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manca attilio 2di Biagio Finocchiaro
“Era buio e il silenzio fu rotto dal ritmo che fa qualche paio di passi che marcia nell’oscurità si sentì sbattere forte la cella rumori sordi bestemmie a metà strattonamenti e gli sputi di rabbia di chi sa chi morirà. Ma io che ero là vi racconto la storia che so Michele no, no Michele non si suicidò”

(Nobraino - Michè)

La scena è questa: via Santa Maria della Grotticella, a Viterbo, sono le 11 di mattina del 12 febbraio 2004 e viene rinvenuto, mezzo nudo e riverso trasversalmente sul proprio letto, un corpo pieno di lividi ed ecchimosi, probabilmente stravolto da pugni e calci. Una bocca dalla quale fuoriescono copiosi rivoli di sangue, un setto nasale deviato ed un testicolo notevolmente gonfio. Sul braccio sinistro due segni di iniezioni e nel sangue tracce di alcolici, eroina e Diazepam (il principio attivo contenuto nel sedativo Tranquirit). Accanto al corpo vengono rinvenute anche due siringhe, entrambe con i tappi salva ago e copri stantuffo inseriti. Lui è il siciliano Attilio Manca, giovane e brillante urologo dell’ospedale di Viterbo, il primo in Italia, insieme al prof. Ronzoni, ad operare il cancro alla prostata per via laparoscopica. Ho fatto qualche domanda al fratello di Attilio, Gianluca Manca, da anni in prima linea per scoprire la verità sulla morte del fratello.

Gianluca, chi era tuo fratello? Come pensi sia andata realmente quella notte?
Attilio era una persona solare, divertente e piena di vita. Un ragazzo dotato di una straordinaria intelligenza e di una grande umiltà d’animo.

Nonostante la sua giovane età, Attilio era riuscito a raggiungere traguardi che una persona normo-dotata raggiunge in tarda età; un esempio: Attilio nel 2000 ha importato dalla Francia in Italia, una nuova tecnica operativa ossia la prostatectomia laparoscopica, ciò viene riscontrato non dalla famiglia ma dalla stessa ANSA di quel periodo che riporta la notizia.
Attilio, nel 2000, aveva trentun anni. Non era soltanto un fratello, Attilio era un amico prezioso, per me era la mia anima. Penso che quella maledetta notte Attilio abbia aperto la porta di casa sua a persone che conosceva. Penso che la sua fiducia verso il prossimo sia stata tradita proprio quella notte.

Sicuramente le persone che entrarono in casa sua furono in tre.
Due lo tennero stretto per le braccia mentre il terzo sferrava calci e pugni. Dopodiché, quando Attilio era stordito dalla violenza inferta gli iniettarono l’eroina nel braccio sbagliato (lui era un mancino puro!) senza lasciare, addirittura, alcuna impronta.

Pochi giorni dopo il decesso, la polizia e la magistratura parlarono ufficialmente di “decesso per aneurisma”. Una successiva versione parlò di suicidio. Questa tesi appare inverosimile sin dall’inizio poiché l’urologo, a questo punto, si sarebbe dovuto picchiare da solo per poi decidere di suicidarsi, iniettandosi, da mancino, sul braccio sinistro un doppia mix letale di droga e farmaci. Il tutto senza gli attrezzi solitamente usati per preparare ed assumere l’eroina (niente cucchiaino, niente bilancino, niente laccio emostatico).
Per voi Attilio è “stato suicidato”.

Ammesso sia possibile far giustizia, quanto concretamente siamo lontani dalla verità?
Parafrasando la domanda, noi familiari non siamo lontani dalla verità. Siamo, semmai, lontani dalla giustizia. Ma noi familiari abbiamo fede, speranza e forza per attendere.

Ma ricapitoliamo.
Attilio si rende irreperibile per alcuni giorni di fine ottobre 2003. Dice a tutti di dover affrontare un viaggio di lavoro nel sud della Francia, ai genitori – proprio nell’autunno del 2003 – tramite una telefonata, il medico racconta di essere in Costa Azzurra di ritorno da una “attività sanitaria” in Provenza. Nessun altro particolare in più se non una voce che, rimbombando da telefoni intercettati a carceri, parla di un giovane medico siciliano accanto al boss Provenzano, operato per via laparoscopica per un cancro alla prostata a Marsiglia proprio in concomitanza del “viaggio” di Attilio nel sud della Francia.
Nel gennaio 2005 furono pubblicate le intercettazioni del boss, molto vicino a Provenzano, Francesco Pastoia, che parlava del viaggio del capo dei capi corleonese a Marsiglia nel 2003. Il 28 gennaio 2005 Pastoia fu trovato impiccato nella sua cella.

Nel 2008, Salvatore Rugolo, professionista, specializzato in medicina del lavoro, figlio di Francesco Rugolo ritenuto dagli inquirenti padrino della vecchia mafia di Barcellona e cognato di Pippo Gullotti (condannato a 30 anni quale mandante dell’omicidio di Beppe Alfano), muore in un irrisolto incidente stradale. L’uomo che era con lui è rimasto invece illeso.
Tanto si è scritto e troppe le teorie ipotizzate. Tanti i personaggi tirati in ballo: da Rosario Cattafi all’agente del SISDE Giovanni “Faccia da mostro” Aiello passando per l’ex capo della Squadra mobile di Viterbo Salvatore Gava, il medico legale Dalila Ranalletta, che ha effettuato l’autopsia sul corpo di Manca, Domenico Nania – tirato in ballo dal boss barcellonese Carmelo D’Amico come capo di una super loggia segreta – ed il boss casalese, Giuseppe Setola.

La morte di tuo fratello non è certamente il primo caso con il coinvolgimento di Stato, massoneria e criminalità. Non sarà l’ultimo. Hai fiducia nelle istituzioni?
Io ho fiducia nelle istituzioni, purtroppo le istituzioni sono occupate sia da persone ignave e sia da persone altamente qualificate e motivate da un alto senso sociale, io mi affido e confido in queste ultime.

In passato a Barcellona per voi l’aria si è fatta pesante, quasi irrespirabile. I tuoi genitori, dopo aver ripetutamente accusato infiammazioni alle vie respiratorie, irritazioni agli occhi, oltre uno stato confusionale e capogiri, hanno presentato due denunce ai carabinieri per segnalare la presenza, nella loro villetta di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), di una grande ed anomala quantità di sostanze. C’è persino un certificato medico che attesta una pericolosa presenza di metalli pesanti in entrambi i coniugi. Le denunce sembrerebbero riguardare anche la moria di piante ed alberi presso il giardino della stessa casa.
I miei genitori, come me, sono bersagliati, quotidianamente, da soprusi e angherie. Non da barcellonesi, ma da parte di quella feccia di società che frequenta salotti pseudo-borghesi che li convince che noi, persone che abbiamo denunciato il malaffare, siamo non solo da evitare come la peste ma, soprattutto, da isolare e importunare. Questi attacchi continui alle vie respiratorie li hanno spossati. Mi auguro che finiscano al più presto queste sofferenze indirizzare verso i miei genitori. Il dolore e la nostra sofferenza è una croce che porteremo sempre con noi, ma una cosa possiamo evitarla, che altri casi come quello di Attilio Manca non avvengano più. Attilio non è solo mio fratello…Attilio è quel qualunque che potrebbe essere il fratello di tutti ed è per quei tutti che noi combattiamo oltre che per la ricerca di verità e giustizia.

Tratto da: lurlo.info

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