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di Aaron Pettinari
Raccontò degli incontri tra Bontade, Dell'Utri e Berlusconi

Il pentito Francesco Di Carlo, ex boss di Altofonte, è morto all'età di 79 anni, ucciso dal coronavirus in un ospedale dell'Ile de France, la regione di Parigi, in cui si era trasferito alcuni anni fa con la propria compagna.
Secondo quanto si apprende il pentito si era sentito male nei giorni scorsi e stanotte ha avuto una crisi respiratoria da cui non si è più ripreso.
"Franco" Di Carlo, nella primavera del 1982 era stato arrestato in Inghilterra dove, dietro il paravento di una società di import-export, gestiva traffici di cocaina per miliardi di sterline. Da allora non era più uscito dal carcere, fino al 1996, quando - a fine pena - prima di essere estradato in Italia, decise di parlare con i pm del processo al senatore a vita Giulio Andreotti.
Successivamente divenne tra i grandi accusatori dell'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri (poi condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa). Ai magistrati aveva riferito dell'incontro tra il capomafia di Palermo Stefano Bontate, lo stesso Dell'Utri e con l'ex premier, allora imprenditore, Silvio Berlusconi. Una storia, vissuta da testimone oculare, raccontata in svariati processi: "Era il 1974 e andammo ad Arcore con il gotha della mafia di allora: Stefano Bontate e Mimmo Teresi. Berlusconi aveva paura dei sequestri e chiedeva protezione. Fu così che Vittorio Mangano arrivò ad Arcore come stalliere. E Stefano Bontate ottenne in cambio 100 milioni di lire”.
Dopo quell'incontro, il boss palermitano Vittorio Mangano venne assunto come fattore nella villa di Arcore di Berlusconi. I giudici che hanno condannato a 7 anni l'ex senatore hanno definito Di Carlo come pienamente attendibile.
Di Carlo era uscito da qualche tempo dal programma di protezione ma continuava a testimoniare in processi e per indagini condotte dai magistrati di tutta Italia. L'ultima volta era stato sentito lo scorso gennaio nel processo che vede imputata la primula rossa di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, con l’accusa di essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via d’Amelio.
Era a conoscenza di una serie di fatti riguardanti la strage di Capaci e del ruolo della famiglia di Altofonte, ma anche di misteri in virtù dei rapporti di altissimo livello avuti con alti esponenti dei servizi segreti. Come da lui stesso affermato già negli anni Settanta frequentava figure come il generale Vito Miceli (l’allora capo del Sistema informazioni difesa, il servizio segreto militare sciolto nel 1977, ndr) o il colonnello Santovito (piduista, quindi direttore del Sismi tra il 1978 ed il 1981, ndr) ma è mentre si trovava detenuto in Inghilterra nel carcere di Full Sutton, attorno al 1988, che quei rapporti con gli apparati dei servizi assunsero un’ulteriore forma. Ai magistrati rivelò un fatto piuttosto inquietante che sarebbe avvenuto nel carcere inglese: “Nel 1988 ero detenuto a Londra con una condanna per traffico di droga. Mi vennero a trovare un esponente dei servizi italiani che conoscevo come il signor Giovanni, un agente dei servizi inglesi e un terzo uomo dalla voce roca che non conoscevo. In seguito scoprii la sua identità: era Arnaldo La Barbera, l’ex capo della Squadra mobile di Palermo. Volevano un contatto per intervenire sulla sentenza di appello del maxiprocesso e io gli feci il nome di Ignazio Salvo.
Di Carlo, che il nostro direttore Giorgio Bongiovanni ebbe modo di intervistare, probabilmente conservava ancora qualche segreto, come lui stesso aveva ammesso nei libri biografici scritti da Enrico Bellavia ("Un uomo d'onore", ed. Bur, e "Sbirri e Padreterni", ed. Laterza) ripetendo che "un sacco vuoto non può stare in piedi", ma il suo contributo nella ricerca della verità sulle stragi e sui mandanti esterni è sicuramente di grandissimo rilievo.
(16 aprile 2020)

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