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libro letrattative c imagoeconomicadi Enza Galluccio
Per Marco Guido Martini, attivista della Lista del popolo, Genova deve prendere consapevolezza del fatto che il fenomeno mafioso non è solo un male del sud e che le infiltrazioni criminali, soprattutto della ‘ndrangheta, sono presenti da molto tempo anche nelle amministrazioni liguri.
Si è aperto così l’incontro su La trattativa e i suoi frutti avvelenati che si è tenuto ieri (venerdì 6 luglio 2018, ndr) nella sala del Circolo autorità portuale di Genova, con la presenza di Antonio Ingroia che ha appena pubblicato il suo ultimo libro Le Trattative e di Aaron Pettinari, capo redattore di Antimafia Duemila e autore del libro Quel terribile '92 (entrambi Imprimatur Editore).
Aaron Pettinari, a sostegno dell’introduzione di Martini, ha ricordato la maxi-operazione lombarda denominata Crimine-Infinito sui collegamenti tra ‘ndrangheta calabrese e cosche milanesi, e l’omicidio del procuratore cuneese Bruno Caccia, impegnato nelle indagini sulle infiltrazioni ‘ndranghetiste in Piemonte, avvenuto a Torino nel giugno 1983 sempre per mano della ‘ndrangheta che già allora era ben radicata al nord.
Per il capo redattore di Antimafia Duemila “oggi non possiamo più parlare solo d’infiltrazioni mafiose, ma di veri e propri insediamenti, con un livello talmente alto di potere economico da consentire qualunque azione e controllo: la 'mafia S.p.a.' possiede una ricchezza che potrebbe permettersi di comprare gran parte dell’informazione e dell’editoria, creando una sorta di monopolio dell’informazione e della cultura”.
Una riflessione, quella di Aaron, che vuol mettere un’allerta sul dramma del sistema-informazione italiano spesso silente verso sentenze come quella del processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia e come quello nisseno di cui, alcuni giorni fa, sono state depositate le motivazioni.
“Nel 1992, con le stragi di Palermo cambia la storia italiana, si passa dalla prima alla seconda repubblica a suon di bombe” prosegue Pettinari spiegando che in questo modo viene spazzata via e rimossa dalla memoria pubblica anche Tangentopoli. In questo quadro s’inserisce anche il depistaggio-Scarantino, che risulta drammaticamente confermato dalle motivazioni della sentenza di Caltanissetta attraverso quell’“induzione a mentire” messa in atto, probabilmente, non solo dal funzionario di polizia Arnaldo La Barbera. Il depistaggio, quindi, sarebbe stato avvalorato dalla necessità di mascherare l’intreccio d’interessi tra Stato e mondo criminale.
Non da meno è la sentenza del processo di Palermo, che condanna insieme mafiosi e uomini delle istituzioni, nella quale si prova ulteriormente l’esistenza di quel patto criminale tra Stato e mafia.
Eppure il mondo dell’informazione tace e, quando non ignora, sposta l’attenzione sul superfluo minimizzando il vero senso che quelle due sentenze mettono sul piatto, con i loro incisi e aprendo le porte verso la necessità di proseguire con nuove indagini.
Si tace ancora, quindi, su quei mandanti esterni che vollero la morte di Falcone e Borsellino, su quell’uomo non appartenente a Cosa nostra che partecipò alla preparazione della 126 esplosa in via d’Amelio e sul perché, dopo il fallito attentato allo Stadio Olimpico, le stragi si sono fermate.

pettinari aaron c imagoeconomica

Aaron Pettinari


Pettinari afferma inoltre che dopo il “conflitto d’attribuzione” messo in atto dall’ex presidente Giorgio Napolitano, l’opinione pubblica sembra aver perso il diritto a essere informata.
Della stessa opinione è anche l’ex magistrato Antonio Ingroia che denuncia la volontà “disinformante” dell’informazione che chiude il sipario sulle “trattative”, un plurale doveroso anche nei confronti della storia dello Stato italiano, che fin dalle sue origini si è caratterizzato attraverso numerosi accordi criminosi tra poteri forti.
La trattativa, per quanto è emerso dall’inchiesta che sta alla base del processo di Palermo, non era una sola e riguardava mondi diversi; mafia, politica e apparati dello Stato sono stati l’emblema di quegli intrecci e di numerosi accordi.
“Non si tratta di semplice infedeltà da parte di alcuni uomini delle istituzioni, essi si sentono servitori dello Stato - ribadisce Ingroia - dietro di loro c’era lo Stato […] anche la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947, ndr) frutto del Patto Atlantico, è stata legittimata dallo Stato”.
Tuttavia, soltanto dopo le stragi del ’92 si è potuto fare un processo a uomini dello Stato come Mori, Subranni e il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, imputati insieme a boss mafiosi come Riina e Provenzano. l silenzio che si è concretizzato di fronte a “sentenze epocali come quelle di Palermo e Caltanissetta non può essere la realtà di un paese normale”. Per l’ex magistrato “se tutto ciò fosse avvenuto altrove, molti uomini coinvolti sarebbero dovuti sparire dalla scena politica e istituzionale”.
Il processo sulla trattativa “risolve in parte, ma rimane un’opera incompiuta perché una parte di verità è stata bloccata dal conflitto d’attribuzione voluto da Napolitano […] sostenuto da una sentenza politica”, il riferimento è alla Corte Costituzionale. Così è stata sostenuta “l’opera di occultamento messa in atto da Napolitano”. Ingroia prosegue affermando che l’informazione si è concentrata sul contenuto delle intercettazioni e sulla testimonianza dell’ex Presidente della Repubblica, riducendo il processo di Palermo a “un’opposizione tra Procura e Napolitano, creata ad hoc per oscurare il vero senso di quel processo […] Napolitano ne esce come il gigante buono delle istituzioni, tutto come da copione”.
Non è la prima volta che l’informazione si piega a una volontà politica; per Ingroia un altro esempio è stato quello del processo Andreotti trasformato nel processo sul bacio con Riina. Anche in questo caso, l’attenzione è stata dirottata verso un particolare tanto improbabile quanto superfluo, per distogliere l’attenzione dal fatto che “Andreotti dopo l’omicidio Mattarella va a Palermo e s’incontra con i capi mafia per chiedere perché, con quell’omicidio, avessero rotto il patto di non belligeranza”. In quell’occasione, per la prima volta, si è incrinato quell’accordo e Andreotti ne esce perdente. Il vero dramma è che Andreotti non si rapporta e non agisce attraverso le istituzioni ma tratta con i boss mafiosi; essi sono i suoi veri partner.
“Lo scopo - sostiene l’ex magistrato - è stato sempre quello di far pensare ai mafiosi come gli unici cattivi che si contrappongono allo sceriffo, in una dinamica simile a quella di guardia e ladri - e aggiunge - quando un magistrato mette in piedi delle inchieste scomode bisogna delegittimarlo, il modo più semplice è dire che quel magistrato è politicizzato”.
A conclusione del dibattito, Antonio Ingroia spiega che il cambiamento non può essere delegato solamente alla magistratura, è necessaria una svolta da parte dell’opinione pubblica e attraverso le azioni e le prese di posizione di ogni singolo cittadino; le persone devono ricominciare a far sentire la propria voce, solo così si può attuare un mutamento di rotta.

Foto © Imagoeconomica

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