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di Vincenzo Musacchio*
Alfonso Bonafede parla molto e spiega poco. Riporto testualmente la parte che più mi ha colpito dell’intervento del ministro Buonafede al Senato: “È totalmente falsa l’immagine di un Governo che ha spalancato le porte delle carceri addirittura per i detenuti più pericolosi. I giudici che hanno scarcerato i detenuti in questi ultimi mesi lo hanno fatto in base a leggi in vigore da 50 anni: ne ha colpa il Governo? No, la sua risposta”. In questa frase c’è la totale inidoneità di un ministro. Perché? Semplicissimo. Se sei un ministro adeguato al tuo ruolo, le norme che erano in vigore prima potevi tranquillamente modificarle o trovare meccanismi di deroga alle stesse e non far emanare circolari che, di fatto, hanno favorito le scarcerazioni. Non mi pare che Bonafede si sia posto il problema. Eppure il compito di un ministro della Giustizia è soprattutto quello di sovraintendere all'organizzazione dei servizi della giustizia e gestire i penitenziari di Stato. Bisogna spiegare ai cittadini onesti come mai quando si è trattato di intervenire con DPCM sulle libertà dei cittadini lo si è fatto senza batter ciglio e quando si trattava di modificare norme che si sapeva potevano favorire scarcerazioni pericolose non lo si è fatto? Cos’è che ha impedito di prevenire le circa 400 scarcerazioni di detenuti pericolosi tra cui anche quelli al 41 bis? Perché il ministro non ha programmato strategie idonee a monitorare la situazione medico sanitaria di questi detenuti? Perché non ha scelto Di Matteo dopo averne fatto la bandiera di legalità del suo partito? Perché non si è occupato di costruire nuove strutture carcerarie, peraltro, già finanziate? Perché non ha realizzato presidi carcerari sanitariamente attrezzati in grado di fare fronte a qualunque patologia non risolvibile in quelli ordinari? A queste domande doveva dare risposte a noi cittadini in Senato oggi. Non l’ha fatto perché in realtà non ha mai affrontato con determinazione le reali problematiche del sistema Giustizia. La verità è che si è salvato dalla sfiducia soltanto perché qualcun altro dovrà in seguito incassare il suo premio per averlo sottratto alle dimissioni e presto vedremo anche di cosa si tratta. Se questo era il “Governo del Cambiamento”, tanto sbandierato dai cinque stelle, allora possiamo dire che siamo di fronte ai giochi di palazzo della peggior Prima Repubblica. Io in questo contesto di “vecchia politica” onestamente non vedo lotta alla mafia. Caro ministro, se vuole operare, adeguatamente e lottare in concreto le mafie, cominci a riformare il ministero della Giustizia con un programma attuabile nel breve periodo. Metta insieme una commissione di esperti e si occupi della riforma del codice penale e del processo penale. Affronti di petto l’improrogabile riforma dell’ordinamento penitenziario. Questo era ed è il suo compito poiché lei non è un gregario del Ministero della Giustizia ma ne è il Capo.

In foto: Palazzo Madama, sede del Senato © Imagoeconomica

* Giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E' ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla criminalità organizzata del Royal United Services Institute di Londra. È presidente e direttore scientifico dell’Osservatorio Antimafia del Molise. È direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.