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amato giuliano braccia apertedi Enza Galluccio
“Sia ben chiaro, soltanto con un esecutivo forte, legittimato nel tempo e nei consensi può proseguire il lavoro già iniziato da me e da Martelli. È una politica che va confermata e una legittimazione di quella politica passa attraverso la riconferma di entrambi… nel mio partito come in quello di Martelli c’è chi sarebbe molto contento che entrambi ce ne tornassimo a casa”.
È uno stralcio conclusivo dell’intervista realizzata da Giuseppe D’Avanzo (la Repubblica, 21 giugno 1992) al ministro dell’interno Vincenzo Scotti, quando fu presumibilmente costretto a lasciare il proprio incarico e subito sostituito da Nicola Mancino.
Il Pm Nino Di Matteo l’ha letta in Corte d’Assise a Roma dove si è svolto l’interrogatorio al testimone Giuliano Amato. È la trasferta del processo sulla Trattativa Stato-mafia e regna il solito clima surreale generato da risposte vaghe e dimenticanze che generano, a dir poco, perplessità.
All’epoca dei fatti Amato aveva ricevuto l’incarico di formare il governo dall’allora presidente della Repubblica Scalfaro, fino a quel momento Vincenzo Scotti era ministro dell’Interno e Claudio Martelli ministro della Giustizia e, insieme, stavano collaborando alla stesura della normativa sul 41-bis (D.L. 306 8 giugno 1992) applicata solo dopo la strage di via D’Amelio.
Ma che ruolo politico ha avuto Giuliano Amato nella storia di quegli anni? Decisamente un uomo onnipresente e  caratterizzato da mille sfaccettature. Dal 1983 al 1994 è stato un esponente e deputato del PSI di Craxi del quale diviene consigliere economico, politico e suo sottosegretario durante i due mandati di governo dal 1987 al 1992, proprio l’anno in cui dall’inchiesta Mani pulite esplodeva Tangentopoli che annientava quasi tutti gli attori politici della Prima Repubblica, a partire proprio da quel PSI e dal suo Segretario.
Potremmo quasi azzardare e definire Amato come l’anima della politica craxiana di quegli anni. Eppure il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro sceglie proprio lui, mentre l’Italia boccheggia tra corruzione e stragi.
Il Dottor Sottile compie un primo passo significativo di governo sostituendo quei due ministri determinanti per la lotta alla mafia: Scotti e Martelli. Il primo per passaggio diretto al Ministero degli Esteri e il secondo perché si dimette dopo l’inchiesta e le accuse legate al Conto Protezione.
Ma, per molti, i fili sono sempre e soprattutto nelle mani di Scalfaro. Si ritiene che sia il Presidente a dare indicazioni e dettare percorsi. Quindi, all’Interno arriva il più malleabile Mancino e alla Giustizia l’improvvisatore Conso.
Quest’ultimo, nel pieno delle conseguenze giudiziarie di Tangentopoli, con un decreto che porta il suo nome compie uno straordinario colpo di spugna che depenalizza il finanziamento pubblico ai partiti e, occultando il valore retroattivo della depenalizzazione, salva anche gli inquisiti di Mani pulite.
Per fortuna a quel tempo gli italiani erano attenti e si indignavano ancora, e Scalfaro è costretto a non firmarlo perché incostituzionale.
Il gesto però più eclatante del ministro Conso è quello che, a suo dire, decide in piena solitudine: la revoca del 41-bis a più di 300 mafiosi. Siamo tra maggio e novembre 1993, nel pieno delle stragi di Roma, Milano e Firenze, quindi, in piena trattativa tra lo Stato e la mafia, così come risulta dagli atti dei processi di Firenze e di Palermo.
Insomma, tutto questo è successo mentre Giuliano Amato era Presidente del Consiglio ma, oggi, non ricorda quasi nulla su quel cambio Scotti-Mancino all’Interno e di quel disappunto dichiarato apertamente da Scotti, né aggiunge altro su quella scelta solitaria di Conso.
Un vero virus istituzionale quello della smemoratezza.

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