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rogo rignano garganicodi Domenico Mortellaro
Sotto attacco. La Puglia si sveglia così alla fine di una settimana nera per quella che è l’agenda dell’ordine pubblico e del rapporto tra criminalità ed Istituzioni. Si è cominciato sabato scorso, col rogo nel ghetto della vergogna di Rignano Garganico appena sgomberato - eppure due migranti irriducibili, in quel rogo, ci sono rimasti - si è continuato con il tiro al bersaglio contro i blindati della Celere a San Severo, per proseguire con una ridda di attentati ed intimidazioni a sindaci, amministratori e candidati che ha colpito ad alzo zero su tutto il territorio regionale.

E se i fatti del Tavoliere, le pistolettate di San Severo ed il rogo del ghetto nulla hanno, concretamente, nulla a che fare con il rogo della casa del Sindaco di Ruvo di Puglia o con i proiettili recapitati al Sindaco di Terlizzi, se la bomba contro la casa del Sindaco di Peschici e le minacce alla candidata sindaco indipendente di Taranto sono episodi che tra loro non hanno nessun collegamento strutturale, è pur vero che valgono fin troppo bene ad illustrare un clima. Un clima torrido che denuncia una situazione delicatissima. Le criminalità organizzate pugliesi, magmatiche e terribilmente distanti dalla obsoleta idea di “Quarta Mafia” strutturata come unicum su tutto il territorio regionale, stanno lanciando, in queste settimane, un guanto di sfida che suona come un ceffone in pieno volto alle Istituzioni. Quelle stesse Istituzioni che, per bocca del Sindaco di Bari Antonio Decaro, presidente ANCI, hanno festeggiato, neppure un mese or sono, probabilmente con troppa fretta e troppa sicumera, l’approvazione del “pacchetto Sicurezza” da parte del Governo. Sarà il caso di riflettere concretamente, Sindaci ed Amministratori in primis, su questo pacchetto di riforme e su quanto davvero si possa ritenere adeguato a fronteggiare in determinati territori - e la Puglia non è seconda a Sicilia, Campania e Calabria - la criminalità organizzata. Sarà il caso di riflettere davvero sulle parole del Premier Gentiloni e del Ministro Minniti, cui si è accodato anche il Presidente ANCI, Sindaco di Bari, Antonio Decaro. Siamo davvero un paese che ha semplicemente e solo “bisogno di sentirsi sicuro”?  Davvero è tutta e solo una questione di “percezione”? Pensiamo sul serio di aver lasciato così bene e così efficacemente alle spalle alcune stagioni di piombo, tanto da poterci permettere un “pacchetto Sicurezza” che derubrichi le questioni a semplici interventi urbanistici di secondo livello come quelli relativi all’illuminazione o si accontenti di misure repressive rivolte alla criminalità di basso cabotaggio - abusivi della qualsiasi e imbrattatori su tutti?

In Puglia - come del resto nelle altre regioni ad alta densità mafiosa - di sicuro una risposta del genere è inefficace. Inutile, troviamo il coraggio di dirlo con onestà. Per alcuni tratti, addirittura pericolosa. Dovrebbe saperlo per bene e per primo proprio il Sindaco Antonio Decaro, Presidente ANCI, sotto scorta dall’anno passato per aver sfidato i clan durante la festa patronale in onore di San Nicola, vietando le “fornacelle” abusive e pretendendo di regolamentare la logistica ed il posizionamento degli ambulanti - centinaia di abusivi della bancarella da sempre gestiti e lottizzati dalla Camorra Barese. Dovrebbe saperlo per primo proprio lui, che in questi giorni ha a che fare, nella sua città, con una recrudescenza del conflitto tra i clan che, nelle periferie e nei quartieri popolari della città, oltre a fatti di sangue gravissimi, sta registrando punte di folklore macabro e segnali inquietantissimi di controllo totale dei territori. Un pacchetto sicurezza fatto di lampioncini a led, allontanamento dal territorio per i graffitari ed i vandali e carcere per gli abusivi vale davvero a tenere al sicuro le comunità pugliesi - come del resto tutte quelle inquinate o condizionate da fenomeni mafiosi? Basta una misura del genere per contrastare chi si fa la guerra a caricatori interi di mitra, tra la gente, alle otto di sera? Bastano queste misure per intervenire, a Bari ad esempio, in un quartiere come il Libertà, dove gli arresti o la morte di un rivale sono festeggiati pubblicamente dai clan coi fuochi d’artificio? Ci bastano davvero queste misure? La sicurezza è davvero, di nuovo, derubricabile a “questione di feeling”, di sensazioni e percezioni? O come, a San Severo, addirittura mercanteggiata coi poteri forti tanto da venir trasformata in spot elettorale con un Michele Emiliano, fin troppo impegnato nella allora ennesima battaglia interna al PD, nominato assessore alla legalità? Quanto si sarà pentito della scelta fatta allora, il Sindaco Miglio, mentre digiunava in attesa di essere ricevuto dal Ministro Minniti per potergli parlare della morsa serrata delle criminalità foggiane sulla sua città?

Val la pena rifletterci, in Puglia prima che altrove. Ed è necessario farlo adesso. Ora che organizzazioni criminali e delinquenti comuni o disperati pronti a tutto pesano le nostre Istituzioni, le percepiscono deboli e proprio per questo alzano il tiro, pronti a presentare una posta più alta. Nel Gargano per serrare interessi economici enormi su un territorio che sta conoscendo sviluppo e boom economico oppure a San Severo, dove i clan pretendono di dettare legge imponendo pizzo, spaccio e rapine. A Ruvo o Terlizzi, nella provincia rurale del nord Barese, dove la crisi e la mancanza di prospettive convincono qualche disperato a tentare la carta della minaccia per protestare o pretendere. Oppure a Bari, dove la Camorra cittadina fa dell’illegalità e dell’abusivismo di sussistenza uno dei primi strumenti di costruzione del consenso nelle comunità periferiche o marginalizzate. 

Vale la pena di rifletterci, cominciando proprio dai temi della marginalizzazione e della esclusione sociale. Perché è lì, non altrove, che i Sindaci possono e devono giocare la partita decisiva. Lì, lontano dall’applicazione della legge o dalle investigazioni, ben distanti dalla repressione - che non compete loro ma è materia per gli organi inquirenti e per le forze di polizia. Ai Sindaci è demandato in primis il contatto col territorio. Ed allora è il caso che le amministrazioni scelgano di sfidare le mafie - ed in Puglia ce n’è, tutte diverse e tutte ben più che maggiorenni o neonate - proprio dove queste costruiscono consenso: nelle pieghe della marginalizzazione. Intervenendo sulle periferie con proposte concrete di prospettiva per i giovani e non con progetti di maquillage urbanistico o con elemosine elargite ad associazioni di terzo settore sempre più barricate in trincea, sempre più sole. Le mafie si combattono, dalla parte delle Istituzioni, anche e soprattutto così: abbattendo i distacchi e rimuovendo le disparità - lo dice anche la Costituzione, fin quasi ad annoiare il lettore da quante avremmo dovuto colmarne - ricucendo gli strappi tra centri e periferie, sociali prima ed urbane poi, in modo concreto. Per dirla come la spiegherebbe un ragazzino dei “quartieri”: dando una ragione concreta a chi fa la vedetta di spaccio e lascia la scuola per la cinquanta euro al giorno, di lasciare la pistola e rimettere in spalla lo zainetto dei libri. Oppure imparare un mestiere, mettere in tasca una certificazione, un patentino, una “carta” spendibile concretamente ed in modo sano, pulito, nel mondo del lavoro.

Più che di “pacchetti sicurezza” buoni appena a rassicurare i più ingenui, non si può più rimandare un intervento concreto di questo tipo. Un intervento di ricucitura sociale, di creazione di prospettive di sviluppo concrete e percorribili. Sono questi i “pacchetti Sicurezza” che i Sindaci pugliesi dovrebbero pretendere. Prima che sia troppo tardi, davvero.

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