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niceta angelo il fatto quotidianoIntervista
di Giuseppe Lo Bianco
Angelo Niceta ha 46 anni, quattro figli, tra cui un pilota di Formula 1 mancato: il ragazzo, medaglia d’oro al valore atletico, è dovuto tornare da Londra abbandonando la possibilità di entrare nello Junior Program della McLaren per finire nel programma di protezione dei pentiti di mafia. Ma Angelo non è mai stato accusato di mafia: ha deposto nel processo della Trattativa Stato-mafia denunciando le relazioni mafiose dei suoi parenti, i Niceta, una delle famiglie più note di Palermo, raccontando frequentazioni e affari di zii e cugini con Bernardo Provenzano, i fratelli Carlo, Giuseppe e Filippo Guttadauro e persino con Matteo Messina Denaro e per lui i magistrati della Procura, Nino Di Matteo e Pierangelo Padova, hanno chiesto lo status di “testimone di giustizia”. La commissione centrale del Viminale lo ha inserito però nell’elenco dei “pentiti” e lui per protesta ha abbandonato il programma di protezione. Oggi gira per Palermo senza scorta e denuncia: “Sono un testimone, e come tale vorrei essere considerato, c’è una parte di Stato che ostacola la lotta alla mafia. Io non temo per la mia vita, almeno fino quando ci saranno i processi in corso, ma so che le persone che ho accusato sanno essere vendicative’’.

Niceta, lei ha detto che Provenzano e Messina Denaro erano di casa dai suoi parenti...
I rapporti con mio zio Mario iniziarono negli anni 80, erano rapporti molto intimi, decidevano assieme che fare anche in tempo di elezioni, ricordo che una volta vennero Salvo Lima e Ciancimino a proporre mio padre come sindaco di Palermo. Ma lui declinò l’offerta. Una volta stanco di vedere questi picciotti armati, che per provarsi i vestiti posavano pistole ovunque, mio padre gli disse: ‘Ora ve ne dovete andare, qui dobbiamo lavorare’. Loro lo guardarono malissimo e rivolti a mio zio lo minacciarono: ‘Solo perché è tuo fratello (non reagiamo, ndr), così non siamo mai stati trattati da nessuno’.

Perché ha deciso di abbandonare la protezione dello Stato?
Perché sono un testimone, non un collaboratore. Non posso avallare con una firma uno status che non è il mio: da quel mondo sono lontano anni luce, sono incensurato, non ho mai condiviso le amicizie dei miei parenti e il loro modo di rapportarsi a Cosa Nostra. Per un periodo ho cercato di adattare la mia famiglia ai disagi infiniti cui ci ha sottoposto lo Stato, tra case fatiscenti, lontane da centri abitati e ai livelli minimi di sussistenza. Poi non ce l’ho fatta più.

Oggi lei gira liberamente per Palermo, senza scorta. Non ha paura?
So che rischio, ma lo Stato ha deciso che dopo avere abbandonato il programma di protezione non devo avere alcun tipo di assistenza. Fino a quando ci sono i processi si guardano bene dal farmi del male, si firmerebbero. Ora ci stanno attenti ma è gente molto vendicativa. E poi non hanno quasi bisogno di eliminarmi fisicamente, lo hanno fatto socialmente ed economicamente. Tutta la Palermo che io conosco, imprenditoriale, politica, dei circoli della cosiddetta città-bene, mi odia.

Perché?
Perché sono pericoloso, posso parlare di tante persone. E il marchio di collaboratore tiene lontana anche la solidarietà antimafia: ‘Chissà che cos’ha fatto, valutiamolo nel tempo’, dicono.

Lei è imputato di bancarotta...
Sono l’unico imputato perché nella società ho versato dei soldi, e non perché ne ho sottratti. Hanno tentato di coinvolgermi come socio occulto per creare una giustificazione alle mie accuse, ma l’indagine chiarirà tutto.

Quello in fondo era anche il suo mondo, perché ha deciso di parlare?
Non è mai stato il mio mondo, non mi sono mai riconosciuto in quelle frequentazioni e non mi sono mai vantato di quelle amicizie, che peraltro non avevo. Sono stati i soprusi, le angherie, le minacce e i ‘consigli amichevoli’ di tutta questa gente a spingermi a parlare. Ai magistrati sto facendo dichiarazioni su tutto quello che conosco, sia su amministratori giudiziari, che in ambito fallimentare; parlo di collusioni con mafia e imprenditori.

Come vive la sua famiglia?
Sono sotto la soglia di povertà, non posso lavorare, non ho entrate, le mie proprietà sono bloccate, non posso andare in banca a chiedere un mutuo. Sono isolato a 360 gradi e non protetto dallo Stato.

Si sente abbandonato dalle istituzioni?
Io credo ancora nello Stato con cui sto facendo questo percorso, ma credo pure che esiste una parte di Stato che questo percorso lo vuole nascondere, perché è dentro queste dinamiche.

Tornerà a fare l’imprenditore a Palermo?
Amo questa città, ci sono nato e cresciuto, ma sarei un pazzo a tornare a lavorare qui.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano