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di Salvo Vitale
In un primo tempo qualcuno ha creduto che il Coronavirus potesse servire a restituire ai cittadini quelle porzioni di territorio che sono state troppo generosamente date in gestione e in concessione dallo stato, dalle sovrintendenze o dai comuni, ai privati. Si sperava, si sognava che non ci fossero più spiagge a pagamento, niente più strade interrotte dalle sedie e dai tavoli di un locale adiacente, niente angoli paradisiaci della nostra penisola riservati al diletto dei ricchi e preclusi alla povera gente. L’illusione era quella che, essendo necessario rispettare le distanze, l’area delle spiagge libere fosse raddoppiata. Invece è finita addirittura al contrario: il rispetto delle distanze è stato preso in considerazione solo per i “poveretti” titolari di concessione, per i quali gli spazi concessi sono stati raddoppiati con il raddoppio addirittura gratuito. Che lo stato svenda se stesso a pochi ricconi o ad affaristi senza scrupoli, con la scusa di creare o conservare posti di lavoro, vada, in Italia funziona così, ma che regali metà del suo patrimonio in concessione a pochi affaristi, senza nulla chiedere è il punto massimo a cui si è arrivati nell’assurda liberista teoria di dare tutto in mano ai privati e toglierlo alla gente che ne è o ne dovrebbe essere padrona. E, per favore, nessuno venga a dire che così si rispettano le distanze: le distanze si rispettano quando c’è un minimo di sorveglianza da parte di chi è pagato e incaricato di fare rispettare le leggi e che molto spesso è in tutt’altre faccende affaccendato, seduto in ufficio, stanco. Oppure lavora alle dipendenze di un politico che non vuole creare problemi ai suoi amici. Oppure ha per capo un graduato che non vuole invischiarsi in problemi di ordine pubblico che rischierebbero di innescare conflitti sociali e creare qualche problema alla carriera. Non parliamo dell’occupazione, ridotta a un impiegato di cassa all’ingresso e a un extracomunitario che si occupa di tutto, dalla sistemazione degli ombrelloni, alla pulizia, alla sorveglianza, non solo a che non acceda un estraneo oltre la battigia, ma a che non succeda niente, e che quindi all’occorrenza diventa anche bagnino. Assieme a questo lavoratore “tutelato” da niente, possono trovarsi altri improvvisati mestieranti, nel caso di strutture più organizzate, come buttafuori, animatori, musicisti, baristi, cuochi. Dietro la “concessione” delle concessioni c’è un circuito tipicamente italiano di amicizie che coinvolgono imprenditori promotori dei progetti, spesso prestanome di ricchi e autorevoli personaggi che preferiscono restare nell’ombra, funzionari delle varie sovrintendenze, responsabili regionali e comunali, tecnici per il rilascio di permessi e licenze, magistrati nelle cui mani potrebbe finire qualche ricorso di liberi cittadini, esponenti delle forze dell’ordine deputate ai controlli, politici, ricchi imprenditori, mafiosi, tutti “clienti” privilegiati delle strutture concesse, assieme alle loro famiglie, con accesso gratuito o scontato e posto riservato. Naturalmente il rinnovo è automatico ae il titolare della concessione finisce con il diventare il reale proprietario del terreno, magari con la scusa di averci fatto investimenti e spese che, in caso rarissimo di revoca pretenderebbe di avere rimborsati.
In Italia sono ottomila i chilometri attorno alla Penisola, comprese le due isole maggiori e le oltre 800 isole minori, ma trovare una spiaggia libera è come cercare l’araba fenice: ormai, se si è fortunati, ci si può accampare presso le foci di fiumi, fossi o fognature, dove la balneazione è vietata, o ammassarsi come sardine nei fazzoletti di spiaggia che la residua “pietà” dei responsabili del demanio ha lasciato al pubblico che non può permettersi di pagare da 14 a 20 euro il posto-spiaggia con ombrellone e sdraia. Per contro capita di vedere deserti i lidi attrezzati, in attesa del ricco cliente. Lasciando stare il costo dei parcheggi. Lasciando stare le insopportabili musiche diffuse nell’area a tutto volume, per disturbare le notti dei residenti e il bisogno di serenità di cui va in cerca chi va in ferie. I canoni delle concessioni, date senza controlli, sono bassissimi, si pensi che lo stato ha incassato nel 2016, ultimo dato disponibile, circa 100 milioni, mentre sono altissimi i guadagni per gli stabilimenti con un giro d’affari che, secondo Nomisma supera i 15 miliardi di euro annui.
Le concessioni demaniali marittime sono, secondo l’ultimo rilievo del Ministero Infrastrutture e Trasporti, 52.619 di cui 27.335, per uso "turistico ricreativo” e il resto per pesca, per acquacoltura allevamenti ittici e di mitili, per diporto. Si tratta di 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. Se si considera un dato medio (sottostimato) di 100 metri lineari per ognuna delle 27 mila concessioni esistenti, si può stimare che oltre il 60% delle coste sabbiose in Italia è occupato da stabilimenti balneari, percentuale che in alcuni Comuni arriva al 90%. In Emilia-Romagna si ha solo il solo il 23% di costa libera, in Liguria il 14%, ma non esiste un registro completo e aggiornato dei dati. In Campania sono 3.967 le concessioni demaniali marittime, di cui 916 sono per stabilimenti balneari, 137 per campeggi, circoli sportivi, complessi turistici, e altri utilizzi. Complessivamente si stima che le concessioni superano il 67% di occupazione delle spiagge campane. Quindi solo nel 33% del litorale è consentito il libero accesso, ma si tratta spesso di zone inquinate o difficilmente praticabili. Caso limite è quello di Mondragone dove su 8,4 km di costa sono presenti ben 51 stabilimenti pari al 54 % di costa occupata. Almeno quella agibile.
Tra i casi più incredibili quello di Mondello, poco più di un chilometro e mezzo di sabbia finissima al 90% in concessione, e pochissimi lidi che consentono il passaggio alla battigia. Si pensi che la Sicilia, nel 2016 ha incassato per concessioni appena 81.491 euro. Una concessione rilasciata nel 2014 a Terrasini (PA) per circa un km circa di costa sic (sito interesse comunitario) e per la concessione di una struttura realizzata in parte diversamente da quella progettata, è di 24 mila euro ogni quattro anni, cioè meno di 400 euro al mese, per uno stabilimento che in una sola serata può coprire il costo dei quattro anni di canone. In Romagna, a Rimini, le spiagge libere sono meno del 10%. A Forte dei Marmi sono 100 gli stabilimenti su circa 5 km di costa. A Bacoli, in Campania, il Comune ha previsto che il 20% della costa debba essere adibito a spiaggia pubblica, ma a oggi, è libero solo il 2%.
Nelle spiagge in concessione, non essendoci alcun tipo di controllo, si impedisce quasi ovunque al libero cittadino l’accesso al mare, con recinzioni e muraglie per vari chilometri, come nel caso del litorale di Ostia, Da tempo Legambiente ha chiesto chiede una legge quadro nazionale per tutelare gli arenili italiani e i diritti di tutti i cittadini ad avere lidi liberi, gratuiti e accessibili ed ha avanzato alcune proposte : lasciare alla libera fruizione almeno il 60% delle spiagge, premiare la qualità nelle assegnazioni in concessione, definire canoni adeguati e risorse da utilizzare per la riqualificazione ambientale, garantire controlli e legalità lungo la costa. Naturalmente tutto è stato rimandato ad altri lontani momenti post-elettorali. E così le spiagge, che dovrebbero essere di tutti, sono diventate campo d’esposizione di stabilimenti balneari, cabine, strutture prefabbricate, ristoranti, centri benessere e discoteche all’aperto.
Qualche regione, come la Sardegna ha approvato una disposizione che prevede un minimo del 60% di spiaggia libera, che nei litorali integri deve raggiungere l’80%. Il Lazio ha fissato al 50% la percentuale di costa da lasciare libera ed i Comuni non in regola non potranno più rilasciare nuove concessioni. In altre regioni, come la Calabria, il Molise, le Marche, la Campania, l’Abruzzo, tale percentuale si abbassa tra il 30 e il 20% mentre in cinque Regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto) non esiste nessuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate.
E’ stato stimato un canone medio di 6.106 euro a chilometro quadrato contro una media di entrate per le casse pubbliche di circa 4 mila euro all’anno per stabilimento.
Già nel 2009 l’UE ha avviato una procedura di infrazione all’Italia, chiedendo che le concessioni siano messe a gara e che la gara sia estesa agli operatori di altri paesi dell’Ue, ma l’Italia ha fatto orecchie da mercante e ha deciso la proroga automatica delle concessioni fino al 31 dicembre 2020, con il recente raddoppio gratuito delle aree. I bassi costi delle concessioni, la mancanza di controlli, la possibilità di facili arricchimenti hanno stimolato gli appetiti degli imprenditori dei partners europei, ai quali, a partire dall’anno prossimo, bisognerà aprire le porte. Proprio dalla legislazione di questi paesi si potrebbe prendere esempio: si pensi che in Francia la durata delle concessioni per le spiagge non supera i 12 anni e che l'80% della lunghezza e l'80% della superficie dei lidi devono essere liberi da costruzioni per sei mesi l'anno, con l’obbligo di montare e smontare dopo i sei mesi gli stabilimenti. In Croazia, vige il divieto di costruire qualsiasi opera (dai chioschi ai ristoranti, alle nuove costruzioni) per una distanza minima di 1 km dall’ "Area protetta costiera” con il libero accesso alla costa e la conservazione delle isole disabitate, dove non è possibile costruire. In Italia, così continuando, il mare potrà essere fruibile solo d’inverno, almeno sino a quando non ci si accorgerà che anche su tale evenienza si può speculare.