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saviano capacchionedi Paolo Borrometi
Non si scherza con le parole, soprattutto quando c’è di mezzo la vita delle persone. Non si scherza assolutamente.
Mi provocano ribrezzo e disgusto le affermazioni farneticanti del senatore D’Anna (di ALA) che, in un’intervista, si è preso la briga di dire che Saviano è “un’icona farlocca” e che lui e Rosaria Capacchione (giornalista sotto scorta e parlamentare PD) “vivono di rendita e dovrebbero rinunciare alla scorta”.
La scorta non è un privilegio.
Nessuno pensi che chi, come Capacchione o Saviano, o Giovanni Tizian o Michele Albanese, è costretto a vivere sotto scorta, faccia una vita da privilegiato. Queste non sono scorte “istituzionali”, queste sono le scorte che, come visto recentemente con Giuseppe Antoci, salvano la vita.
Guai a pensare di fare basso populismo con questi temi.
C’è, però, un altro aspetto che mi disgusta di questo episodio: il silenzio assordante di chi avrebbe potuto (e dovuto) schierarsi in difesa di due persone che rischiano la vita, che hanno realmente contribuito ad un cambiamento culturale, con il loro lavoro.
Invece niente. Solo piccolissimi bisbigli solidali, molto meno forti di quel “leggero venticello della calunnia”. Perché, per andare contro all’odiato (o odiata) collega, si è disposti a montare in sella a qualsiasi asino.
27 maggio 2016

Tratto da: articolo21.org

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