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di Luciano Armeli Iapichino - Intervista
Ci sono delle epoche per le nazioni che la Storia, come belva famelica pronta ad avvinghiarsi su prede più o meno succulenti che transitano sulla linea del tempo, tratta con indifferenza in attesa di avvicendamenti epocali di più ampio interesse e valutazione. E in questo esordio di 2020, registrati per quanto ci riguarda, per l’italica specie, gli orizzonti consuetudinari di un feedback politico tanto nella norma (ma forse un tantino a ribasso) quanto pirotecnico se teniamo conto delle assurde manovre di alcuni capi d’opposizione (iniziate l’estate scorsa) e in piena esecuzione nel loro invisibile imbarazzo; consapevoli dell’endemica conflittualità di un Paese che dal tempo dei guelfi e dei ghibellini, della congiura dei Pazzi e della pace di Lodi attende ancora un “veltro” dantesco e divino per far suonare all’unisono la nazion da feltro e feltro … ecco che, nostro e planetario malgrado, il Covid-19 scompiglia le carte del tempo, delle priorità, delle agende politiche e quotidiane dei cittadini dei cinque continenti, facendo sbavare la nostra Historia di inchiostro necessario a rifocillare i moribondi paragrafi dei manuali del futuro. Di colpo tutto è cambiato e azzerato: scala valoriale, relazioni, economie, bacini elettorali, orizzonti. Due parole sembrano, con i ripetuti propositi dell’ottimismo avanzati dalla nostra forza interiore, aver preso il sopravvento: inquietudine e tragedia. E in questo scenario tragico da un lato e tragicomico dall’altro, abbiamo voluto “auscultare” in una breve intervista una delle voci più interessanti del panorama culturale italiano; un opinionista tanto non addomesticabile quanto credibile che è riuscito, con l’arma più tagliente dell’umana specie, la cultura, ad elevarsi sui social, in tv, nelle librerie e in teatro, come obelisco di riferimento per quella parte di società che ha sete di obiettività, serietà, normalità, competenza e fondamentalmente “sostanza” in un momento in cui si elevano, di contro, molti ululati da parte di ulissiche sirene che hanno smarrito le sensuali fattezze per rivestire quelle di sciacalli pericolosi e senza identità nazionale: Andrea Scanzi, giornalista di grido de Il Fatto Quotidiano oltre che scrittore, conduttore televisivo, autore e interprete teatrale.

Luciano Armeli Iapichino, per ANTIMAFIADuemila, ha rivolto quattro e semplici domande che la voce aretina ha accolto prontamente. Ringraziandolo per la sua disponibilità restituiamo ai lettori l’intervista.

Italia, 2020. Il Covid -19 (ma forse anche prima), tra le macerie, ha tirato fuori anche il peggio o il vuoto della classe intellettuale di questa nazione: oltre a Massimo Cacciari, Diego Fusaro, Andrea Scanzi e qualche debole o imbarazzante comparsata di altri, l’Italia pare mostrare, oggi, una piattaforma del pensiero fiacca, povera e non in grado di elevarsi a bussola di riferimento per l’opinione pubblica.
Andrea: concordi con questa visione che vede la massa in balia dello sciacallo di turno, imbambolata da un linguaggio fatto di slogan, o di intellettuali nostrani (che pur ci sono) che fanno fatica a reperire gli strumenti della visibilità controllati da un’informazione di potere e asservita o l’interesse di farlo? Come se i crociati che battagliano contro l’avanzare della barbarie culturale siano rimasti in pochi.
armeli iapichino luciano bw 960Premesso che i nomi “belli” da fare sono per fortuna molti altri (per dirne altri: De Masi, Balasso, Bonaga, Settis, Galimberti eccetera), concordo. Come tu stesso lasci intendere, non c’era certo bisogno della pandemia per constatare il livello minimo di coscienza. A fine Novanta, il “mio” Giorgio Gaber portava in giro uno spettacolo dal titolo “E pensare che c’era il pensiero”. Nei decenni successivi la slavina è proseguita: ed eccoci qua. Avverto tre grandi drammi. L’assenza di intellettuali veri (quando una figura marginalissima come Michela Murgia si autoproclama tale, siamo alla canna del gas). La pavidità di troppi personaggi pubblici, che al coraggio preferiscono la sopravvivenza. E il dominio del “tifo”. Vedo in giro una massa rabbiosa e indistinta di ultrà, che non ragiona ma appunto tifa: come se la politica fosse calcio. A questo scenario post-apocalittico aggiungici una disonestà intellettuale dominante. Siamo messi male.

Dal 1948, ci sono state opposizioni a tuo avviso così scarse (che quella attuale sia scarsa è la nostra opinione), o quella dei nostri tempi, insieme a una classe dirigente che comunque non illumina di certo, ha abbassato gli standard di contenuto perché si è notevolmente affievolito il clima e l’interesse socio-cultural-politico del confronto, della riflessione, della cultura che sembrano esclusivo appannaggio di una nicchia?
Non appartengo al branco di chi rimpiange a casaccio gli Andreotti e Craxi: se quelli erano i “competenti”, con tutto lo schifo che incarnava buona parte della Dc e del Psi craxiano, mi tengo stretto Conte. Da quando voto (1992), è l’unico Presidente del Consiglio per cui spenderei senza indugio il termine di “galantuomo”, parola esigente che infatti Montanelli usava (tra i Presidenti del Consiglio) solo per Ferruccio Parri. Poi, certo, la classe dirigente attuale (non solo politica) fa mediamente piangere. L’opposizione destrorsa attuale è pressoché vomitevole, e purtroppo in queste settimane drammatiche sta dando il peggio di sé. Se penso al passato, Berlinguer faceva opposizione vera. Pertini faceva opposizione vera. I 5 Stelle, dal 2013 al 2018, hanno fatto opposizione vera all’abominevole renzusconismo. Purtroppo il centrosinistra, sotto Berlusconi, l’opposizione vera non l’ha fatta. Te lo ricordi Violante? Se l’avesse fatta, oggi Beppe Grillo farebbe ancora il comico.

Oltre la cultura, anche se moribonda, e il potenziale artistico che pare, parafrasando Tomasi di Lampedusa, sostare come fantasma muto intorno ai più, cosa cogli di positivo di questi tempi e per il futuro per la nostra martoriata nazione?
Di positivo ci sono i consueti, sparuti, “avamposti di utopia e resistenza”. Io li chiamo così. Persone straordinarie, che non si arrendono al clima imperante di egoismo e menefreghismo. Penso ai medici in prima linea, agli infermieri, al volontariato, all’attivismo per l’ambiente e la difesa degli animali. Penso a chi si ostina a credere alla politica come ad una cosa seria. Penso ai sognatori, che ci sono: eccome, se ci sono. L’Italia è un paese straordinario. Nei difetti. Ma pure nei pregi.

I tuoi due libri preferiti.
Due soli non saprei mai sceglierli. Te ne dico due che amo: "Una questione privata" di Beppe Fenoglio e "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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