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di Rosa Landi
Non le manda certamente a dire il giudice Paolo Itri, preferendo esprimere ciò che pensa e non trincerarsi dietro silenzi o ideologie frutto dell’appartenenza. In un recente convegno che lo ha visto protagonista a Sorrento, dove ha presentato il suo libro “Il Monolite” (Piemme Edizioni), non si è certamente risparmiato: “L’abuso d’ufficio? Un reato che io preferirei eliminare perché ingolfa soltanto le scrivanie dei pubblici ministeri e le aule giudiziarie. Questo è un Paese con troppe leggi e con troppe interpretazioni”. Ventotto anni di lotta alla camorra, affari criminali, omicidi e arresti: i processi che hanno infiammato il tribunale di Napoli raccontati in questo libro con modalità non tecniche ma addirittura affabulatorie. Paolo Itri dalla procura di Nola è poi passato alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, occupandosi di importanti indagini sulla camorra napoletana e su Cosa Nostra. Nel 2008 da pm ha ottenuto la condanna all’ergastolo per Totò Riina, riconosciuto come mandante di cinque omicidi avvenuti nella tenuto dei Nuvoletta a Marano. Adesso è pubblico ministero a Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, ma tra circa un mese rientrerà a Napoli. Si è trattato di un incontro avvincente, organizzato dall’Associazione VAS (Verdi Ambiente e Società Onlus) e i Cittadini contro le mafie della sezione regionale campana coordinate dal dott. Rosario Fiorentino. Moderati dal giornalista Vincenzo Iurillo, sono intervenuti Eduardo Fiorentino (referente Vas Onlus Penisola Sorrentina), Marianna Di Martino, referente cittadina de “I cittadini contro le mafie”, l’avvocato Massimo Coppola, assessore alle politiche giovanili del Comune di Sorrento e il senatore Guido Pollice, presidente nazionale Vas Onlus. Dinanzi ad un’attenta platea, composta anche di studenti di alcuni licei locali, nella fantastica cornice del Museo Correale di Terranova, gli spunti di riflessione si sono susseguiti senza sosta. Ad accendere la miccia soprattutto il giudice Itri che sostiene come “debba essere la politica a compiere delle scelte importanti e non rimanere inerme attendendo il risultato di un processo. Se un uomo non può essere più capace ad amministrare la cosa pubblica a deciderlo non devono essere i giudici ma gli stessi suoi colleghi”. Pensiero più che condivisibile che, però, da Tangentopoli in poi ha visto un po’ tutti rimettere alle toghe il compito di decidere i destini di questo Paese.

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