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puglisi pino 610di Vincenzo Frenda
L’omicidio di Don Puglisi. Il fratello, sapeva che lo avrebbero ucciso. Il sorriso bonario con cui accoglie tutti è il marchio di fabbrica della famiglia Puglisi, ma la sofferenza crescente quando si avvicina il 15 settembre, anniversario dell’omicidio del fratello, traspare nel volto di Franco.

Sono passati 25 anni come ricorda quel giorno?
E’ sempre una ricorrenza dolorosa per noi. Non solo il 15 settembre, ma tutti i giorni. Questa è una ferita che non si chiuderà mai

In famiglia sapevate, con tutto quello che faceva, i rischi che stava correndo?
Avevamo sentore solo attraverso i giornali. Lui non ci diceva mai quello che gli succedeva, delle minacce che aveva ricevuto. Minimizzava sempre, diceva: in fondo che cosa possono farmi, sono un povero prete, e scherzando aggiungeva: al massimo mi possono uccidere.

Ha un ricordo in particolare di suo fratello?
Io sono nato che lui già c’era. Ho tutta una vita da ricordare. Lui era fratello e prete allo stesso modo, gioviale, affabile, allegro.

Come è cambiata Brancaccio da allora?
E’ migliorata grazie ai progetti di mio fratello che in tanti hanno portato avanti e realizzato attraverso il centro Padre Nostro che lui ha fondato poco prima di morire. Ora abbiamo il centro anziani, quello dove si accolgono le vittime di violenze, il campo sportivo. Qui non c’era niente.

Il sorriso dirompente di suo fratello è il simbolo e il motore per quello che si fa a Brancaccio in suo nome.
Noi lo ricordiamo sempre con il suo sorriso. Anche se fisicamente non è con noi lo sentiamo vicino, ci consiglia. Quando c’è un problema in famiglia pensiamo a cosa farebbe lui. E’ sempre una guida.

Tratto da: articolo21.org

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