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20181110 roma manifestazione antirazzismodi Karim El Sadi
Un'analisi sui protagonisti del corteo e sulle cause del fenomeno immigrazione

Oltre 100 mila manifestanti, con 100 autobus provenienti da tutta Italia, e la presenza di 480 organizzazioni umanitarie e no profit. Sono questi i numeri da capogiro delle persone che, secondo gli organizzatori, hanno partecipato alla marcia nazionale antirazzista svoltasi sabato pomeriggio a Roma. Il corteo, partito da piazza della Repubblica e conclusosi a piazza di Porta San Giovanni, è nato da un'idea della piattaforma Indivisibili e aveva come obbiettivo il contrasto al decreto legge Papillon e soprattutto al ddl sicurezza e immigrazione. Quest'ultimo, proposto dal vice premier Salvini e approvato in Senato lo scorso 7 novembre, prevede nuove misure in materia migranti. Tra queste, l'abolizione della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dal Testo unico dell'immigrazione, l'utilizzo del sistema Sprar esclusivamente per i minorenni rifugiati e la permanenza nei Centri per il rimpatrio, che hanno sostituito i Cie, e in altri luoghi fino a un massimo di 180 giorni. La manifestazione è stata, per questi temi oggetto della protesta, molto “sentita” sia socialmente che politicamente. A dimostrarlo, il dispiegamento di camionette delle forze di Polizia e Carabinieri al Raccordo Anulare di Roma che hanno fermato oltre 40 pullman di manifestanti. Gli agenti hanno controllato minuziosamente zaini, giubbotti e striscioni mentre i passeggeri venivano filmati con documenti alla mano. I controlli hanno comportato lunghe attese e hanno ritardato l'orario di partenza del corteo. “Ci chiediamo se questa possa essere considerata una normale e comunque inaccettabile prassi o se si debba piuttosto pensare ad una vera pratica intimidatoria” ha denunciato la segreteria nazionale di Sinistra italiana. Alle 14.30 circa ha avuto finalmente il via il corteo da piazza della Repubblica. A sfilare per le strade di Roma numerose associazioni umanitarie come OXFAM, Comitato Stop Razzismo, Associazione Siria Libera e Democratica, Our Voice, La Comune e poi comitati studenteschi del nord Italia. Alla manifestazione non sono poi mancati i partiti politici come Potere al Popolo e Rifondazione Comunista che a tratti si sono “imposti”, numericamente parlando, rendendo la manifestazione “forse troppo politicizzata” come dice Andrea, un ragazzo appartenente all'Officina Popolare Jolly Roger di Civitanova Marche. I manifestanti hanno camminato sorvegliati dalle Forze dell'Ordine, per le strade della Capitale passando per il centro blindato al traffico. Numerosa la presenza di stranieri e immigrati, i diretti interessati della marcia che hanno colorato il pomeriggio con tamburi, balli e musiche folcloristiche. La folla di partecipanti è arrivata a destinazione in piazza di Porta San Giovanni quando è calato il sole, ad aspettarli giornalisti e un furgone che li ha accompagnati lungo il tragitto, sul quale è stato allestito un palco di fortuna per gli ospiti. Tra questi ha preso parola per primo Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace, il quale è stato accolto dalla folla con applausi e cori: “Mimmo libero”. L'ex sindaco, al centro di una accesa discussione mediatica a seguito del suo arresto nella sua cittadina divenuta col tempo modello di integrazione sociale degli immigrati, ha ringraziato il pubblico del forte sostegno. “C’è tanta emozione perché ci sono tante persone, non immaginavo fosse così - ha detto Lucano dietro a uno striscione con su scritto “Riace non si arresta” - Oggi mi sento uno di voi, una folla immensa che chiede umanità. Non possiamo rassegnarci alla deriva di una società delle barbarie, delle disuguaglianze e delle discriminazioni. Non ci piegheranno - ha aggiunto - non farò un passo indietro anche se non sono più sindaco è la voglia di esserci”. Sui social il Ministro dell'Interno Matteo Salvini ha scritto, in risposta alle dure contestazioni degli oltre 100 mila manifestanti, “confermo anche agli "amici" in piazza: la pacchia è STRA-FINITA!”.
Il corteo si è concluso tragicamente, un uomo che manifestava, dopo aver avuto un malore, è morto. Si trattava di un cittadino etiope di circa 55 anni, il quale si è sentito male nei pressi di piazza Esquilino ed è morto dopo essere stato soccorso e trasportato in ospedale. Era in possesso di un regolare permesso di soggiorno ed era in piazza per manifestare il suo sostegno.

L'ipocrisia dei giovani neo-comunisti di Roma
Camminando in mezzo a quella che potrebbe tranquillamente definirsi una colorata folla di persone di ogni religione, età e sesso c'erano anche e soprattutto loro. I giovani dei movimenti di estrema sinistra, quelli che alcuni chiamano i “neo-comunisti”. Bandiere rosse in ogni dove, fumogeni e cori anti-fascisti venivano eccheggiati in ogni angolo delle strade di Roma. Ai cori simbolo della lotta per la libertà del proletariato si univano applaudendo anche i comitati studenteschi. Scene emozionanti certo e in parte doverose per il contesto nel quale si è svolta la manifestazione, nata ricordiamo, in contrasto al percepibile aumento di episodi di razzismo in Italia. Ma osservando la massa di questi "giovani rivoluzionari” provenienti da ogni angolo del Paese, risalta all'occhio e soprattutto al naso un fattore alquanto preoccupante. L'enorme quantità di utilizzo e spaccio di droghe e alcolici. Durante il corteo la presenza di "erba" e super alcolici è stata una costante. E non era raro vedere quei giovani che fino a poco prima intonavano cori contro il sistema, appartarsi per scambiarsi qualche spinello. Scene che lasciano l'amaro in bocca dopo un pomeriggio di unione e fratellanza dei popoli. Una "moda", quella delle droghe leggere, che sta attraendo inesorabilmente sempre più giovani di ogni età, di ogni orientamento politico o ideologico. E non è raro, anche tra chi si dice di sinistra o comunista, ascoltare chi difende il diritto di poterla consumare liberamente senza incorrere in cavilli penali e battaglie come quella per la legalizzazione della marijuana, contraddistinguono anche l'esistenza di interi movimenti. Eppure fumare non significa essere anti-sistema e certamente non rende onore né ai sani principi rivoluzionari del comunismo marxista ai quali questi teenager si ispirano, né ai partigiani che sono morti per sconfiggere il fascismo e di cui sempre gli stessi ragazzi ne cantavano le gesta sulle note di “Bella Ciao”. Gran parte dei membri dei centri sociali di ispirazione comunista presenti al corteo hanno ignorato, consciamente o inconsciamente, che oggi molti di quegli immigrati che giustamente difendono dal razzismo, stanno diventando, a causa dell'assenza di lavoro e diritti, i nuovi pusher della criminalità organizzata. In pratica acquistando dei grammi di fumo dai rifugiati non si fa altro che alimentare quel sistema criminale che sfrutta per i propri profitti i profughi in cerca di denaro per sopravvivere. “Bisogna fare molta attenzione. Attorno ai ragazzi ospiti nelle strutture sta girando anche un universo certo non bello. Attraverso alcune pedine, di solito persone straniere, ci potrebbe essere il tentativo, specie per lo spaccio, di coinvolgere i richiedenti asilo da parte delle organizzazioni criminali, in gran parte composte da italiani: hanno individuato in loro una fonte ipotetica di guadagno. Per me il rischio c’è, e l’abbiamo denunciato da un po’ di tempo”, ha detto lo scorso anno il direttore della Caritas di Como Roberto Bernasconi.

“Françafrique” la vera causa dell'immigrazione
Durante il corteo di Roma in pochi o quasi nessuno hanno osato puntare il dito contro la causa madre che si nasconde dietro ogni migrante che decide di partire in cerca di un futuro migliore. “La Françafrique”. Ovvero l'influenza europea e principalemente francese nata con Charles De Gaulle sul territorio africano che riguarda 14 paesi del continente. Un tentantivo di condizionamento tutt'oggi in pratica delle dinamiche economiche e politiche attraverso il sostegno economico e militare a dittature, gruppi terroristici e poi alimentazione di guerre civili e confilitti inter-etnici. I numeri parlano chiaro, “oltre 40 sono gli interventi militari tesi a difendere regimi filo-francesi sia democratici che dittatoriali, o ad aiutare dei ribelli a rovesciare regimi ostili - ha scritto il blog Intellettuale Dissidente lo scorso giugno - attualmente la Francia è legata a 12 paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 paesi con delle missioni militari, per un totale di 5mila unità presenti”. Ma l'influenza è, oltre che militare, soprattutto economica. Nell'area francofona, di cui fanno parte quei 14 paesi africani, vige l'obbligo di utilizzo del Franco CFA (Comunità Finanziaria Africana), lasciato in eredità dagli ex colonizzatori e della cui convertibilità in Euro si occupa il Ministero dell'economia e delle finanze francesi. Inoltre l'appartenenza a queste area prevede che le nazioni di cui fanno parte depositino almeno il 65% delle riserve di moneta estera in Francia, per non parlare del godimento di trattamenti privilegiati delle grandi aziende francesi del settore energetico e minerario nello sfruttamento del territorio e nella divisione dei profitti con gli stati. Appare chiaro, quindi, come questa influenza occidentale faccia in modo che lo sviluppo economico, politico e sociale di diversi paesi dell'Africa venga messo in seria difficoltà, creando i presupposti per la partenza di migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini bisognosi di una vita degna di essere definita tale ove ne sia possibile, anche aldilà del mare.

Tratto da: ourvoice.it

Foto © ACFB

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