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fame giustizia digiuno contro mafiadi Gabriele Ruggieri, Manlio Melluso e Silvia Buffa
Il 23 luglio del 1992 un gruppo di donne ha organizzato un presidio in piazza Castelnuovo, a Palermo. Chiedevano le dimissioni delle più alte cariche dello Stato e delle forze dell'ordine, inermi - a loro dire - dopo le stragi. Vi rimarranno per oltre un mese, scrivendo una pagina importante nella storia della lotta alla mafia

«Tutto è accaduto subito dopo i funerali degli agenti della scorta, che furono dopo quelli di Paolo celebrati in forma privata per volere della vedova, in Cattedrale. Una folla enorme ce l'aveva con i politici. L'uscita delle cariche dello Stato alla fine della messa è stato un momento davvero drammatico, poteva succedere un disastro. Ci siamo chieste cosa fare, siamo andate alla sede dell'Udi - Unione delle donne in Italia, ndr - e abbiamo deciso». Comincia così, come racconta Bice Mortillaro Salatiello, l'avventura di quelle che saranno ricordate come Le donne del digiuno, un gruppo di ragazze che dopo le stragi di mafia del 1992 decide di scendere in piazza e di digiunare in segno di protesta. E in quella piazza, di fronte al teatro Politeama, rimangono per oltre un mese. Bice è stata una delle promotrici dell'iniziativa: 64 anni nel '92, era punto di riferimento per tante donne per la sua militanza nell'Udi. «Iniziamo oggi pomeriggio con un presidio a piazza Castelnuovo uno sciopero della fame, come cittadine di Palermo al di là delle appartenenze ad associazioni o partiti - si leggeva sul volantino che annunciava la loro azione - che continuerà fino a quando il prefetto Jovine, il capo della polizia Parisi, il procuratore Giammanco, l’alto commissario per la lotta alla mafia Finocchiaro, il ministro degli interni Mancino, non si dimetteranno».

«Non pensavamo che sarebbe stata una cosa plateale - racconta Daniela Musumeci, oggi 63enne docente di Filosofia al liceo - Volevamo esprimere il nostro sdegno in un modo visibile, che non portasse in piazza solo la mente ma anche il corpo e il cuore. Ecco perché si è pensato al digiuno, volevamo esserci tutte intere. E non pensavamo neanche che avremmo resistito così tanto». E a vedere quelle giovani donne così determinate, anche la gente di una Palermo ancora scossa dalle stragi di Capaci e via D'Amelio si è avvicinata al presidio. «Condividevano la nostra rabbia contro le istituzioni inermi, se non complici - continua Musumeci -. Questo ha commosso noi per prime». «Avevamo installato nella piazza una bacheca con dei fogli - aggiunge Simona Mafai, classe 1928, militante del Pci ed ex consigliera comunale - Donne e giovani venivano e scrivevano delle frasi sulla lotta alla mafia. Siamo rimaste lì per quasi due mesi con le roulotte e le tende e per uno di questi abbiamo digiunato». Un ricordo, quello del contatto con i passanti, che a distanza di anni ancora emoziona le donne coinvolte. «Pensavamo "È estate, ora la gente va a mare e si dimentica tutto" - dice Salatiello - Invece parlavamo giorno e notte con le persone».

Giorno dopo giorno la notizia di quelle donne che presidiavano la piazza più importante di Palermo si è diffusa, attirando l'attenzione dei media nazionali e soprattutto esteri. Il loro era ormai diventato un autorevole movimento di protesta. «Poi c'è stata anche la morte di Rita Atria - continua Bice Mortillaro Salatiello riferendosi alla giovane testimone di giustizia - e alcune di noi sono andate a Partanna di Trapani, il suo paese d'origine. Quel giorno ai funerali non partecipò nessuno del paese, tutti molto condizionati dalla mafia locale. Un gruppo di noi ha anche portato la bara di Rita, perché non c'era nessuno che lo voleva fare». «Risposte immediate ne abbiamo avute tante - racconta Michela Buscemi, all'epoca 53enne, tra le parenti di vittime di mafia parte civile alle udienze del Maxi-processo, ora attivista dell’associazione Donne contro la mafia - Giorgio Napolitano (allora presidente della Camera, ndr) ci ha invitate a Roma, siamo state alla marcia della pace ad Assisi e in molte altre occasioni siamo state coinvolte». «Abbiamo fatto un buon lavoro, ma si sentiva sempre che c'era una cappa: era questo capomafia, Lo Piccolo, che dominava tutti. Però la nostra presenza era utile al cambiamento: negli anni siamo andate spesso a parlare nelle scuole, con quei ragazzi che adesso sono la nuova generazione di adulti».

A 24 anni di distanza di quell'esperienza resta un gruppo di donne che hanno preso strade diverse ma spesso vicine al mondo dell'associazionismo e della lotta alla mafia. Tra loro c'erano anche la fotografa Letizia Battaglia, Rita Borsellino, sorella di Paolo, Pina Maisano Grassi, moglie di Libero, Daniela Dioguardi, Elvira Rosa, Rosanna Pirajno, Angela Lanza e molte altre. Donne che ricordano ancora con passione quei giorni. «È stato bello trovare una comunicazione fra donne diverse - conclude Simona Mafai - con le quali si è creata una solidarietà e una reciproca conoscenza, sono nate delle amicizie che durano tuttora. Quell'esperienza ha segnato una parte della nostra vita, proprio perché ci ha messe in comunicazione con altre donne. Penso che oggi per Palermo non si possa più parlare di coscienze addormentate, semmai ci sono delle coscienze che non si vogliono impegnare. Una volta si diceva "mafia" e rispondevano "Cos'è?". Oggi tutti sanno che c'è stata e c'è ancora in forme diverse, ma è stata molto ferita».

Tratto da: palermo.meridionews.it

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