aveva una risposta che traeva da quei geroglifici contorti che riempivano i suoi appunti di viaggio. Dopo ognuno di quei momenti, il sito di Libera Informazione si arricchiva di nuove firme e la rete cresceva.

Libera Informazione in quegli anni accompagnò la preparazione delle diverse giornate della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie: da Bari (2008) a Napoli (2009), da Milano (2010) a Potenza (2011). Tutti momenti pubblici, al pari della partecipazione al Premio Ilaria Alpi, al seminario con l’Università di Catania, volto a denunciare il monopolio de “La Sicilia” di Ciancio, e ad altri importanti convegni, utili a radicare il nostro percorso e a tessere la tela con singoli e associazioni: un lavoro nel quale Roberto era instancabile, capace anche di superare le incomprensioni che in alcune zone del Paese potevano essersi creati con la rete di Libera, finendo per sanare e recuperare tutto ad una rinnovata unità.

L’altro percorso voluto per raggiungere il secondo obiettivo – il coinvolgimento dei media nazionali nel monitoraggio di mafie e corruzione – fu la produzione in proprio di contenuti giornalistici che venivano realizzati dalla redazione e dai collaboratori. In questo filone è da inserire la realizzazione dei primi dossier come “Mafie e monti” e “Mafie e cicoria” e delle prime ricerche, realizzate grazie alle convenzioni con Regione Lazio, Regione Emilia-Romagna, Regione Umbria che furono utili ad attirare l’attenzione sulla presenza delle mafie in territori ritenuti di non tradizionale presenza mafiosa.

Uno dei riscontri migliori alla bontà di questa intuizione si ebbe con l’esplodere della questione mafiosa in Lombardia nel 2010. Quell’anno avevamo preparato l’appuntamento con la giornata della memoria e dell’impegno, realizzando il dossier “Ombre nella nebbia” in collaborazione con Narcomafie. All’indomani dell’imprevisto successo della manifestazione (n.b. 150mila presenze certificate dalla Questura di Milano, a fronte di una macchina organizzativa messa in moto solo ad inizio anno, per le giuste precauzioni prese da Libera nel collaborare con istituzioni “negazioniste” del problema mafia come erano allora Comune di Milano e Regione Lombardia) e dell’operazione “Crimine-Infinito”, che nel luglio dello stesso anno decapitò i clan di ‘ndrangheta con il maxi blitz voluto dalle Direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria e di Milano, molti colleghi si ricordarono di nostro dossier che ricostruiva la storia delle mafie in Lombardia e lo saccheggiarono a piene mani, spesso e volentieri senza citare la fonte. Accadde anche con le redazioni di programmi tv che allora fecero il pieno di ascolti parlando dell’emergenza mafie in Lombardia. Morrione allora smorzò le proteste di quanti, come me ed altri, lamentavano lo sfruttamento della propria opera intellettuale, dicendo che l’obiettivo di Libera Informazione era stato raggiunto: avevamo costretto grandi firme e trasmissioni di prima serata a scrivere e a parlare per la prima volta delle mafie in Lombardia e, pazienza, se facendolo avevano omesso di citarci come avrebbero dovuto fare.

L’epilogo doloroso della corsa

Questa cavalcata straordinaria e ricca di soddisfazioni acquista un sapore diverso e un maggior valore se si riflette sul fatto che, nell’immediatezza dell’avvio del percorso della Fondazione, Morrione scoprì di essere malato, ostaggio di un male incurabile che iniziò a combattere, senza risparmiarsi e soprattutto senza ritirarsi a vita privata, come pure sarebbe stato legittimo.

Una battaglia dove però non era solo, perché accanto a sé aveva Mara, amorevole e tenace compagna di vita, che scelse di affiancarsi con discrezione e pazienza. Da quel momento Libera Informazione registrò la presenza di un altro elemento effettivo in redazione, anche se non si trattava di una giornalista. Mara accompagnava Roberto in ogni trasferta fuori Roma, occupandosi delle medicine e dell’alimentazione a lui necessarie per restare in piedi sul filo di rasoio che si era scelto come terreno per battagliare il nemico dentro di lui. Indomabile lui, instancabile lei: che esempio entrambi!

Ancora oggi resta il mistero di come Roberto riuscì ad andare avanti oltre i pochi mesi d’esistenza diagnosticati più minati dal tumore, riempiendo anni di vitalità e impegno che tanto bene fecero non solo a Libera e alla sua rete associativa, ma al Paese intero.

Durante quegli anni, ci furono periodi più o meno lunghi di degenza in ospedale, eppure mai per un momento Roberto smise di pensare a Libera Informazione e a quello che dovevamo fare, dall’organizzazione della seconda edizione di Contromafie (2009) alla mobilitazione dei giornalisti italiani contro le querele bavaglio che furono oggetto di due importanti iniziative svoltesi presso la Federazione Nazionale della Stampa, alla cui organizzazione collaborarono due illustri avvocati come Oreste Flamminii Minuto e Domenico D’Amati, oggi purtroppo anche loro scomparsi.

Se non poteva assicurare la presenza, Morrione non mancava mai di fare sentire voce, suggerimenti e richieste ai redattori e ai collaboratori. Le lunghe telefonate tra noi sostituivano la possibilità di parlare faccia a faccia, ma aumentavano la fiducia e la solidità del rapporto. Conservo immutato il ricordo di una bella chiacchierata fatta con lui e la redazione, all’indomani di una mia intervista a Luca Tescaroli sulla strage di via D’Amelio. Ci sarebbero voluti ancora anni perché si scoprissero i depistaggi, eppure in quello scambio che si era creato, tutti noi avevamo capito il valore di un confronto professionale per la crescita di ciascuno nella comprensione anche di pagine buie della storia d’Italia. E Roberto aveva messo in gioco tutte le sue conoscenze con noi. L’unico direttore di testata Rai a trasmettere l’ultima intervista di Borsellino, da direttore di Libera Informazione dimostrava ancora una volta cosa volesse dire veramente “fare squadra” in un mondo dell’informazione, in cui a parole tutti si dicono pronti alla collaborazione, ma dove in realtà le “tribù del giornalismo”, secondo un’espressione cara allo stesso Morrione, si fanno le scarpe a vicenda.

Gli ultimi mesi non furono resi difficili solo dalla malattia che avanzava, ma anche da duro contrasto sorto del tutto imprevedibilmente con alcuni dirigenti di Libera. Nell’asprezza dello scontro di quei giorni, Morrione non smise mai di ripetere il suo, il nostro mantra: “Libera Informazione o è Libera, o non è”.

Volarono gli stracci e solo il risolutivo intervento della presidenza di Libera pose fine allo scontro dopo qualche mese. Eravamo alla vigilia della giornata della memoria che si tenne a Potenza e quel giorno, sotto una pioggia torrenziale, durante il corteo o sul palco furono in pochi a salutare Roberto. Fu l’apice e al contempo l’epilogo di una vicenda surreale di cui un giorno, forse, troveremo tempo e voglia di scrivere. Ma non qui, non ora.

Quella prova terribile, quel crogiuolo di nervi e passioni che abbiamo attraversato insieme, ha forgiato, con i sigilli dell’affetto e della riconoscenza, l’amicizia con Roberto che ritengo tra i beni più preziosi mai ricevuti in dono dalla vita.

Due mesi dopo, il 20 maggio 2011 Morrione avrebbe terminato la sua corsa in ospedale, stremato in ogni sua fibra ma comunque, fino all’ultimo, proiettato sul futuro. Nell’ultimo incontro con la redazione, nel frattempo ridotta, per ciascuno di noi ebbe parole di incoraggiamento e incarichi operativi. Una riunione come tutte le altre. Ancora poche ore e se ne sarebbe andato. L’ultimo contatto fu uno scambio di sms carichi di sincero affetto e incitamento reciproco.

Inutile dire che la morte di Roberto è stata un colpo incredibile per tanti, per me in particolare, visto che alla vigilia di Natale avrei perso anche mio padre: nel giro di sei mesi di colpo mi trovai senza la guida professionale e l’affetto di tutta una vita. Due uomini, diversi ovviamente per estrazione e storia, persi entrambi i quali avrei dovuto camminare da solo e senza paracadute.

Dopo questi nove anni, la sfida, l’intuizione, gli obiettivi che Roberto Morrione ha impresso al cammino di Libera Informazione sono ancora lì e conservano una loro attualità straordinariamente eccezionale. Cosa ne sarà di questo patrimonio, creato da Roberto e poi alimentato dal caro Santo Della Volpe e giunto su fragili gambe ai giorni nostri, è oggetto di un’approfondita riflessione che ha dovuto in questi mesi subire una battuta d’arresto per ovvi motivi.

La sponda ai giovani colleghi sicuramente è resa più solida dalla nascita e dal lavoro svolto in questo periodo proprio dal Premio giornalistico avviato all’indomani della sua scomparsa e a lui dedicato.

Il racconto delle mafie è oggi presidiato da molti più giornalisti e testate di quelle che erano attive all’avvio di Libera Informazione, ma ci sarebbe da dire e scrivere molto sulla qualità e sulla quantità di questo racconto.

Nel frattempo, si è messo in discussione anche il mondo dell’antimafia, arrivando a parlare di “mafia dell’antimafia” e anche le icone finiscono nella polvere, come è successo con quel giornalista campano sotto inchiesta per essersi inventato le minacce.

Purtroppo non possiamo sapere o leggere quello che di queste vicende avrebbe pensato o scritto Roberto Morrione.

Quanto mi sarebbe piaciuto parlarne con lui, quanto mi sarebbe piaciuto vedergli accennare un mezzo sorriso sotto i baffi, per poi ascoltarlo argomentare: “Allora, Lorenzo, calma e gesso. Innanzitutto devi sapere che…”.

Tratto da: premiorobertomorrione.it

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