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di Carmine Massimo Balsamo
Il giornalista, ospite a Vieni da me, racconta la sua vita sotto scorta: “E’ dura, complessa e difficile”

Paolo Borrometi nella lunga intervista rilasciata a Vieni da me ha ricordato uno degli episodi più dolorosi: «Il 16 aprile del 2014 due uomini incappucciati mi aggredirono fisicamente spezzandomi una spalla in tre parti, che ancora oggi ha una menomazione permanente del 20%. Qualche giorno prima mi invitarono a farmi i fatti miei con una chiamata, una frase che ripeterono quel giorno prima di lasciarmi a terra: “Se non ti fai i fatti tuoi, questa è sola la prima”. Quella frase rimbomba sempre nella mia mente, è il momento della mia decisione: per la prima volta ho avuto paura di morire. La cosa più brutta non è stata solo quell’aggressione, ma quella violazione del tuo essere e della tua vita, e anche quell’isolamento. Il problema non era chi avesse pestato Paolo Borrometi, ma è cosa avesse fatto Paolo Borrometi per essersi fatto pestare. C’è ancora una cultura nella nostra terra per la quale la vittima deve sempre nascondere qualcosa e alla fine diventa il carnefice. Io dovevo aver dato fastidio a chissà quale donna… Questa fu la cosa che mi fece più male. Nei giorni successivi, solo con la mia famiglia, sentire quell’isolamento è stato uno dei momenti peggiori. Invito chi ci sta guardando a lasciare da soli o da sole le persone che si impegnano, perché altrimenti la mafia avrà vinto in quel modo». «La vita sotto scorta è un inferno», ha aggiunto Paolo Borrometi, che ha poi evidenziato: «Vivo ogni giorno con la paura, ma ho continuato a scrivere: se noi diamo la sensazione che vincono loro, è la fine. Loro, alla fine, non vincono mai, anche se questo costa tanto». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)

PAOLO BORROMETI: “LA VITA SOTTO SCORTA E’ DURA”
Paolo Borrometi oggi ospite di Vieni da me: il giornalista ha raccontato la sua vita sotto scorta per le minacce della mafia nel salotto di Caterina Balivo. Una nuova vita iniziata sei anni fa, nel 2013: «Avevo 30 anni. Ricordo la telefonata del comandante provinciale dei carabinieri che mi disse: “La tua vita è in pericolo, da oggi vivrai sotto scorta”. E poi ricordo le 48 ore, che dovetti uscire per il compleanno di uno dei miei più cari amici, avevo la vergogna ad uscire con la scorta. Mi citofonarono, scesi con le chiavi in macchina e li guardai dicendo: “Che facciamo mi seguite?”. Loro, come un bambino a cui dover insegnare la vita, mi dissero: “Dottore, che sta facendo? Da oggi verrà con noi”. Trattenevo a stento le lacrime in quel tragitto, nella macchina blindata con persone estranee. C’è chi dice che la vita sotto scorta sia un privilegio, io gli farei fare anche solo 24 ore di vita sotto scorta». Paolo Borrometi ha spiegato che la sua è «una vita dura, complessa e difficile: io devo ringraziare chi fa la scorta, ho trovato una seconda famiglia, hanno fatto di tutto per mettermi a mio agio. Io vivo a Roma, lontano dalla mia terra di Sicilia e dai miei affetti: lì c’era e c’è la mia vita, non è un caso che io ho continuato a scrivere nonostante tutto».

PAOLO BORROMETI, IL RICORDO DI GIOVANNI SPAMPINATO
Paolo Borrometi ha poi voluto ricordare Giovanni Spampinato, figura che lo ha spinto a fare il giornalista: «Mi sono laureato in Giurisprudenza, ma c’è un ragazzo che si chiama Giovanni Spampinato che mi ha cambiato la vita: ricordiamo molto poco uno dei tanti giornalisti uccisi dalle mafie e che era della mia provincia. Gli dissero che “se l’andava cercando” ed è un pugno dello stomaco che dovrebbe arrivare ad ognuno di noi, perché un giornalista non può morire perché racconta o tenta di raccontare la verità». E ancora: «Lui non è mai stato ricordato dalla sua terra, è la cosa che mi fa più rabbia: è un ragusano che non ha una città nei fatti. Pur di non dire che in quella terra ci fosse la mafia, quella città non ha mai ricordato Giovanni Spampinato. Io vi invito a pensare cosa voglia dire perdere un figlio, un fratello, un amico, un ragazzo che a 27 anni viene ucciso con due pistole all’impazzata semplicemente perché cercava di rappresentare l’articolo 21 della Costituzione, cercava di informare ognuno di noi. Era un ragazzo come Giulio Regeni, come Daphne Caruana Galizia…».

Tratto da: ilsussidiario.net

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