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di Giulia Shaughnessy
Intervista dell’IPI con Marilù Mastrogiovanni sulle sue esperienze e preoccupazioni

Nel corso di una ricerca dell’International Press Institute (IPI) di Vienna sulla libertà di stampa e le minacce ai cronisti in Italia, Giulia Shaughnessy, collaboratrice dell’IPI, ha parlato con la giornalista Marilù Mastrogiovanni, fondatrice e direttora della testata Il Tacco D’Italia, specializzata in giornalismo investigativo.
Per molti anni, Mastrogiovanni ha ricevuto minacce, anche di morte, in seguito alle sue inchieste sui legami tra mafie, politica ed imprenditoria. Nonostante i numerosi atti intimidatori a cui è stata soggetta, tra cui il furto di documenti dalla redazione del giornale con notevoli danni all’immobile e l’uccisione del suo cane, Mastrogiovanni continua il suo lavoro di cronista.
La giornalista, che fino allo scorso anno viveva a Lecce, è stata costretta a trasferirsi a Bari a causa delle numerose minacce. Oggi è una di numerosi giornalisti italiani che vivono sotto scorta.
Lo scorso gennaio, l’UNESCO ha nominato Mastrogiovanni una dei sei membri della giuria del premio mondiale sulla libertà di stampa, ‘Guillermo Cano’ a riconoscimento del suo lavoro giornalistico.
In un’intervista con l’IPI, Mastrogiovanni parla della sua esperienza come cronista in Italia, in quello che lei descrive come un “clima di odio nei confronti dei giornalisti che peggiora di giorno in giorno”.
L’IPI è una rete globale di giornalisti e direttori dei media dedicata alla difesa della libertà di stampa e la promozione di un giornalismo indipendente e di qualità.

IPI: Che tipo di minacce riceve e perché?

Marilù Mastrogiovanni: Le ultime che considero minacce, perché tali sono, sono una serie infinita di querele temerarie che mi costringono a difendermi, e che mi sottraggono forze mentali, fisiche, ed economiche.
La maggior parte delle querele mi arrivano da politici e da imprenditori per via delle mie inchieste, che si occupano soprattutto della zona grigia in cui convivono mafia, imprenditoria e politica. Le mie inchieste hanno a che fare con persone con una capacità di spesa molto più elevata della mia, e che non ci pensano due volte a querelarmi.
Un’altra intimidazione gravissima è stata il sequestro del mio giornale. Tre mie inchieste sono state sequestrate dalla magistratura al seguito di una querela da parte di una azienda su cui ho fatto delle indagini che denunciavano i legami di questi imprenditori con gli ambienti mafiosi. Quest’azienda mi ha denunciata, ha chiesto il sequestro, e la magistratura ha sequestrato il giornale per 45 giorni. Questa decisione era talmente grave che si è mobilitata l’opinione pubblica e l’inchiesta è stata dissequestrata.

IPI: L’iter giudiziario in questo caso le è sembrato corretto?
MM: Hanno condotto l’investigazione come se fossi stata un’assassina colpita in flagranza di reato. È stato un processo velocissimo e praticamente senza indagini. È una procedura mai vista in un caso di diffamazione perché parliamo di un reato che non richiede l’immediato avvio di un processo. È stato un caso veramente borderline.

IPI: Oltre alle intimidazioni giudiziarie , riceve anche minacce di violenza fisica?
MM: L’anno scorso ho ricevuto circa 4.000 mail con minacce di morte nel giro di pochi minuti. Ho sporto denuncia e sono state intensificate le misure di sicurezza che già avevo. Questo solo per descrivere il clima dell’ultimo anno e mezzo.

IPI: Lei ha visto un peggioramento della situazione in Italia negli ultimi anni?
MM: Sì. Assolutamente, sì. La situazione è peggiorata e sono aumentate le querele.
Io sono una giornalista indipendente a 360 gradi, nel senso che io sono editrice del mio giornale e quindi editrice di me stessa. Nel momento in cui colpiscono me personalmente, danneggiano direttamente il giornale. Un conto è colpire un giornalista con un grande editore alle spalle, ma è diverso quando viene colpito un giornalista freelance, indipendente, che si deve difendere da solo. I giornalisti che lavorano lontani dai centri di potere, lontani dai grandi editori e lontani dalle grandi testate, ma vicini, vicinissimi, ai cittadini sono quelli che maggiormente rischiano la vita in Italia.

IPI: In base alla sua esperienza, il sistema della scorta in Italia funziona come dovrebbe?
MM: No, io non ritengo che funzioni. Né io né i miei figli siamo adeguatamente tutelati. Ho dovuto cambiare città e cambiare casa per allontanarmi dal luogo in cui sono avvenute minacce molto serie. La mia casa è stata incendiata di notte mentre noi eravamo dentro che dormivamo. Dopo che è successo questo, abbiamo deciso di trasferirci.

IPI: La scorta limita la sua possibilità di lavorare come giornalista?
MM: Per la mia sicurezza, dovrei comunicare i miei spostamenti, ma non lo faccio perché questo significherebbe non potermi muovere liberamente e non poter incontrare le mie fonti. Per un giornalista che fa inchieste investigative, questo significherebbe togliergli l’aria, spezzargli la penna.

IPI: Cosa deve cambiare in Italia per dare più sicurezza ai giornalisti in Italia?
MM: In Italia, nel caso del reato di diffamazione, si dà per scontato che il giornalista, se sbaglia, l’abbia fatto in malafede. Se invece ci fosse un riconoscimento che gli errori spesso sono causati da negligenza, piuttosto che dalla malizia, i casi di diffamazione non influenzerebbero così tanto il giornalismo.
Il governo dovrebbe anche attuare una legge contro le querele temerarie. La legge dovrebbe obbligare chi querela a pagare almeno il 50% della richiesta di risarcimento se perde. E dal momento in cui la querela temeraria perde in giudizio, chi ha querelato dovrebbe venire automaticamente imputato per calunnia. Il problema più grosso è che, in molti casi, l’onere della prova ricade sulle spalle dei giornalisti, e questo è semplicemente ingiusto. La legge va cambiata.
Oltre a tutto questo, in Italia la diffamazione è ancora un reato che prevede pene detentive. Tendiamo ad ignorare questo fatto proprio perché la nostra è una democrazia matura e lo stato di diritto è rispettato. Però, con una situazione politica così tesa, noi giornalisti potremmo ritrovarci in carcere per aver scritto qualcosa di non esatto. Quindi, proprio per questo clima d’odio che stiamo vivendo, un’altra delle urgenze è l’eliminazione di queste pene detentive per il reato di diffamazione.

IPI: Ritiene che anche in Italia rischiamo di arrivare ai livelli di censura che stiamo osservando in altri paesi europei?
MM: Io penso che noi abbiamo una grandissima Costituzione, che ha le sue radici e la sua ragione d’essere nella Resistenza e l’antifascismo italiano. I semi di questa Resistenza , dopo più di 70 anni, hanno prodotto frutti maturi di valori democratici ben radicati nell’opinione pubblica e nella cittadinanza italiana. Non penso che questo nostro sistema democratico si possa paragonare a quello della Polonia o a quello della Turchia, per esempio. L’ondata di populismo e di odio che stiamo provando in Italia è innegabile, ma non credo che siano situazioni paragonabili.
(19 Luglio 2019)

Tratto da: ipi.media

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