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vitale salvo bestdi Salvo Vitale
Il primo sequestro è del l’agosto 2009, quando l'Ufficio misure di prevenzione composto da Cesare Vincenti, Vincenzo Nicastro ed Emilio Alparone accoglie la richiesta del giudice Scarpinato e procede al sequestro dei beni: vengono poste in amministrazione giudiziaria la Alimentari e la GIDI (Eurospin), una ditta che si occupa del commercio di carni e che ha un giro di 400.000 euro, ma che viene chiusa con la strana motivazione di mancata agibilità di una parte del locale. Segue, nel novembre dello stesso anno, un altro sequestro di Mio Discount, CA&GI, (Eurospin), GI&CA(Eurospin), Archivist Sicilia, in liquidazione, una catena di 17 supermercati controllati da otto aziende, «Full», «Ce.Di. Reale», «Pot», «Qui Agrigento», «Couple», «Double», «Tris» e «Poker»: i punti vendita controllati sono 11 a Palermo, uno a Sciacca, uno a Canicattì, uno ad Alcamo, uno a Cinisi, uno a Carini, uno a Marsala. Tutto fa capo alla “Five Immobiliare”, con sede in via Marchese di Villabianca 175, una società edile che però operava in tutt'altro settore, quello della grande distribuzione. Dietro a tutto i fratelli Giovan Battista, Vincenzo e Antonino Giacalone, assieme a Michele e Francesco Cageggi, questi ultimi considerati prestanome dei complessi meccanismi economico finanziari dei Giacalone. Le indagini scoprono un progetto di creazione di 40 supermercati in Sicilia e un sistema di scatole cinesi, attraverso la creazione di molte società, create nello stesso giorno o in un breve arco di tempo e concepite per occultare il patrimonio dei Giacalone diluendolo in attività intestate a prestanome e con caratteristiche diverse, cioè relative all’edilizia, rispetto a quelle reali, che interessavano la vendita commerciale di alimentari. Del resto la stessa “Five”, originariamente intestata a Giovanbattista Giacalone e alla moglie Anna Maria Gallina, era stata girata ad altri nominativi. Si trova anche tra i titolari la moglie di Antonino Giacalone, Anselmo Isabella. Tra i fornitori dei supermercati Giacalone e del suo Mediscount c’è la 6DiGi di Castelvetrano, già proprietà di Giuseppe Grigoli, il re dei supermercati del trapanese, già sotto il controllo di Matteo Messina Denaro e finita sotto la gestione dell’amministratore Ribolla. I tre fratelli  sono considerati i boss di San Lorenzo, un quartiere in periferia di Palermo già sotto il dominio di Sandro e Salvatore Lo Piccolo e il più giovane di loro, Giovan Battista, di 36 anni, subisce una condanna di 9 anni e 6 mesi per associazione mafiosa oltre al sequestro delle varie aziende che "vanno considerate, nella loro unitarietà, come espressione di una stessa gestione illecita", si legge nel decreto di sequestro.

L’amministrazione giudiziaria viene affidata all’avvocato Lucio Geraci, (in quota), con l'ordine di presentare entro sei mesi una relazione particolareggiata sulla consistenza e sullo stato dei beni. Costui dimostra strane capacità imprenditoriali: per prima cosa assume alcuni “amici”, ovvero persone che è obbligatorio sistemare nel momento in cui si ottiene l’incarico. Tra di essi c’è la figlia di un cancelliere del tribunale di Palermo, c’è la moglie di un brigadiere che lavora nel GI.CO, c’è un’esperta, presso la società Poker, di disciplina del lavoro, nominata su sollecitazione dei fratelli Cageggi, inquisiti: il suocero di uno dei due fratelli avrebbe lavorato nella DIA. In un incontro con Leoluca Orlando Geraci assicura che non ci saranno licenziamenti e che i dipendenti licenziati saranno assunti: in verità inizia una sistematica opera di demolizione servendosi di consulenti, tali Spatrisano e Davì, e di avvocati collaboratori come Colosimo, della Confindustria, ai quali paga laute prebende con i soldi delle aziende. Va ricordata anche Laura Centineo, sua amica, che rimane al suo posto come coadiutrice anche dopo la confisca, con la bella cifra di 4.500 euro al mese. In pratica egli dispone di una decina di suoi dipendenti ai quali dovrebbe ancora saldare 50 mila euro. Apre una Standa “Poker” a Carini nell’agosto del 2012, fornita dalla GICAP, che chiude in 6 mesi, con debiti per più di un milione di euro, dissequestra 200.000 euro di una delle società, apre un Eurospin ad Alcamo, che stenta ad andare avanti, nel dicembre 2012 chiude la GI.DI come si è detto per mancata agibilità di una parte del locale. Si susseguono curiose manovre, la GIAC, che vanta crediti nei confronti di alcune società, non paga i debiti contratti; le attrezzature della GI.DI scompaiono misteriosamente; la GI.DI ha una fideiussione di 200.000 euro, ma l'amministratore non paga i dipendenti che hanno perso il posto di lavoro. Si arriva, così alla confisca nel giugno 2915. L'avv. Alessandro Scimeca sostituisce Geraci, la Centineo, moglie di un collaboratore di Scimeca, rimane al suo posto, coadiutore di Scimeca è il dott. Diego Di Mariano, che ha lavorato presso lo studio di Cappellano Seminara. Il cerchio si chiude sempre.

L'Abbazia Sant'Anastasia e la Summer Scool
Scimeca è anche amministratore giudiziario della cantina Sant'Anastasia di Castelbuono, un antico monastero sequestrato al mafioso Francesco Lena, che, è giusto dire, riesce ad amministrare bene: si tratta di un'’antica Abbazia del 1.100, recuperata e ristrutturata (prima del sequestro) con finanziamenti della comunità europea, 29 camere, 55 posti letto, categoria 5 stelle, aperta tutto l’anno. Una cantina rimodernata produce 200 mila bottiglie, con 16 etichette di vino biologico più l’olio. Vi lavorano 12 persone a tempo indeterminato, e tra 35 e 75 stagionali a tempo determinato. Ogni anno vi si tiene, in estate, organizzato dall'ordine dei commercialisti, un corso per 30 amministratori giudiziari: l'anno scorso hanno relazionato il prof. Fiandaca, il dott. Fabio Licata, collaboratore di Silavana Saguto, Giuliana Merola, già presidente delle misure di prevenzione di Milano e consulente della Commissione antimafia, il dott. Antonio Balsamo,  presidente delle misure di prevenzione di Caltanissettao, il prof. Carmelo Provenzano, esperto di transazioni commerciali e studioso delle condizioni psicologiche degli amministratori giudiziari, e la dott.ssa Saguto, assieme al magistrato dott. Giambattista Tona, il quale ha detto: "Saper amministrare un’azienda dopo il sequestro significa avere la capacità di reinventare competenze diverse e di fonderle tra loro con un metodo volto al recupero di una visione non solo tecnica ma anche umanistica dell’agire economico; è un’attività assai difficile e non assimilabile né a quella del manager né a quella del libero professionista ma abbisognevole delle prospettive di entrambi". Alla fine pranzo gratis per tutti. Quest'anno il corso si è svolto dal 30 agosto al 5 settembre ed erano presenti oltre 30 i relatori tra cui, in ordine alfabetico: Antonio Balsamo, Magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Caltanissetta, Francesca Cannizzo, Prefetto di Palermo, Piero Grillo, Magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Trapani, Giuliana Merola, Magistrato, Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia, Umberto Postiglione, Direttore Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati, Silvana Saguto, Magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Palermo, Giovanbattista Tona, Magistrato, Corte d’Appello di Caltanissetta, Costantino Visconti, Docente di diritto Penale, Università di Palermo. Più o meno gli stessi dello scorso anno. Sempre con mangiata gratis. Per le prenotazioni, troviamo scritto sul sito, rivolgersi al dott. Diego Di Mariano.



Gentile Direttore,
mi chiamo Gianfranco Lena e sono il figlio di Francesco Lena, proprietario della cantina Abbazia Santa Anastasia.
Le scrivo relativamente all’articolo da voi pubblicato il 18/09/2015 intitolato “I fratelli Giacalone ed i supermercati palermitani”.
L’articolo a firma di Salvo Vitale, che peraltro stimo parecchio, riporta un passaggio al paragrafo “L’Abbazia Sant’Anastasia e la Summer School”, che recita così: “Scimeca è anche amministratore giudiziario della cantina Sant'Anastasia di Castelbuono, un antico monastero sequestrato al mafioso Francesco Lena..”.
Sinceramente pensavo di aver letto male o di non aver notato le virgolette che mi sarei aspettato sulla definizione “mafioso”, cosa che avrebbe reso l’appellativo, quantomeno, ironico...
Il vostro è un sito di informazione che leggo spesso e Vitale è, come ho già detto, un giornalista che apprezzo parecchio.
Però forse non siete informati del fatto che Francesco Lena, accusato il 10/06/2010 di associazione mafiosa, è stato assolto (con formula piena) in primo grado, in Appello e la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso definendolo “una doppia conforme di quello fatto in appello”.
Bene, credo che mio padre possa essere definito una persona vittima di un, clamoroso, errore giudiziario e non, di sicuro, un MAFIOSO.
Il fatto che i beni siano da ben 4 anni sotto sequestro da parte del Tribunale Misure di Prevenzione (sulla base delle stesse IDENTICHE accuse del processo penale), sequestro per il quale non si è neppure tenuta un’udienza, non credo sia sufficiente a definirlo “mafioso”. Anzi, occorrerebbe fare una seria riflessione, specie a livello legislativo, sull’applicazione delle Misure che, spessissimo, travalicano il fine per il quale nascono colpendo gente che con la mafia ha nulla a che fare.
Spero possiate rettificare in qualche modo quanto, erroneamente, affermato nell’articolo e, disponibile a fornirvi tutte le sentenze di cui parlo, ringrazio Lei per l’attenzione che vorrà prestare a questa mia email.
Cordialmente.
Gianfranco Lena



Condivido pienamente la richiesta di rettifica avanzata dal figlio di Francesco Lena, del quale conosco la vicenda. Live Sicilia aveva scritto, nel 2011, al momento del sequestro dell'Abbazia: "Accertati i suoi rapporti con i boss Salvatore Sbeglia, Nino Madonia (di cui sarebbe stato anche prestanome per quattro appartamenti), Francesco Bonura, con Salvatore Lo Piccolo, come emerge dalle intercettazioni, sarebbe stato in società già nel 1978 quando si occupava di costruzioni edili. Poi il salto nell'industria enologica". La vicenda, che, come quando coinvolge persone perbene è sempre un'odissea drammatica, era penalmente iniziata nel 2010 e si è chiusa nel 2014 con l'assoluzione definitiva dell'ing. Lena. Purtroppo non ho messo la parola mafioso tra virgolette. Con troppa frettolosità, sia dall'ufficio misure di prevenzione, sia dai magistrati e dagli investigatori, si affibbia l'etichetta di mafioso a buona parte degli imprenditori siciliani che, per una qualche ragione, cosa che in Sicilia è all'ordine del giorno, si sono venuti a trovare a contatto con settori gestiti da mafiosi. Rimane il fatto che l'Abbazia è ancora nelle mani dell'amministratore giudiziario Scimeca, uno dei pupilli della dott.ssa Saguto, che in quel locale organizza annualmente corsi di formazione per amministratori giudiziari con tutti i suoi amici e colleghi. Sarebbe opportuno che l'ufficio misure di prevenzione, ora che è cambiata l'aria, andasse al più presto, come avrebbe dovuto fare, per legge, a una valutazione della liceità degli investimenti con cui è stata realizzata l'Abbazia e la restituisse al suo legittimo proprietario.
Salvo Vitale

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