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di Giuliano Lodato
Parigi, aeroporto di Orly. Destinazione prevista: Palermo. Destinazione finale: Catania. Compagnia low cost. Qualche giorno fa.
Solitamente durante il decollo sono nervoso, questa volta, però, come colto da una premonizione che mi spinge a serbare la tensione per un secondo momento, sono tranquillo.
La maggior parte della popolazione dell’aereo è divisibile in due gruppi: siciliani di ritorno dalle vacanze in Francia e turisti francesi diretti in Sicilia.
Il volo parte in perfetto orario. Navigazione tranquilla e regolare. E in perfetto orario viene annunciato l’inizio della discesa su Palermo. I passeggeri allacciano le cinture, raddrizzano gli schienali dei propri sedili e chiudono i tavolini.
Pochi minuti dopo però viene ribadito, dal personale di bordo, in lingua francese, di mantenere le cinture allacciate.
La discesa effettivamente inizia, ma è da incubo. Turbolenze da capogiro, sensazioni di vuoto prolungate. “Mantenete le cinture allacciate”, in francese. “E chi si muove?”, direbbero le facce dei passeggeri, se potessero parlare.
La situazione è tesissima, non vola una mosca.
L’aereo prova ad avvicinarsi a terra, ma è in totale balia del vento. Qualcuno urla.
L’aereo riprende quota. E, per qualche minuto, sorvola l’aeroporto .
Parla il comandante. Frase interminabile, in francese, e per molti, me incluso, incomprensibile. Fortunatamente alla fine si sente la parola “Catania”, che ci fa capire il cambio di destinazione.
A questo punto mi giro e vedo il mio vicino di posto che, telefono in mano, sta candidamente filmando tutto. Modalità “Uso in aereo”? Macché: perfettamente collegato con tanto di connessione internet incurante di ogni divieto. Sono indeciso se dirglielo, ma non lo faccio.
Finalmente atterriamo a Catania. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo.
Un altro passeggero dietro di me non perde tempo ad accendere il telefono: “ma quale Londra, un biegno (non vengo) la settimana prossima […] ; allora unnu capisti (allora non lo hai capito), accussì un mi scantavu mai na me vita! (così non mi sono spaventato mai nella mia vita)”
Il passeggero che ho a fianco, lo stesso che aveva il telefono acceso, mi chiede: “Siamo a Palermo, no?”.
Finalmente si sente il primo annuncio in lingua italiana, seguito da un boato di esultanza: saremo trasportati in pullman all’aeroporto di Palermo.
Si iniziano così a instaurare fra i passeggeri quei simpatici rapporti di amicizia tipici di queste situazioni.
Restiamo a bordo ancora per un’ora e mezza.
Fra annunci, d’ora in avanti anche in italiano, e svolgimenti di pratiche di identificazione dei passeggeri e dei loro bagagli che danno l’impressione di essere tentativi di prendere tempo.
Usciamo dall’aereo e inizia una incredibile ricerca dei pullman che vede turisti francesi e palermitani in giro per l’Aeroporto di Catania e che impauriti corrono alla disperata da un capo all’altro del piccolo aeroporto terrorizzati dall’idea di non riuscire a trovare l’introvabile bus. In altre parole, ad accoglierci non troviamo nessuno. Adesso neanche l’ombra di annunci, né in francese né in italiano.
“Porta 46”, dicono alcuni. “Piazzale dei bus”, correggono altri.
Finalmente, finita la ricerca del bus perduto, ci troviamo seduti in 3 corriere dove, senza mostrare alcun biglietto, sulla fiducia, ci imbarcano.
Partiamo.
Il bus dietro di noi, sembra fermarsi per un guasto. Noi, fortunati, proseguiamo.
Già chiamavu l’avvocato e puru un giornalista amico mio, ci facciamo u bello articolo ora!” grida un passeggero accompagnato dalla famiglia e girandosi verso un interlocutore indefinito aggiunge: “chiffà un l’haiu a scricchiare (fare male a) sta compagnia?!
Iniziano animate discussioni su presunti rimborsi e risarcimenti che culminano in scommesse. “Guardi facciamo così, se a lei le rimborsano il biglietto le offro una pizza” dice pacatamente uno. “Sentisse a mia, se non mi rimborsano la invito al Charleston a Mondello! Lo conosce lei? Avutru (altro) che pizza!” rilancia l’altro.
Finito il divertimento, mi addormento.
Al mio risveglio trovo la conversazione rinnovata dall’ingresso di un nuovo interlocutore che sino a quel momento ha taciuto il suo parere ma ora esplode. Si gira verso gli altri, ormai diventati amici, e lentamente dice: “Io poche volte ho preso l’aereo da giovane. Ma negli ultimi anni molto spesso. Da quando vado in aereo guardo sempre tutto quello che succede. So tutto quello che sta succedendo. Guardo per terra, le ruote, la faccia del pilota, quando escono le ruote da sotto, quando rientrano. Anche la stiva dei bagagli!” e tuona: “Questo pilota, non era esperto!”. Il suo ingresso nella conversazione è perentorio, fulmineo. Non lascia spazio a risposte. La signora, che è dello stesso parere, approva silenziosamente per poi aggiungere: “Ve lo dico io: il pilota era alla sua prima esperienza di volo!”.
Quando si dice: volare con la fantasia!

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