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arcangioli-giovanni-borsadi Federica Fabbretti
In Italia ogni omicidio eccellente che si rispetti ha i suoi misteri, i suoi depistaggi e oggetti che “misteriosamente” scompaiono. Scomparvero alcuni documenti dalla cassaforte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, furono cancellati dei dati dall’agenda elettronica di Giovanni Falcone e furono trafugate delle carte dall’abitazione dell’agente di Polizia Antonino Agostino. Nel caso del giudice Paolo Borsellino, a scomparire, quel maledetto 19 luglio 1992, fu l’agenda rossa dalla quale negli ultimi mesi di vita non si separava mai. I familiari del giudice ne denunciarono subito la scomparsa tramite il dottor Antonino Caponnetto che il 25 luglio 1992 rilasciò le seguenti dichiarazioni alla stampa:


Giornalista:
“Allora c’è da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro”.
Caponnetto: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei è particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, an­che quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la te­neva con se’ in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto”.
Giornalista: “L’agenda era in una borsa che non è andata di­strutta nell’esplosione?”
Caponnetto: “La borsa c’è e manca solo l’agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata”.

L’allora capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera ipotizzò che con molta probabilità l’agenda fosse stata bruciata dalle fiamme in via D’Amelio e che comunque non fosse di importanza investigativa. La Barbera si rivolse ad Agnese Piraino Borsellino, moglie del giudice, con queste parole: “Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione”.[2] Dell’agenda non si seppe più nulla. Finché non arrivò il 27 gennaio 2005, quando una fonte riservata segnalò alla redazione della rivista AntimafiaDuemila l’esistenza di una foto che ritraeva un carabiniere in borghese aggirarsi in via D’Amelio nei minuti successivi l’esplosione con in mano la borsa appartenuta a Paolo Borsellino (vedi foto in alto, ndr).

Il carabiniere della foto fu individuato dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Caltanissetta nel capitano dei ROS Giovanni Arcangioli ed ascoltato dall’Autorità Giudiziaria per la prima volta il 5 maggio 2005. Il 12 Ottobre 2006si apprese dalla stampa che Arcangioli era indagato dai magistrati inquirenti nisseni per false dichiarazioni al pubblico ministero. Il 1 febbraio 2008 il GIP Ottavio Sferlazza ordinò alla DDA di Caltanissetta l’iscrizione nel registro degli indagati di Arcangioli per il reato di furto con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Il 1 aprile 2008 il Giudice dell’udienza preliminare (GUP) di Caltanissetta Paolo Scotto di Luzio dichiarò il non luogo a procedere nei confronti di Arcangioli “per non aver commesso il fatto”. Infine il 17 febbraio 2009 la sesta sezione penale della Cassazione prosciolse definitivamente Giovanni Arcangioli dall’accusa di aver sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino.

Sul furto dell’agenda rossa non si celebrò nessun dibattimento, né a carico di Arcangioli né a carico di ignoti, nonostante le versioni di chi ebbe materialmente a che fare con la borsa di pelle nell’immediatezza della strage risultassero lacunose e discordanti.

Di seguito analizzeremo nello specifico le dichiarazioni dei protagonisti che vennero a contatto con la borsa del giudice nei momenti immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio, durante i quali l’agenda fu sottratta dalla borsa stessa. Le parole che leggerete sono tratte dalle testimonianze rilasciate, tra il 2004 e il 2013, dai protagonisti degli eventi durante le indagini seguenti al ritrovamento della famosa foto e durante le udienze dei processi ‘Borsellino TER’ e ‘Borsellino QUATER’.

I dati accertati
Nel quadro delle dichiarazioni discordanti e a volte confuse che andremo ad esaminare, possiamo contare su alcuni fatti che sono incontrovertibili. Sappiamo con certezza, per esempio, dalle testimonianze della moglie Agnese Piraino e dei figli Lucia e Manfredi, che il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva l’agenda rossa sulla scrivania del suo studio presso la casa a Villagrazia di Carini e che, alla partenza in direzione di via D’Amelio, l’agenda sul tavolo non c’era più. Sappiamo, dal racconto dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente di polizia Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non fecero soste durante il percorso verso via D’Amelio e che il giudice era solo al volante della sua Croma blindata. Sappiamo, grazie alle perizie della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17.20 e le 17.30 l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ebbe la borsa in mano e la portò in direzione dell’uscita di via D’Amelio. Sappiamo, dalle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da Arnaldo La Barbera pochi giorni dopo la strage, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo. Sappiamo che la famiglia del giudice controllò la borsa dopo la strage, denunciando la mancanza dell’agenda. Sappiamo che il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, ben tre mesi e mezzo dopo la strage. Sappiamo, sempre grazie ai reperti fotografici e video, che la borsa nelle mani di Arcangioli era integra, senza segni di bruciature mentre la borsa repertata dalla Procura era parzialmente bruciata su un lato.

Le testimonianze sul prelievo della borsa
Ai dati accertati di cui sopra, possiamo aggiungere alcune sequenze degli spostamenti della borsa del giudice considerando le dichiarazioni di due testimoni giunti in via D’Amelio poco dopo la strage: Rosario Farinella e Francesco Paolo Maggi.
Rosario Farinella, carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala, è stato identificato come colui che prelevò la borsa, integra, dalla macchina del giudice Borsellino su richiesta dello stesso Ayala.
Francesco Paolo Maggi, agente della Polizia di Stato, dichiarò di aver preso anche lui la borsa e fu incaricato di portarla in un ufficio della Questura di Palermo. Maggi redasse una relazione di servizio con la descrizione minuziosa dei fatti in questione cinque mesi dopo l’evento e su richiesta del funzionario incaricato delle indagini, Arnaldo La Barbera. Grazie ai ricordi di Farinella e Maggi, siamo in grado di ricostruire due momenti importanti per definire la cronologia dei fatti.

Il primo prelievo della borsa

Rosario Farinella ha testimoniato di essere arrivato in auto in via D’Amelio, assieme al collega Angelo De Simone (entrambi in servizio di scorta) e al dottor Giuseppe Ayala, pochi minuti dopo l’esplosione. Dopo aver riconosciuto il cadavere del giudice Borsellino, Giuseppe Ayala notò la borsa in pelle all’interno della macchina. Farinella ha dichiarato:

“Abbiamo raggiunto l’abitazione e sono salito nell’appartamento della personalità (Giuseppe Ayala, ndr), il quale aveva anche udito l’esplosione, per cui siamo immediatamente scesi per recarci in direzione della stessa via D’Amelio. Ricordo che il fumo era perfettamente visibile da dove ci trovavamo. A bordo dell’auto di servizio abbiamo raggiunto la via Autonomia Siciliana e da lì, a piedi, abbiamo cercato di entrare nella via D’Amelio”.

[3]

“Mi trovavo a circa 50 100 metri in linea d’aria, eravamo all’hotel Marbella (…). Stavamo aspettando la personalità che doveva scendere. Subito dopo lo scoppio l’abbiamo avvisato e abbiamo capito che veniva il fumo di là, lui diceva che là ci abitava la mamma del giudice Borsellino. (…) Insieme a me c’era una carabiniere De Simone. (…) Ci siamo portati su quella parte, siamo arrivati quasi i primi di tutti, contemporaneamente ai vigili del fuoco e nemmeno potevamo entrare per le fiamme che c’erano. (…) Siamo arrivati, ho dato ordine al mio carabiniere di lasciare la macchina, di chiuderla e di stare con me e la personalità. (…) Appena arrivati andiamo dove c’era il cratere e, camminando, vediamo i corpi dei colleghi della scorta. Siamo entrati dentro il cortiletto, abbiamo visto il dottore che era lì per terra e l’abbiamo riconosciuto per via dei baffi. (…) Al momento abbiamo pensato solo alle vittime, poi appena siamo usciti le due macchine erano posizionate al centro della strada. Guardando le macchine, il dottor Ayala ha visto che c’era la borsa dentro il sedile posteriore”.[4]

Farinella ed un vigile del fuoco forzarono la portiera della macchina e, dopo non pochi tentativi, riuscirono ad aprirla. A quel punto Farinella prese in mano la borsa, totalmente integra ed asciutta, fece per consegnarla ad Ayala che rifiutò di prenderla non essendo più magistrato in servizio. Dopo pochi minuti Ayala stesso chiamò un uomo in abiti civili, che indicò come un funzionario di Polizia o un ufficiale, e gli fece consegnare la borsa da Farinella, spiegandogli dove la avessero trovata e a chi appartenesse. Farinella ha dichiarato:

“Ricordo perfettamente che quando ci siamo avvicinati all’auto del magistrato che aveva tutte le portiere chiuse, ma non a chiave, il Dr. Ayala ha notato che all’interno della stessa, appoggiata sul sedile posteriore, c’era la borsa di cuoio del dr. Borsellino per cui, con l’aiuto dello stesso vigile del fuoco abbiamo aperto la portiera posteriore. Preciso che questa operazione non è stata semplice, in quanto l’esplosione aveva fatto incastrare le portiere. Io personalmente ho prelevato la borsa dall’auto e avevo voluto consegnarla al dr. Ayala. Questi però mi disse che non poteva prendere la borsa in quanto non più magistrato, per cui io gli chiesi che cosa dovevo farne. Lui mi rispose di tenerla qualche attimo in modo da individuare qualcuno delle Forze dell’Ordine a cui affidarla. Unitamente a lui ed al mio collega ci siamo allontanati dall’auto dirigendoci verso il cratere provocato dall’esplosione, mentre io reggevo sempre la borsa. Dopo pochissimi minuti, non più di 5 7, lo stesso Ayala chiamò un uomo in abiti civili che si trovava poco distante (…)”.[5]

Secondo Farinella, l’uomo indicato da Ayala prese la borsa, parlò un po’ con l’ex PM e poi si diresse verso l’uscita di Via D’Amelio:

“Lui ha individuato una persona e mi disse ‘appuntato, dia la borsa a ...’ mi avrebbe detto il nome ma non ricordo ed io ho consegnato la borsa alla persona che mi ha detto il dottor Ayala, che io non conoscevo. Mi ha detto che era un ufficiale o un ispettore, mi ha detto che era un funzionario appartenente o alla Polizia o ai Carabinieri. (…) Era in abiti civili. Penso che il dottor Ayala lo conosceva, perché mi ha detto ‘è una persona che conosco io’. Ayala gli disse ‘questa è la borsa che abbiamo preso dalla macchina del dott. Borsellino’. L’ufficiale non disse niente, a parte un ‘ci penso io, non vi preoccupate’, si sono parlati lui e Ayala. (…) Non abbiamo aperto assolutamente la borsa. Mentre avevo io la borsa non si è avvicinato nessuno, non ricordo che si avvicinò Cavallaro ma Ayala parlò con tante persone in quei momenti. (…) Una volta che l’ufficiale ha preso la borsa, ha parlato con il dottor Ayala, la prende e la porta via verso l’uscita, verso via Autonomia Siciliana. Poi ce ne siamo andati da lì e poi siamo andati a Mondello. Siamo andati via e non siamo più tornati”.

[6]

Riguardo le condizioni della borsa Farinella è sicuro, la borsa era integra:

“Posso affermare con quasi certezza che la borsa che ho prelevato dall’auto era perfettamente integra e non presentava bruciature come quelle che sono evidenti nelle foto che mi mostrate. Peraltro, nel momento in cui abbiamo aperto l’auto la stessa non era stata interessata dalle fiamme nell’abitacolo. (…) le fiamme interessavano solo l’esterno dell’auto, compreso i pneumatici, ma non l’interno. Peraltro, se all’interno vi fossero state fiamme e fumo, non avremmo potuto notare nemmeno la borsa al suo interno.

[7]

Farinella si dice convinto che l’uomo a cui consegnò la borsa su richiesta di Ayala, non portasse distintivi delle forze dell’ordine in vista:


Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento; di questo particolare ritengo che mi ricorderei”.

[8]

Le testimonianze di Farinella del 2006 e del 2013 sono quasi sovrapponibili, tranne che per un piccolo particolare: nella seconda deposizione lo sportello che Farinella ricorda di aver aperto sembra essere stato quello destro.

Il secondo prelievo della borsa

La borsa, dopo un breve lasso di tempo, ricompare lo stesso pomeriggio del 19 luglio 1992 nell’auto del giudice. Dopo anni di indagini e testimonianze, per l’autorità giudiziaria non è ancora stato possibile identificare la persona che riposizionò la borsa all’interno dell’abitacolo.
L’agente Francesco Paolo Maggi, perlustrando la zona e le macchine, disse di essersi accorto di una borsa di pelle che, all’interno di una delle macchine blindate, stava per essere interessata da un inizio di fiamma. Dopo averla fatta spegnere da un vigile del fuoco, prese la borsa, parzialmente bruciacchiata e bagnata dagli idranti del pompiere, e si diresse verso il suo superiore, il funzionario Paolo Fassari a cui chiese disposizioni. Fassari gli ordinò di portare la borsa nell’ufficio dell’allora dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera. Maggi ha dichiarato:

“Abbiamo iniziato a perlustrare la zona e le macchine. In tale contesto ho notato che all’interno della macchina blindata sulla quale viaggiava il magistrato c’era una borsa di cuoio che stava per essere aggredita dalle fiamme, tanto che risultava parzialmente danneggiata in un lato. Pertanto, ho attirato l’attenzione di uno dei vigili a me più vicino, chiedendogli di provvedere a spegnere la macchina e la borsa; cosa che fece ed io così ho potuto prelevarla. Preciso che la portiera posteriore sinistra dell’auto blindata era aperta mentre la borsa si trovava sul pianale posteriore, dietro il sedile passeggeri; dopo che il vigile ha spento le fiamme sono stato io ad allungarmi dal lato sinistro dell’auto per prelevare la borsa dal lato destro. Presa la borsa mi sono diretto verso l’uscita della strada per portarla al dottore Fassari il quali mi disse di portarla immediatamente alla Squadra Mobile e di depositarla nell’Ufficio dell’allora Dirigente, dottor Arnaldo La Barbera. Io ripresi l’auto di servizio e ottemperai immediatamente a quanto disposto. Giunto in ufficio, ricordo che nel corridoio antistante l’ufficio del dirigente c’erano diversi colleghi, tre o quattro, e tra costoro c’era un certo Di Franco, autista del dirigente, al quale spiegai la provenienza della borsa e la depositai sopra il divanetto che era ubicato sulla sinistra entrando nell’ufficio del dottor la Barbera, dopodiché ritornai in via D’Amelio. (…) Non ho mai aperto la borsa ed escludo che il dottore Fassari lo abbia fatto lì in mia presenza; lo stesso, apprendendo da me la provenienza della borsa, si è limitato a darmi la disposizione già riferita.

Ricordo di avere inizialmente fatto più volte avanti e indietro dalla via D’Amelio perché il fuoco e soprattutto il fumo impedivano di stare troppo vicino ai luoghi della strage. Ritengo che nel periodo in questione siano trascorsi circa 10 minuti”.

[9]

In occasione della deposizione di Francesco Maggi al processo ‘Borsellino QUATER’, il Pubblico Ministero ha chiesto spiegazioni sul ritardo nella stesura della relazione di servizio da parte di Maggi e sulla consegna della borsa in Questura e Maggi ha così risposto:

“‘Sta relazione non so perché non la feci al momento, l’ho fatta successivamente e la consegnai al dott. La Barbera personalmente. Si, magari lui si incavolò su questa cosa, disse ‘come mai ancora non l’hai fatta sta relazione?’, ‘dottore, tra una cosa e un’altra non l’ho fatta’, mi giustificai così. Mi venne richiesta la relazione dal dott. La Barbera perché dovevo essere sentito.. a quel tempo dal dottor Cardella (PM che si occupò delle indagini e del primo processo sulla strage di Via D’Amelio, NdA). (…) La borsa era piena sicuramente ed era abbastanza pesante, conteneva materiale all’interno. (…) La borsa l’ho consegnata al collega Di Franco, era l’autista del dottor La Barbera. Entrammo insieme nella stanza del funzionario, del capo della mobile, sulla destra c’era un divano con delle poltrone e l’ha messa sul divano”.

[10]

L’allora Primo Dirigente Paolo Fassari, sentito dai PM di Caltanissetta, non ha ricordato di aver ordinato a Maggi di portare la borsa nella stanza del dottor La Barbera, né i colleghi di servizio nei pressi della stanza in questione hanno confermato a verbale di aver visto Maggi o preso da lui in custodia una borsa. In particolare, l’autista del dirigente Arnaldo La Barbera, il poliziotto Sergio Di Franco, ha negato fermamente di aver preso in carico la borsa e di aver incontrato Maggi che lo aveva chiamato in causa.
Ad oggi, non sono stati trovati riscontri da parte dei colleghi di Francesco Maggi che abbiano potuto confermare la sua versione dei fatti; gli unici ricordi, per loro stessa ammissione molto flebili, sono quelli di due funzionari della Questura di Palermo, i vicequestori aggiunti Gabriella Tomasello e Andrea Grassi, che hanno ricordato vagamente di aver visto una borsa in pelle, rispettivamente, nella stanza del dottor La Barbera e in quella del dirigente della Sezione Omicidi. Il dottor Grassi ha ricordato di aver intravisto, dalla borsa che era aperta, ‘alcuni effetti personali, quali un pantaloncino o una maglietta tipo tennis’. Un pantaloncino fu effettivamente ritrovato all’interno della borsa.

Chi ha preso per primo la borsa?
C’è chi, come il dottor Paolo Scotto di Luzio, il GUP che dichiarò il non luogo a procedere per il reato di furto aggravato dell’agenda rossa a carico di Giovanni Arcangioli, ha messo in discussione che Ayala e Farinella fossero stati i primi a prendere la borsa, ipotizzando che potesse essere stato lo stesso Maggi ad averla notata e prelevata per primo. Maggi dichiarò di essere arrivato sul posto quasi contemporaneamente ai primi vigili del fuoco. Ma è ragionevole ritenere che sia stato Farinella ad arrivare sul posto prima di Maggi. A tale conclusione si giunge confrontando gli spostamenti compiuti da Farinella e da Maggi prima di arrivare in via D’Amelio dopo lo scoppio dell’autobomba, fermo restando che tutti e due, una volta arrivati, furono impegnati in altre attività prima di occuparsi della macchina e della borsa del giudice.

Farinella sentì l’esplosione e partì in macchina, assieme ad Ayala, dal Marbella Residence che è collocato ad una distanza percorsa in auto di circa 650 metri da via D’Amelio.
Maggi ricevette la notizia dell’esplosione tramite radio, passò a prendere Fassari presso l’abitazione di quest’ultimo, sita in Corso Pisani, ed assieme a lui di diresse in via D’Amelio. Corso Pisani dista circa 6 chilometri da via D’Amelio.
Risulta poco probabile che l’ispettore Maggi e il funzionario Fassari possano essere arrivati sul posto prima del deputato Ayala e dell’appuntato Farinella e ancor meno verosimile la possibilità che siano arrivati quasi contemporaneamente al primo gruppo di vigili del fuoco i quali, come risulta dalla relazione di servizio, giunsero sul luogo alle ore 17.03, dopo soli cinque minuti dall’esplosione.

Le testimonianze di Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli a confronto
Abbiamo fin qui ricostruito alcuni passaggi del percorso della borsa di Paolo Borsellino dal momento dell’esplosione all’instante in cui fu verosimilmente depositata in Questura nella stanza del dottor Arnaldo La Barbera. Le parti mancanti sono nei ricordi contrastanti, parzialmente ritrattati e/o modificati dei due protagonisti principali di questi eventi: Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli.

Giuseppe Ayala
L’allora parlamentare ed ora di nuovo magistrato Giuseppe Ayala ha dato negli anni cinque versioni differenti della vicenda. Su due punti, invece, ha confermato lo stesso ricordo: non aveva idea che in via D’Amelio abitasse la madre di Borsellino e non conosceva personalmente l’ufficiale al quale consegnò la borsa del giudice.

La prima versione

Nella prima versione, datata 8 aprile 1998 (quindi sette anni prima che comparisse la foto che ritrae Arcangioli con in mano la borsa di Paolo Borsellino), Giuseppe Ayala, interrogato come persona informata sui fatti dai PM nisseni Carmelo Petralia ed Annamaria Palma, ha raccontato di aver sentito l’esplosione dal Residence Marbella in cui alloggiava, a 200 metri in linea d’aria dal luogo della strage, e di essersi recato in via D’Amelio a piedi:

“Appena sentita la deflagrazione ed appreso dal personale della scorta il luogo presumibile dello scoppio, mi recai a piedi in direzione della zona interessata. (…) la vista dell’auto blindata che riconobbi come una di quelle della Procura mi diedero la certezza che si trattasse di un attentato in danno di un collega della Procura; non sapevo infatti che in quel luogo abitasse la mamma di Paolo Borsellino. Dal momento dello scoppio a quello del mio arrivo in via D’Amelio non trascorsero più di dieciquindici minuti.”

Ayala ha affermato che davanti alla macchina del giudice Borsellino c’era un ufficiale dei Carabinieri in divisa che aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano:

“(…) Vidi i primi cadaveri a brandelli ed osservai la blindata che era ancora integra. Cercai di guardare all’interno senza risultato per via del fumo che avvolgeva tutto. Tornai indietro verso la blindata della procura anche perché nel frattempoun carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto. Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiature e tuttavia integra, l’ufficiale tirò fuori la borsa e fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo non appena fossero intervenuti. Davanti a me la borsa non fu né aperta, né poggiata su un muretto (...). Non so poi a chi di fatto sia stata consegnata.”

Successivamente Ayala vide il corpo del giudice Borsellino ed incontrò il giornalista Felice Cavallaro, che lo invitò a tranquillizzare i suoi figli sul fatto che l’attentato non avesse avuto lui come bersaglio. Ayala decise allora di tornare a casa a telefonare:

“Subito dopo mi diressi verso lo stabile. In prossimità dell’ingresso, sulla sinistra per chi lo guardava, inciampai in un troncone umano che solo successivamente capii essere quello del collega Borsellino. (…) Poco dopo arrivò Felice Cavallaro, il quale mi invita ad avvisare i miei figli del fatto che non ero coinvolto nell’attentato, essendo si sparsa la voce che l’attentato era stato perpetrato ai miei danni. Per tale ragione corsi subito a casa a telefonare. Complessivamente rimasi sul posto circa un’ora, forse anche meno”.

 
La prima versione riveduta

Nemmeno tre mesi dopo, il 2 luglio 1998, Giuseppe Ayala ha deposto a Caltanissetta nel processo denominato ‘Borsellino TER’. Qui ha confermato la versione precedente, modificando leggermente un ricordo: non era più sicuro che la persona che prese la borsa dalla macchina del giudice fosse un carabiniere in divisa:

Sono tornato verso la macchina, era arrivato qualcuno... parlo di forze di polizia. Ora, il mio ricordo è che a un certo punto questa persona, che probabilmente io ricordo in divisa, però non giurerei che fosse un ufficiale dei Carabinieri, (...) ciò che è sicuro è che questa persona aprì lo sportello posteriore sinistro della macchina di Paolo. Guardammo dentro e c’era nel sedile posteriore la borsa con le carte di Paolo, bruciacchiata, un po’ fumante anche... però si capiva sostanzialmente... lui la prese e me la consegnò. (…) Io dissi: Guardi, non ho titolo per... La tenga lei ”.


La seconda versione

Il 12 settembre 2005, Giuseppe Ayala è stato sentito in merito alle indagini seguenti il ritrovamento della famosa foto che ritraeva il capitano Arcangioli con in mano la borsa del giudice Borsellino. Davanti ai magistrati di Caltanissetta, Francesco Messineo e Renato Di Natale, Ayala ha modificato sostanzialmente alcuni punti cruciali dei suoi ricordi di quella giornata.

Ayala ha ribadito di essere arrivato in via D’Amelio a piedi e di non sapere che lì abitasse la madre del giudice:

“Sono sceso e mi sono subito recato a piedi sul posto, ho percorso la via D’Amelio in direzione del fumo che notavo sempre più denso (…). Non avevo idea che cosa potesse essere avvenuto anche perché non sapevo che in quella via abitasse la madre del dottore Borsellino. (…) Dal momento in cui ho udito lo scoppio ed il momento del mio arrivo in via D’Amelio saranno trascorsi non più di 7 o 8 minuti (…)”.

Ayala ha confermato di aver notato l’auto con l’antenna e di aver capito che fosse della Procura, di aver identificato il cadavere di Paolo Borsellino e, successivamente, di aver notato l’auto del magistrato. Ed è a questo punto che i ricordi di Ayala cambiano drasticamente:

“Istintivamente mi allontanai qualche passo dell’auto di sopra e notai che lo sportello posteriore sinistro dell’autovettura – che non bruciava più era aperto. Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò, per cui ricordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei Carabinieri che era a pochi passi. Era in divisa, perché diversamente non avrei potuto identificarlo come tale. Non riesco a ricordare se si trattasse della formale divisa oppure di una casacca come quelle che vengano adoperato in tali circostanze, comunque, non conoscevo l’ufficiale in questione. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino”.

Non è più l’ufficiale in divisa, quindi, ad estrarre la borsa dalla macchina ma Ayala in persona ed è lo stesso Ayala a consegnarla all’ufficiale.

Ayala ha confermato l’arrivo del giornalista Cavallaro ma, diversamente dalla deposizione al ‘Borsellino TER’, ha affermato di non essersi recato a casa per telefonare ai figli e di essersi recato subito a Mondello:

“Poco dopo fui raggiunto dal dottore Felice Cavallaro, il quale piangendo mi comunicò che a Palermo si era sparsa la voce dell’attentato e venivo indicato come la vittima dell’attentato stesso. Mi suggerì di correre dai miei figli per rassicurarli. Per tale ragione lasciai la via D’Amelio e mi recai subito a Mondello presso la mia famiglia”.

Quando gli è stata mostrata la foto di Arcangioli, Ayala ha dichiarato:

“Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa. Per quanto posso sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via”.

Ayala ha escluso “in modo perentorio” che sia stato l’ufficiale ad afferrare la borsa e a fare il gesto di passargliela:

 “Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa. La borsa da me prelevata era bruciacchiata ma apparentemente integra. Non era particolarmente pesante, nel senso che il suo contenuto non sembrava avere un grosso spessore”.

Sulla presenza della scorta Ayala, riducendo notevolmente il tempo di permanenza in via D’Amelio rispetto alle dichiarazioni del 1998, ha aggiunto:

“Rimasi sul posto non più di 20 minuti complessivamente. Se mal non ricordo l’auto di servizio e quelle di scorta mi avevano frattanto raggiunto all’ingresso di via D’Amelio sulla mia autovettura partii per andare a Mondello dai miei figli.” 


La terza versione

L’8 febbraio 2006 Ayala è stato ascoltato dai magistrati nisseni Francesco Messineo e Renato Di Natale ed ha modificato nuovamente la propria versione dei fatti:

“Subito dopo avere identificato i resti di Paolo Borsellino mi allontanai dal giardinetto del palazzo nel quale giacevano i detti resti e mi mossi verso l’autovettura del dottore Borsellino che si trovava a pochi metri dal giardinetto nella sede stradale. Qui incontrai il giornalista Cavallaro che, in preda a viva emozione, mi disse tra l’altro di raggiungere subito i miei figli a Mondello perché si era sparsa la voce che l’attentato era stato consumato in mio danno. In tale momento ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi (…) che è certo che non fosse in divisa, la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa. E poiché ero già in posizione di fuori ruolo dalla magistratura per mandato parlamentare non avevo alcun titolo per ricevere detta borsa e quindi, dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale dei Carabinieri in divisa, quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale. (…) Non conoscevo e tuttora non ho mai avuto modo di conoscere né l’ufficiale in divisa né la persona in borghese di cui ho detto. Non lo ho riconosciuto neanche nella fotografia che mi viene mostrata pubblicata dal Corriere della Sera”.

Questa volta Ayala si dice quindi certo che chi ha prelevato la borsa non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi a estrarla, ma la prese in mano e la consegnò ad un altro ufficiale in divisa.
Ayala ha fatto presente ai magistrati l’esistenza di un testimone disposto a confermare la sua versione dei fatti, Felice Cavallaro, il quale sembra entrare in scena nel momento in cui la borsa viene prelevata dalla macchina, a differenza della prima versione di Ayala del 1998, nella quale il giornalista arrivava dopo il prelievo della borsa e dopo il riconoscimento del corpo di Borsellino.

L’otto febbraio 2006 Giuseppe Ayala, dopo essere stato sentito dai PM di Caltanissetta, è stato messo a confronto con Giovanni Arcangioli, il quale ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di prendere la borsa probabilmente da Ayala e di avervi guardato all’interno assieme a lui. L’ex parlamentare è stato fermissimo nel negare che gli eventi siano andati secondo quanto affermato da Arcangioli:

“Nego quindi sia di avere comunque richiesto il prelievo della borsa, sia di avere in qualsiasi modo aperto la borsa stessa o visionato il contenuto della predetta. Per altro, in contrasto con quanto ha affermato il Col. Arcangioli, io in quella circostanza non ho mai attraversato la via D’Amelio e non mi sono mai portato sul lato opposto alla casa della madre di Borsellino. (…) Non credo di avere mai conosciuto in precedenza il Col. Arcangioli, che credo di aver incontrato oggi per la prima volta. Non sono in grado di affermare o escludere che lo stesso Col. Arcangioli si identifichi nella persona in borghese che estrasse la borsa dall’autovettura.”

Felice Cavallaro, sentito dai magistrati Francesco Messineo e Renato Di Natale il 23 febbraio 2006, ha confermato la versione di Ayala (anche se ha posizionato la borsa sul pianale dell’auto e non sul sedile), aggiungendo alcuni particolari:

 “Per quanto posso ricordare l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dott. Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto. A questo punto vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto posso ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato. Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento. (…) L’ufficiale indossava la divisa estiva dei Carabinieri completa della giacca. Si trattava di un Colonnello o di un Ten. Colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un Capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il Colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione.”

Questo ricordo, nella memoria di Cavallaro, è emerso a quattordici anni dalla strage e dopo quindici giorni che l’autorità giudiziaria di Caltanissetta aveva disposto il confronto diretto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli che lo aveva chiamato in causa.

Dopo tre anni, il 22 luglio 2009, Cavallaro ha aggiunto inaspettatamente in un’intervista un dettaglio affermando che anche lui ebbe in mano la borsa:

(...) Eravamo accanto all’auto del giudice Borsellino con la portiera posteriore spalancata – ha detto Cavallaro e fra il sedile anteriore dell’autoguida e la poltrona posteriore, proprio poggiata a terra, c’era una borsa di cuoio che una persona, credo un agente in borghese, ha preso e quasi consegnato a me, forse scambiandomi per un assistente (…) Fatto sta che questa borsa, avendola avuta per un istante così...avendola tenuta dal manico per un istante, io la stavo quasi passando al giudice Ayala con il quale ci siamo scambiati... così... degli sguardi. (…) Giuseppe Ayala ha avuto la prontezza di spirito di... vedendo un colonnello dei Carabinieri o comunque un alto ufficiale dei Carabinieri, del quale non ricordiamo con esattezza né i gradi né purtroppo il volto, (…) Il giudice Ayala ha consegnato questa borsa a un colonnello dicendo: La tenga lei ”.[11]

Durante la deposizione al processo ‘Borsellino QUATER’, il 29 aprile 2013, Felice Cavallaro ha confermato la versione data nell’interrogatorio del 2006 ed ha ribadito il dettaglio mancante emerso nell’intervista del 2009, aggiungendo però di non ricordarsi più il grado dell’ufficiale al quale fu consegnata la borsa e confermando che fosse in divisa.

Nel corso dell’udienza, l’avvocato di parte civile Fabio Repici ha mostrato a Cavallaro un articolo a sua firma, datato 26 luglio 1992, nel quale il giornalista scrive a proposito della sparizione dell’agenda rossa:

‘… Significa che, davanti alla portineria della strage, fino a domenica mattina doveva essere parcheggiata una macchina diversa da rimuovere poco prima del "via libera" con uno spostamento dell’autobomba, effettuato in un raggio ristretto alle vicinanze di via D’Amelio. Ma trovare il box o il garage d’appoggio non sarà facile. Non è l’unico buco nero. C’è pure quello dell’agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta’.[12]

Alla richiesta dell’avv. Repici di spiegare per quale motivo Cavallaro non abbia ritenuto importante, dopo aver scritto della scomparsa dell’agenda rossa, comunicare all’autorità giudiziaria il fatto di aver avuto in mano un oggetto così importante, Cavallaro ha risposto:

“(...) Non devo averlo messo in relazione a questo... a quella scena della borsa.”

La quarta versione

Il 23 luglio 2009 Ayala ha rilasciato un’intervista al sito internet Affaritaliani.it durante la quale, parlando del momento del prelievo della borsa dall’autovettura ancora fumante di Borsellino, ha cambiato ancora una volta versione:

“La borsa nera di Borsellino l’ho trovata io, dopo l’esplosione, sulla macchina. Che ci fosse, nessuno lo può sapere meglio di me, perché l’ho presa io. Non l’ho aperta io perché ero già deputato e non avevo nessun titolo per farlo. A differenza di quanto si ricordi, io sono andato in Parlamento prima della morte di Borsellino e quindi non avevo nessun titolo per aprirla. Ma io sono arrivato per primo sul posto perché abito a 150 metri. Anche prima dei pompieri. Quando l’ho trovata l’ho consegnata ad un ufficiale dei Carabinieri. E’ verosimile che l’agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire”.

[13]

E’ dunque Ayala che vede la borsa, la prende e la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri.

 Ayala ha confermato la versione del luglio 2009 in occasione della manifestazione “FestivaLegalità” tenutasi a Venezia il 7 aprile 2013:

“(...) Dopodiché entro nel giardinetto e inciampo … stavo cadendo su un corpo, sono inciampato in un … cadavere bruciato, dopodiché io esco da questo giardinetto, quattro passi  questo è quello che io ricordo eh – non ho un ricordo lucido, il ricordo che io ho è che nella macchina di Paolo con lo sportello aperto questa borsa e istintivamente – non tenendo conto che non ero più procuratore della Repubblica (…)  istintivamente io prendo questa borsa e la porto là e la consegno ad un ufficiale dei Carabinieri, non c’è dubbio che pensavo di metterla in mani sicure (…).”


La quinta versione

All’udienza del processo Borsellino QUATER, il 14 maggio 2013, Giuseppe Ayala ha dato la quinta versione su quanto accaduto il 19 luglio 1992. Ayala ha detto di aver udito l’esplosione ed essersi diretto in macchina con i ragazzi della scorta verso via D’Amelio, dove arrivò circa dieci minuti dopo lo scoppio. Sul luogo si accorse della presenza di una macchina della Procura e poi riconobbe il cadavere di Paolo Borsellino:

“Io abitavo al Marbella Residence (…) – ha dichiarato Ayala – che è a 300 metri rispetto a Via D’Amelio. (…) Scendo e con i ragazzi della scorta andiamo. Anche perché nessun collegamento potevo fare né lo potevano fare i ragazzi della scorta perché io non sapevo che la povera mamma di Paolo abitasse in quella zona, non avevo idea, per cui non ho pensato a nessuna soggettività particolare. E siamo scesi dalla macchina, siamo entrati in via d’Amelio, (…) mi avvicino verso, dove capivo che c’era stato l’epicentro, diciamo e vedo... e lì entrai un po’ in crisi perché vedo una macchina blindata con lo sportello posteriore aperto (…). E questa macchina era nelle immediate vicinanze di un cancelletto, di un accesso ad un giardinetto al di là del quale c’era il portone del palazzo. Mi viene istintivo entrare lì per capire meglio, per vedere meglio e sono inciampato. (…) su un troncone di uomo, con la testa, carbonizzato. (…)”

Poi Ayala si avvicinò alla macchina del giudice e vide la borsa:

“Siccome lo sportello aperto era quello lato... posteriore (...) e in un fotogramma ho visto quella borsa che era proprio sul sedile posteriore, non c’è dubbio, ed era proprio lì, vicinissimo a me. In quel momento è arrivato Felice Cavallaro, stravolto, (…)  La borsa era lì, io me la sono ritrovata in mano, mi sembra che ci fosse uno che me l’ha... ma era questione di centimetri, era proprio lì, vicinissima, ripeto, io l’ho tenuta pochissimi secondi in mano, poi ho visto questo ufficiale dei Carabinieri e gli ho detto ‘guardi la tenga...’ anche perché io non avevo nessun titolo per tenerla, non essendo in quel momento in ruolo, non facevo il magistrato, (…) C’era qualcuno (in abiti borghesi) ma forse più di uno, lì vicino, ma c’era molta gente che si andava avvicinando. Io quello che ricordo perfetto era Cavallaro alla mia sinistra (…) e poi c’era questo ufficiale dei Carabinieri che era quasi di fronte a me e poi ho intravisto con la coda dell’occhio c’erano altre persone, tre, due, non me lo ricordo, certo non eravamo solo io, Cavallaro, questo ufficiale dei Carabinieri, (…).

A domanda specifica su chi avesse prelevato la borsa, Ayala ha risposto:

“Ora, se materialmente l’ho presa io o se questa persona me l’ha data, io francamente questo è un dettaglio che non ricordo, non sta a me fare apprezzamenti e ci mancherebbe altro ma la cosa importante è che io questa borsa l’ho avuta in mano, non c’è dubbio e l’ho consegnata immediatamente a un ufficiale dei Carabinieri, e lì finisce il mio rapporto con la borsa.”

Il Pubblico Ministero ha chiesto se fosse possibile che qualcuno della sua scorta si fosse intromesso o si fosse adoperato in riferimento al prelievo della borsa dall’autovettura. Ayala ha risposto seccamente: “Lo escludo”.

Il PM ha poi rivolto ad Ayala ulteriori domande alle quali il magistrato ha così risposto:

“Guardi io, siccome sappiamo di cosa stiamo parlando, e cioè dell’agenda di Paolo, la cui esistenza ovviamente è confermata dai familiari più stretti e dai collaboratori più stretti di Paolo e che non essendosi trovata da nessuna altra parte è presumibile, è chiaro che era dentro quella borsa. Io non ne avevo idea di questo (che Paolo scrivesse tutto sulle sue agende), si può chiedere anche ai colleghi dell’epoca, diciamo. Paolo era noto e per me fu utilissimo perché lui teneva delle rubriche (…). Erano rubriche, di agende non me ne ricordo affatto ma soprattutto, (…) da sei anni non avevo contatti con Paolo, rapporti di lavoro, di ufficio, di frequentazione, da sei anni a parte alcune vicende occasionali, quindi io non avevo idea che ‘A’ che lui avesse un’agenda ma, dico, un’agenda ce l’avevamo tutti, ma soprattutto quello che ci fosse scritto. Che evidentemente, questo è una cosa di percezione immediata, eh, beh, che dovevano essere annotazioni delicate. (…), ‘B’ che fosse nella sua borsa, ‘C’ ma meno che mai che ci potessero essere delle annotazioni delicate, perché poi era pure domenica, nella borsa non pensi che ci possa essere...”

Ad Ayala è stato chiesto se abbia mai parlato con il giornalista Felice Cavallaro riguardo al prelievo della borsa. Ayala ha negato, nonostante nell’interrogatorio dell’8 febbraio 2006 avesse sostenuto di aver verificato assieme al giornalista i loro ricordi.

Ayala ha sostenuto, analogamente a quanto detto da Cavallaro, di non aver mai ricollegato la borsa con la sparizione dell’agenda rossa, di cui – ha detto – non venne a sapere per anni, nonostante tutti i giornali, a pochi giorni dalla strage, ne parlassero.

Alla domanda se abbia aperto o meno la borsa in quel frangente, Giuseppe Ayala ha risposto:

“Posto che l’agenda era nella borsa, non possiamo dubitarne, posto che il contenuto di quell’agenda era ignoto, tranne che al povero Paolo (…), la borsa non viene svuotata, viene eliminata l’agenda. Non penso che il criterio selettivo, perché di prelievo selettivo si tratta, sia stato in base al colore dell’agenda, io credo che sia stato in base al contenuto dell’agenda, allora ci vuole qualcuno che ha avuto il tempo di tirarla fuori, leggere e ritenere, tradendo le istituzioni, che era meglio che quella roba lì non venisse fuori. Lei pensa sia possibile farlo in quel contesto, davanti a decine di persone? (…) Senza che nessuno se ne accorga?”

Il PM di Caltanissetta ha chiesto ulteriori informazioni riguardo all’ufficiale a cui Ayala avrebbe consegnato la borsa ed Ayala ha affermato:

“Aveva un’uniforme (…) Quando in un primo momento ho detto ‘ma come ho individuato questo ufficiale dei Carabinieri?’, poi c’ho riflettuto ed era un’uniforme non estiva, cioè non una di queste camicie azzurre, diciamo, era un’uniforme classica. Il grado non glielo so dire assolutamente ma ho capito che era un ufficiale, che era un carabiniere è sicuro. Non conoscevo quest’ufficiale”.

Il Pubblico Ministero ha infine chiesto ad Ayala di specificare il tempo di permanenza sul luogo della strage, rileggendo un verbale del 1998, dove il magistrato dichiarava di essere rimasto in via D’Amelio circa un’ora. La risposta di Ayala è stata la seguente:

“Un’ora?? Ma questo è un errore di verbalizzazione clamoroso, bisogna leggerli i verbali prima di firmarli. Ma quale un’ora? E nel verbale del 2005 che cosa ho detto?”

Ayala ha sostenuto di essere rimasto sul luogo un tempo massimo di venti minuti.

Giovanni Arcangioli
Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via D’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convocò come persona informata sui fatti.



La prima versione

Il 5 maggio 2005, davanti ai magistrati Francesco Messineo e Renato Di Natale, Giovanni Arcangioli ha rilasciato la sua prima versione su quanto accaduto in via D’Amelio poco dopo la strage:

“Allorché giunsi sul posto la scena del delitto non era stata ancora perimetrata anche se erano già arrivati elementi del Battaglione Carabinieri che stavano provvedendo a delimitare la zona. Vi erano all’opera i Vigili del Fuoco e, per quanto posso ricordare, arrivò per primo il magistrato dottor Ayala che abitava nei dintorni; vi erano poi abitanti dei palazzi e semplici curiosi. Esaminai la scena e, avendo rinvenuto i resti del dott. Borsellino, mi fermai immediatamente in attesa dell’arrivo degli esperti e di coloro che avrebbero dovuto attivare le indagini. Aggiungo che all’inizio non avevo neanche riconosciuto l’autovettura del dott. Borsellino che per la violenza e il calore dell’esplosione aveva perduto la vernice della parte posteriore tanto da sembrare bianca. Arrivò sul posto il dottor Teresi e anche il dott. Di Pisa, magistrato di turno. Non ricordo se il dottor Ayala o il dottor Teresi, ma più probabilmente il primo dei due, e sicuramente non il dottor Di Pisami informarono del fatto che doveva esistere una agenda tenuta dal dottor Borsellino e mi chiesero di controllare se per caso all’interno della vettura vi fosse una tale agenda, eventualmente all’interno di una borsa. Se non ricordo male, aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi. Uno dei due predetti magistrati aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati”.

Arcangioli ha inoltre ricordato che sul luogo della strage fosse presente il magistrato Alberto Di Pisa.

La seconda versione

Nel giorno del confronto con Giuseppe Ayala, l’8 febbraio 2006, Arcangioli ha dato la sua seconda versione, più sfocata della precedente, nella quale ha escluso la presenza di altri magistrati ma ha confermato quella di Ayala. In quell’occasione Arcangioli ha cambiato il luogo dove avrebbe riposizionato la borsa dopo averla controllata: non si trattò della macchina di un magistrato ma di quella del dottor Borsellino. L’allora capitano dei Carabinieri ha inoltre ricordato un ulteriore particolare, un crest[14] dell’Arma dei Carabinieri all’interno della borsa:

Non ho ricordo certo dell'affermazione relativo al fatto che il dottor Ayala e il dottor Teresi mi ebbero ad informare dell'esistenza di un'agenda tenuta dal dottor Borsellino. (…) Non ricordo con certezza se io o il dottor Ayala aprimmo la borsa per guardarvi all'interno, mentre ricordo che all'interno vi era un crest dell'Arma dei carabinieri e non ricordo se vi fosse qualche altro oggetto. Mi sembra, ricordando bene, che non vi fossero fogli di carta. Così come non posso confermare di aver io stesso o uno dei miei collaboratori deposto la borsa nella macchina di servizio di uno dei due magistrati, mentre ritengo di aver detto di rimetterla o di averla rimessa io stesso nell'auto di servizio del dottor Borsellino. Sul momento non ritenni di redigere alcuna annotazione perché non attribuivo alcun valore alla borsa non avendovi rinvenuto niente per la prosecuzione delle indagini. (…) All'inizio si era incerti sulla competenza a procedere, tanto è che pensavo che procedessimo come Nucleo Operativo, poi ci fu detto che procedeva il R.O.S e, da ultimo, fu stabilito che procedeva la Polizia di Stato”.

I PM hanno cercato di chiarire alcuni punti e Arcangioli ha risposto:

“Non riesco a ricordare se mentre mi recavo sul luogo della strage mi fu detto per radio che una delle vittime era il dottor Borsellino. (…) Prelevata la borsa mi spostai andando verso i palazzi di fronte all’abitazione della mamma del dottore Borsellino, non ricordo se scendendo in direzione di via Autonomia Siciliana o in direzione opposta. Ricordo comunque di non aver mai superato, portando la borsa, il cordone “di Polizia” che sbarrava l’accesso alla via D’Amelio. Non ho un ricordo preciso. Posso comunque affermare con certezza che quando ho aperto la borsa per esaminarne il contenuto mi trovavo nel luogo che già ho indicato e cioè sul lato opposto della via D’Amelio rispetto alla casa della madre del dottore Borsellino. Non so dire però a quale altezza rispetto all’asse longitudinale della strada. Quando ho aperto la borsa credo di ricordare che era con me il dottore Ayala; credo anche di ricordare che vi era altra persona, di cui però non so indicare alcun elemento identificativo. Per quanto posso ricordare il prelievo della borsa fu da me effettuato su richiesta di un magistrato che, per esclusione, dato che non si trattava del dottore Teresi, credo di poter identificare nel dottor Ayala. La verifica del contenuto, per quanto ricordo, fu una iniziativa condivisa con il dottor Ayala.  (…)  Non riesco a ricordare se la prelevai direttamente io ovvero se fu altra persona di cui comunque non conservo memoria. (…) Ricordo di aver verbalmente riferito al mio superiore dell’epoca, Capitano Minicucci, in ordine al contenuto della borsa del dottore Borsellino ed in particolare che vi si trovava un crest dei Carabinieri.”

Arcangioli ha fatto quindi entrare in scena il suo superiore dell’epoca, il capitano (oggi tenente colonnello) Marco Minicucci, il quale, sentito dai magistrati, ha ricordato del rapporto a voce che il capitano Arcangioli gli fece circa il rinvenimento della borsa e del coinvolgimento di un magistrato presente sul posto, di cui, però, Minicucci non ha ricordato il nome.

La testimonianza al processo ‘Borsellino QUATER’

Il 14 maggio 2013 Giovanni Arcangioli ha deposto a Caltanissetta al processo ‘Borsellino QUATER’. Il tenente colonnello ha iniziato la sua testimonianza denunciando le vicissitudini e le difficoltà passate dal giorno del ritrovamento della foto che lo ritraeva con la borsa del giudice in mano ed ha detto alla corte di non essere nelle condizioni di serenità necessarie per poter rendere una testimonianza utile. Ed infatti la sua testimonianza è stata piena di “non ricordo” e di “non posso esserne sicuro”. Arcangioli ha confermato solo una piccola parte dei ricordi affiorati nelle precedenti versioni:

“Quando mi hanno dato quella borsa – ha testimoniato Arcangioli ho aperto la borsa ed ho controllato, non ho visto niente di importante, la borsa aveva un valore pari a zero, l’unica cosa che mi ha colpito è stato questo crest dei Carabinieri. (…) Il primo dei magistrati che vidi io fu il dottor Ayala. Il 19 luglio conoscevo già il dottor Ayala, (…) frequentavo la procura e in procura ho visto e conosciuto il dottor Ayala. Non credo di averci mai fatto indagini. Non ricordo di aver avuto contatti personali con il dottor Ayala, ricordo che quella persona fosse il dottor Ayala e ricordo di averlo visto in procura.  (…) Oltre al crest c’era qualcos’altro ma non ha attirato assolutamente la mia attenzione. (…) Non ricordo di averla presa io la borsa dalla macchina, quindi immagino che me la abbiano passata. (…) Io mi ricordo la presenza del dottor Ayala, mi ricordo che fece un qualche cosa, non ho il ricordo esatto di cosa fece.”

Sulla mancata relazione di servizio Arcangioli ha affermato:

“In quel contesto non avevo necessità, non avevo, diciamo così, dovere di fare relazione di servizio, diverso è quando uno non la fa e la fa a posteriori dopo sei mesi. Però a me viene contestata questa cosa come tante altre, ad altri queste cose non vengono contestate”.

Durante l’udienza Arcangioli ha sottolineato più volte che agli atti del suo procedimento furono acquisiti solo dei riassuntivi e non gli integrali degli interrogatori, dove, secondo lui, si sarebbero evinte le incertezze e la confusione che ebbe sin dall’inizio circa i suoi ricordi. Inoltre, l’allora capitano dei Carabinieri ha lamentato più volte una disparità di trattamento tra se stesso e chi ha modificato più volte la propria versione (con riferimento indiretto a Giuseppe Ayala) o chi ha redatto una relazione di servizio con cinque mesi di ritardo, seppur appartenente all’organo che fu ufficialmente incaricato di svolgere le indagini, riferendosi quindi all’agente di Polizia Francesco Paolo Maggi.

L’intercettazione
Il 24 maggio 2010 la DIA di Caltanissetta, lavorando ad un’indagine diversa da quella sulla scomparsa dell’agenda rossa,[15] ha intercettato una telefonata tra Massimo Ciancimino, testimone e imputato nel processo in corso a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, e la giornalista Elvira Terranova.

Durante la conversazione intercettata Ciancimino e Terranova parlano dell’agenda rossa e di un colonnello:

Terranova: “Per altro, all’uscita, il colonnello mi ha voluto fermare e mi ha detto: ‘Mi dispiace se le ho creato problemi ... però ... io, insomma mi sono trovato in grosse difficoltà ho dovuto querelare ... quindi mi dispiace per averla fatta venire qui, capisco che è un momento un po’ così ma anche io, insomma ho avuto i miei problemi’... ho detto no, si figuri ...”.

Ciancimino: “... Si ... va bè … (si accavallano le voci) ... fai ... quello che piglia l’agen... quello che piglia la borsa ... ma digli che se la vadano a pigliar… ”

Terranova: “... E infatti alla fine che abbiamo discusso, gli ho detto scusi, ma mi toglie una curiosità? ... sta agenda rossa dove caspita è finita? ...fa "allora non mi crede? ... io non me lo ricordo a chi l’ho data la borsa e poi non è detto che ci fosse l’agenda rossa dentro”.

Ciancimino: “Si la moglie... che fa è pazza? Dai!! (si riferisce ad Agnese Borsellino, che testimoniò che il marito avesse con sè l’agenda quando partì per via D’Amelio quel giorno, NdA)”.

Terranova: “... Non lo so ... la moglie ... anche il figlio ... pure Manfredi aveva detto che c’era l’agenda ... bò, non lo so, io oggi (accavallano le voci) ...”

Ciancimino: “Gli assistenti di Falcone!!! Dai ... gli assistenti di Falcone ... no, può essere che ancora prima che arrivasse lui qualcun altro l’ha levata, io questo non lo escludo”.

Terranova: “... No, lui ha fatto un po’ così ... notare una cosa ... dice: "Ayala, la prima cosa che ha fatto invece di preoccuparsi se era morto Borsellino mi ha fatto aprire con il piede di porco la blindata che era ovviamente tutta chiusa ... (accavallano le voci)”.

Ciancimino: “... Allora chi è paraculo campa cent’anni ...”

Terranova: “... Io ho detto va beh. Ma Ayala dico non è mai stato indagato ... e lui fa: ‘Appunto, come mai’.”

Ciancimino: “... Ayala ... non ricordo ... ricordo ... chi è paraculo campa cent’anni ...”

Durante un’udienza del processo ‘Borsellino QUATER’ l’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, ha chiesto a Giovanni Arcangioli se conoscesse la giornalista Elvira Terranova e se a lui capitò mai di parlare con lei del processo e dell’agenda rossa. Nella sua risposta Arcangioli sembra confermare l’incontro di cui si parla nella telefonata intercettata:

“Elvira Terranova l’ho conosciuta molto dopo, perché a seguito delle notizie che sono uscite sulla mia persona ho presentato una serie di denunce e credo che la giornalista Elvira Terranova abbia oblato per il reato di pubblicazione di notizie coperte da segreto.

Non ricordo di aver parlato della borsa di Borsellino al telefono, l’ho vista al tribunale di Catania quando ha oblato. Mi disse che le mie denunce le avevano provocato dei problemi (…) ed io le dissi che in questo modo dovevo tutelare la mia persona e la mia immagine (…). L’argomento si spostò... le dissi che io poiché ero stato, diciamo così, indagato e imputato perché i miei ricordi erano labili e sicuramente fallaci, e quindi ero stato per false indicazione al PM e poi per furto aggravato mentre lo stesso trattamento non era stato riservato ad altre persone il cui ricordo era altrettanto labile e le cui versioni si erano modificate nel corso degli anni. Feci riferimento in particolare al dottor Ayala”.[16]

Conclusioni

Dopo aver letto queste testimonianze possiamo avere un quadro più chiaro su quelli che sono i dati accertati e sui vuoti di memoria ancora esistenti in merito a ciò che accadde in via D’Amelio il 19 luglio 1992 poco dopo la strage.
Dalle dichiarazioni fornite da Giuseppe Ayala, Giovanni Arcangioli e Rosario Farinella si evince che lo sportello dell’auto del giudice Borsellino fu aperto pochi istanti prima che fosse asportata la borsa del magistrato. Francesco Paolo Maggi, invece, trovò lo sportello già spalancato.
La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla ad una persona non meglio identificata.
Qui c’è il primo vuoto: chi è questa persona? Era un ufficiale dei Carabinieri? Se si, era Giovanni Arcangioli?
La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via D’Amelio.
Secondo vuoto: perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa?
La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi che la prende e la porta nella stanza del dirigente Arnaldo La Barbera. Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. Da quando viene depositata nella stanza di La Barbera, passeranno ben tre mesi e mezzo prima che compaia il primo atto scritto riguardante questa borsa: un verbale di apertura redatto dalla Procura di Caltanissetta.

La ricostruzione cronologica dei passaggi di mano della borsa del giudice Borsellino presenta ancora dei ‘buchi neri’ ed i protagonisti degli eventi hanno fornito, durante le udienze del processo ‘Borsellino QUATER’, ulteriori versioni dei fatti rispetto a quanto dichiarato in precedenza. Alla luce di queste considerazioni sorge spontanea la domanda: sono in corso nuove indagini sulla sottrazione dell’agenda rossa? L’autorità giudiziaria di Caltanissetta sta procedendo in questa direzione?
Ad oggi sappiamo che l’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992, mentre i cadaveri del giudice e dei cinque agenti della sua scorta erano ancora caldi. I familiari e colleghi di Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa e l’importanza ma evidentemente le autorità competenti non ritennero di darle il peso cruciale che realmente aveva. Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”. Quando i ricordi affiorarono nuovamente alla mente di alcune persone, emersero palesi contraddizioni e comodi vuoti di memoria. Ritardi, mancanze e leggerezze che hanno fatto si che, dopo ventidue anni, l’agenda rossa ed i responsabili del suo trafugamento non siano ancora pervenuti alla giustizia.

“Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua (Agnese Borsellino)”.[17]

Federica Fabbretti (Paolo Borsellino e l'agenda rossa, 19 luglio 2014, www.19luglio1992.com)


[1] ‘Sparita l’agenda rossa di Borsellino’, Andrea Purgatori (Corriere della Sera, 25 luglio 1992)

[2] ‘Intervista Borsellino: vedova, altri consentirono strage’ (ANSA, 14 luglio 2012)

[3] Verbale di sommarie informazioni testimoniali di Rosario Farinella, A.G. di Caltanissetta (2 marzo 2006)

[4] Deposizione di Rosario Farinella al processo ‘Borsellino QUATER’, A.G. di Caltanissetta (30 aprile 2013)

[5] Verbale di sommarie informazioni testimoniali di Rosario Farinella, A.G. di Caltanissetta (2 marzo 2006)

[6] Deposizione di Rosario Farinella al processo ‘Borsellino QUATER’, A.G. di Caltanissetta (30 aprile 2013)

[7] Verbale di sommarie informazioni di Rosario Farinella, A.G. di Caltanissetta (2 marzo 2006)

[8] ibidem

[9] Verbale di sommarie informazioni testimoniali di Francesco Paolo Maggi, A.G. di Caltanissetta (13 ottobre 2005)

[10] Deposizione di Francesco Paolo Maggi al processo ‘Borsellino QUATER’, A.G. di Caltanissetta (20 maggio 2013)

[11] Speciale Giustizia: i misteri di via D’Amelio, Conversazioni con Felice Cavallaro e Lino Jannuzzi, Sergio Scandura (Radio Radicale, 22 luglio 2009)

[12] ‘La pista tedesca porta ai sicari’, Felice Cavallaro (Corriere della Sera, 26 luglio 1992)

[13] ‘Ayala: Mancino incontrò Borsellino’, Floriana Rullo (www.affariitaliani.it, 23 luglio 2009)

[14] Il crest nel linguaggio militare italiano è una riproduzione realizzata in ottone, bronzo o comunque metallo, dello stemma araldico di un reparto militare, o di una unità militare (fonte: wikipedia)

[15] DDA di Caltanissetta, Proc. pen. nr. 2554/09 ex 1861/08

[16] Testimonianza di Giovanni Arcangioli al processo ‘Borsellino QUATER’, A.G. di Caltanissetta (14 maggio 2013)

[17] Ti racconterò tutte le storie che potrò, intervista di Salvo Palazzolo ad Agnese Borsellino (Feltrinelli, 2013)

(7 marzo 2015)

Tratto da: 19luglio1992.com

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