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di Savino Percoco
Secondo una presunta intercettazione del 1973 il Presidente americano Richard Nixon avrebbe espresso alcune considerazioni sugli immigrati italiani, dicendo: “Non sono come noi. La differenza sta nell'odore diverso, nell'aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto".
La storia non ha confermato la veridicità della citazione, ma lo sfondo razzista rispecchia verosimilmente il sentimento di molti statunitensi dell’epoca; analogo a quello di odierni smemorati italiani che desiderano chiudere i porti.
Un malessere sociale trainato dal disordine di una minoranza italiana che, al tempo, aveva già dato vita alla prima cellula mafiosa “made in Usa” con i vari Lucky Luciano, Vito Genovese, Carlo Gambino, ecc.
Si firmava col simbolo anarchico della mano nera e anch’essa, seppur frazionata in bande, era una setta segreta che organizzava estorsioni, rapimenti, omicidi, ecc.
La gran parte degli italoamericani però, era un popolo di onesti e umili lavoratori che contribuirono allo sviluppo economico del continente stelle e strisce; tra i quali spiccava un brillante poliziotto assassinato 111 anni fa in Piazza Marina a Palermo e ideatore delle attuali tecniche per la lotta al crimine, che in soli 3 anni arrestò 2500 delinquenti.
Il suo nome era Giuseppe Joe Petrosino, nato il 30 agosto 1860 a Padula (Salerno), emigrato nel 1873 all’età di 13 anni, quando poco dopo la morte di sua madre, il padre Prospero decise di imbarcarsi con i figli maschi, soggiornando nel complesso sobborgo di Little Italy.
Giuseppe era il maggiore dei cinque figli e per sostenere l’economia della famiglia, affrontò subito umili professioni come il lustrascarpe e strillone. E’ durante alcuni corsi serali per imparare l’inglese, organizzati dal giornale, che decise di americanizzare il suo nome in Joe.
Nel 1877, venne assunto nella nettezza urbana, in quegli anni dipartimento della polizia di New York, ottenendo poi la cittadinanza statunitense. Impiegato anche come informatore, nel 1883 si arruolò nella polizia. Mappò la sfera criminale con un archivio di nomi foto e crimini, imparò l’arte del travestimento per infiltrarsi nelle aree pericolose e non esitò ai duelli fisici rischiando la vita e riempendo il suo corpo di cicatrici. Il suo alto senso di giustizia e alcune imprese rese celebri dai media non passarono inosservate al futuro Presidente Theodore Roosevelt, all’epoca assessore alla polizia di New York, che diede a Petrosino non solo la propria amicizia, ma anche diversi riconoscimenti tra cui la promozione a grado di Sergente nel 1895 e di Tenente, 10 anni più tardi.
Per contrastare la mano nera di Little Italy, furono istituite pattuglie di agenti di origine italiana (Italian Legion), che oltre alla lingua, conoscevano i loro ambienti e metodi criminali e nel 1905 gli fu affidata una Italian Branch, composta da cinque membri, tra cui il suo erede Michael Fiaschetti.
Durante un’infiltrazione nell'organizzazione anarchica responsabile della morte del Re d'Italia Umberto, Petrosino scoprì un piano per assassinare il Presidente statunitense William McKinley in occasione della sua visita all'Esposizione Pan-Americana di Buffalo. L’avvertimento fu ignorato e il 6 settembre 1901 il capo americano fu ucciso da Leon Czolgosz.
Altro noto successo lo ottenne con l’arresto degli estorsori del tenore Enrico Caruso, vittima di lettere marchiate dalla mano nera, che gli imponevano sotto minaccia il pagamento di alte cifre di denaro. Sotto l’abile direzione del poliziotto, il cantante si presentò all’appuntamento munito di una borsa carica di carta “straccia”, permettendo la riuscita del blitz.
Celebri furono anche le sue intuizioni sul “Delitto del barile” quando durante gli scontri per il predominio del territorio fra le bande della città, il 14 aprile 1903 il corpo identificato da Petrosino in Benedetto Madonia è ritrovato all’interno di un bidone, presso una cantina di Manhattan, frammentato e con gli organi genitali asportati e posti nella bocca. Ottenuta la collaborazione di un criminale legato alla vittima, Giuseppe Di Primo, ammanettò nove persone tra cui i capi della futura famiglia più potente di New York (Genovese), Ignazio Saietta e Joe Morello, uno degli assassini del Marchese Emanuele Notarbartolo, Giuseppe Fontana e il padrino Vito Cascioferro che dopo il pagamento di una salatissima cauzione fuggirà a Palermo.
Petrosino comprese i legami tra i criminali dei due continenti e gli intrecci tra la mano nera e la politica italiana, decidendo di raggiungere personalmente Palermo e consultare gli archivi giudiziari contenenti i casellari con i dati segnaletici e fedine penali degli appartenenti al crimine di New York. Ottenuto l’appoggio di Roosvelt e finanziato da alcuni banchieri tra cui Rockefeller e J.P. Morgan, preoccupati dalla vasta contraffazione di banconote e assegni falsi gestito dai mafiosi siciliani, il 9 Febbraio 1909 salpa in incognito sul battello Duca di Genova, raggiungendo l’Italia con il falso nome di Guglielmo De Simoni.
Tuttavia, a causa di ingenue dichiarazione rilasciate ad un cronista del capo della polizia, Theodore Bingham, il New York Herald, il 20 febbraio 1909 rese pubblica la missione, scoprendo Petrosino ad un elevato pericolo. Ciò nonostante, nell'erronea convinzione che in Sicilia la mafia non si azzardasse a toccare i poliziotti come a New York, decise di proseguire.
Giunto nel capoluogo siciliano durante il periodo delle elezioni politiche e riconoscendo alcuni volti di uomini seguiti in America nei manifesti dei candidati, Petrosino confermò i suoi sospetti sui rapporti tra mafia e Stato. Tesi consolidata all’indomani della schiacciante vittoria di Giovanni Giolitti in tutti i collegi dell’isola pur non essendo mai intervenuto personalmente e probabilmente sostenuto dagli uomini legati a don Cascioferro.
Alle 20.45 di venerdì 12 marzo 1909, in piazza Marina a Palermo e non distante dall’Hotel de France dove alloggiava, quattro colpi di rivoltella troncarono la vita dell’eroe italoamericano.
Per la soluzione del caso, il Governo americano dispose una somma di 10.000 lire (corrispondenti a quasi 40.000 euro odierni), per chi avesse fornito elementi sull’omicidio, ma la paura della mafia ebbe il sopravvento. Difatti ancora oggi, seppur chiaro il movente attorno la figura del padrino siciliano, la dinamica non è ancora stata accertata.
Alcune ipotesi raccontano di una lettera anonima recapitata da Petrosino dove veniva invitato a presentarsi nei pressi del monumento a Garibaldi per ricevere raccapriccianti informazioni su Cascioferro e dove invece tre uomini gli tesero l’agguato.
Altre indicano proprio don Vito come esecutore del delitto, il quale, in occasione del suo arresto, fu trovato in possesso di una foto di Petrosino ma fu abile nel crearsi un alibi di ferro offerto dal Deputato amico, Domenico De Michele Ferrandelli, “era a cena da me”.
Nel 1926 invece, quando fu ammanettato dal Prefetto Mori, fu condannato all’ergastolo senza elementi di prova (il fascismo aveva fatto di Petrosino un suo eroe). Morirà nel carcere di Pozzuoli nell’agosto del 1943, sotto le bombe degli Alleati.
Nel 2014, nell'evolversi dell'Operazione Apocalisse e dopo 105 anni dalla terribile sera, il Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza di Palermo, intercettando Domenico Palazzotto riscontra ulteriori conferme: “Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascioferro”.
Al funerale di Petrosino a New York, parteciparono circa 250.000 persone; nessuno prima di lui aveva mai ricevuto un simile omaggio.
Tanti sono i libri, fumetti, film e opere teatrali realizzate in sua memoria. Nel suo ruolo si sono cimentati Ernest Borgnine, Gene Kelly, Adolfo Celi, Beppe Fiorello e di recente anche Leonardo DiCaprio in The black hand, un film che dovrebbe apparire nelle sale cinematografiche nel 2021.

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