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capaci copyright shobha 2di Maria Grazia Mazzola*
Per il cronista che ha chiaro il compito ineludibile della testimonianza, non c’è alcuno sforzo nel ricordare. Anzi, ciò che indichiamo come memoria in realtà si trasforma in una lettera testimoniale scritta, perenne che diventa più viva man mano che passano gli anni. Dalle stragi di mafia sono trascorsi ben 25 anni. C’ero. A Capaci fui inviata per Samarcanda e arrivai tra i primi nonostante provenissi da Roma. Ero lì la stessa sera, l’attentato avvenne alle 17:56 .
La scena è di quelle che lasciano una firma mostruosa: 500 chili di esplosivo per disintegrare i nemici di Cosa Nostra. Non tutti i magistrati o tutti i rappresentanti dello Stato sono nemici di Cosa Nostra, ma solo quelli che hanno inferto duri e implacabili colpi alla mafia. Quelli che insomma sono andati oltre l’indagine ordinaria, si, proprio quelli che si sono accaniti contro i boss di Cosa Nostra scavando e cercando i collegamenti con quella politica sporca, con l’imprenditoria marcia. I nemici da abbattere sono quelli che non si accontentano, che non si fanno fermare come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il cratere che testimonia la carica di odio è sotto gli occhi di tutti. La prima auto di scorta non c’è più, scavalco il guardrail e cammino per centinaia di metri: sotto i miei occhi e quelli della telecamera solo brandelli indescrivibili. Gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro non sono più. Mi sposto verso l’auto dove viaggiavano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, con l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, sopravvissuto. Accanto le scarpe di Francesca Morvillo, sono lì, adagiate sull’asfalto sventrato.
L’auto di Falcone è rannicchiata su sé stessa, schiacciata, mutilata. Dietro, l’auto della scorta che chiudeva il corteo: gli agenti sopravvissuti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello. Chi racconterà mai l’umanità degli abitanti vicini accorsi per primi?
La donna che consolò Francesca Morvillo, che l’abbracciò, che la implorò di resistere, di attendere i soccorsi, di non mollare, lei con quei grandi occhi pieni d’amore per Giovanni e pieni dell’orrore vissuto… Francesca era cosciente.
Corro lì dove erano stati ricoverati gli agenti sopravvissuti. I dimenticati: si perché salirono sull’ambulanza con i loro stessi piedi, fermandola nel caos dei soccorsi. In ospedale non furono piantonati ma lasciati nei corridoi come ho potuto documentare con la telecamera. Con loro le famiglie e i colleghi accorsi. Intervisto Gaspare Cervello con la maglia sporca di sangue, col labbro spaccato, in un corridoio con i cateteri buttati per terra. L’unico che si ricorda della scorta sopravvissuta è Paolo Borsellino, è lui che va ad abbracciare i ragazzi sotto choc in ospedale. Queste sono le immagini che documentano tante sconfitte.
I tre sopravvissuti raccontano gli ultimi attimi: il boato, il calore, loro sollevati e poi coperti dall’asfalto in briciole. Il caposcorta che risorge dalla terra col piccolo mitra in mano che urla: "GIOVANNIIII!!!”.
Lui che va da Francesca Morvillo ancora viva e lei che gli chiede: “NON PENSATE PER ME, AIUTATE GIOVANNI!”. Ma Giovanni ha uno sguardo spento, assente. Lo Stato con i piccoli mitra e una Cosa Nostra con centinaia di chili di esplosivo: una metafora che si ripete in tutte le stragi di mafia, in tutti, nei troppi omicidi. I servitori dello Stato con i sandali lasciati alle scarpe chiodate dei nemici. Non c’erano elicotteri quel giorno ad accompagnare il corteo né auto bonifica.
Fu solo mafia?”, ripete in aula Oscar Luigi Scalfaro eletto subito Presidente in un’Italia sotto choc per l’inchiesta Mani Pulite e i continui avvisi di garanzia per corruzione inviati a molti politici. Ancora oggi non sappiamo se fu solo mafia: i processi sulle stragi anche su via D’Amelio sono pieni di interrogativi sulla presenza di elementi esterni a Cosa Nostra.
Quella sera del 23 maggio 1992 Giovanni Falcone emette l’ultimo respiro mentre l’amico e il collega Paolo Borsellino lo tiene tra le sue braccia nella stanza d’ospedale. Paolo dirà che una parte di lui è morta lì in quell’istante con Giovanni. D’ora in poi il suo sguardo sarà stravolto fino a quando l’autobomba - due mesi dopo - piazzata sotto casa della madre farà saltare in aria anche lui e i ragazzi della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
C’è un protagonista del dolore e dello strazio di quei giorni successivi alla strage di Capaci, che documentai nella Chiesa di San Domenico per i funerali dei servitori dello Stato: la società civile, quei cittadini, quei nonni, le insegnanti, le donne, i familiari di altre vittime di mafia che urlavano ‘GIUSTIZIA!’.
'VERGOGNA’ quando passavano alcuni politici discussi. Vale la pena citare alcune frasi: "Ci dovrete ammazzare tutti! Noi siamo con i magistrati onesti!". Un ragazzo dice al microfono: "Avevo deciso di emigrare in cerca di lavoro, ma ora non lascerò mai più questa terra, voglio giustizia". “Bastardiiiii, assassiniiiii! Cosa sono carne da macello i ragazzi delle scorte? Una madre fa un figlio e poi che fa ? MUOREEEE”. La vedova Schifani urla all’obitorio: ”Non c’è amore, sono stati lasciati soli...”. Mi guarda, chiede aiuto al microfono: "Per favore faccia qualcosa!
Urla e richiesta di giustizia, richiesta di verità: “VOGLIAMO SAPERE CHI E’ STATO! MA NON SOLO I KILLER! VOGLIAMO CONOSCERE I MANDANTI “, gridò un’insegnante anziana, minuta, una di quelle signore siciliane che non parlano mai ma che in quell’occasione aveva deciso di proclamare la sua indignazione a squarcia gola. Francesca Morvillo io l’avevo incontrata quando era sostituta procuratrice minorile: da giovane cronista le chiesi un’intervista ma lei con un sorriso mi disse di no. Era già la moglie di Giovanni Falcone. Lei è stata una magistrata integerrima che con Falcone aveva sposato non solo l’uomo ma la missione stessa della Giustizia che era anche la sua. Era lei che gli correggeva a volte i provvedimenti a matita. Lo raccontano Paolo Borsellino e Giuseppe Ayala. Era lei che nei momenti più drammatici della carriera del marito dava i giusti suggerimenti e indicava le strategie più sagge. Francesca Morvillo amava moltissimo le nuove generazioni: da ragazza, studentessa - lei figlia di magistrato - faceva il doposcuola ai bambini figli dei carcerati. Quando doveva chieder una condanna - da magistrata minorile - lei con occhi lucidi diceva: “La vita ha penalizzato due volte questo ragazzo”.
Quanti nemici ebbe Giovanni Falcone? La storia è nota. Quanti ne ebbe Paolo Borsellino? Tanti, anche vicino a lui. Voglio ricordare la figura di Agnese Borsellino, che ho conosciuto e intervistato, la moglie di Paolo, che fino all’ultimo, piegata dalla malattia, ha ripetuto come Paolo avvertisse aria di morte attorno a sé, negli ultimi incontri anche istituzionali, nelle minacce che gli giungevano negli ultimi giorni di vita. Il 19 luglio 1992 dunque la stessa sorte tocca a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Io sono nel carcere minorile di Bicocca a documentare i figli dei boss per uno Speciale per Raitre, dal titolo Sud, autrice con altri colleghi. Il giorno della strage di via D’Amelio, dentro il carcere dei minori di Catania, sono costretta con sgomento e telecamera a documentare l’esultazione dei figli dei boss: “Uno di meno…perché un magistrato si deve fermare a un certo punto - spiega un ragazzo condannato - i magistrati si devono dare un limite e questi l’avevano superato”. Sipario.

*Inviata Tg1

Foto © Shobha

Tratto da
liberainformazione.org

 

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