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di Guido Casavecchia - Intervista
L’associazione Antimafia Channel intervista Enzo Bevar, Project Manager di Cinemovel Foundation. Tra i progetti della fondazione vi sono “Schermi in classe”; “Mafia liquida” e “Libero Cinema in Libera Terra”, la prima carovana di cinema itinerante sui beni confiscati alle mafie, promossa da Libera e sostenuta da MIUR e MIBAC. Bevar è responsabile degli incontri formativi nelle scuole italiane. Cinemovel si pone l’obiettivo di promuovere l’accesso alle nuove tecnologie e una più equa distribuzione delle risorse intellettuali nello studio del fenomeno mafioso.

Bevar, ci racconti il vostro spettacolo “Mafia Liquida”. Come nasce e perché usate quest’aggettivo per definire le mafie?
“Mafia Liquida” è uno spettacolo che portiamo nelle piazze e nei Festival di tutta Italia parallelamente al progetto nelle scuole (“Schermi in classe”). È stato ideato insieme a Vito Baroncini, artista che lavora con una lavagna luminosa su cui disegna immagini poi sovrapposte tra loro e mescolate con altre immagini video proiettate. È una tecnica assolutamente originale e creativa. Il titolo parte proprio da questa voglia di raccontare un aspetto “originale” delle mafie. La liquidità della criminalità organizzata è un tratto tipico delle modifiche che ha saputo compiere per adattarsi a nuovi scenari globali, che però abbiamo tardato a comprendere. La definizione di società liquida, del sociologo Bauman, si riferisce al superamento delle barriere tradizionali del ‘900 e delle ideologie. Lo stesso vale per le mafie. Oggi risultano inafferrabili (anche da un punto di vista rappresentativo), hanno modificato il loro modo di essere in campo internazionale e sono agenti del capitalismo. Il nostro obiettivo, nel campo dell’immaginario dei ragazzi, è far vedere le mafie con strumenti nuovi alla luce di ciò che sono diventate oggi.

Quali vantaggi offrono, nel modello didattico odierno e nell’educazione antimafia, il cinema e le fonti audiovisive?
Il cinema e le immagini in movimento, al di là della scuola, sono diventate la prima forma di comunicazione dell’età contemporanea. Saranno lo strumento di comunicazione del nostro secolo. Usiamo le immagini in movimento per qualsiasi tipo di comunicazione e informazione. Ogni minuto vengono caricati su YouTube quasi 400 ore di video. Il problema, oggi, non è tanto insegnare a produrre dei contenuti, ma saperli raccogliere e padroneggiare.
Nel caso specifico della scuola, però, l’Italia ha accumulato un enorme ritardo rispetto ad altri Paesi. Comunichiamo con le immagini senza averne studiato la grammatica e le regole. Per questo siamo orgogliosi che il MIUR e il MIBAC promuovano il nostro progetto. Vogliamo formare delle persone consapevoli nell’utilizzo del cinema per le proprie finalità comunicative (politiche, sociali, circa i diritti o antimafia).

Cosa realizzano i ragazzi durante gli incontri di “Schermi in classe”?
Abbiamo creato una piattaforma online che raccoglie tutte le ricerche fatte dagli studenti. È una sorta di auto-formazione dal basso. A dimostrazione del fatto che i ragazzi, quando hanno a disposizione uno spazio reale e virtuale in cui confrontarsi, tirano fuori il meglio di loro, non abbiamo mai avuto bisogno di censurare determinati contenuti inadeguati. Non ci fermiamo solo alla riproduzione di questi contenuti, ma proseguiamo con una piccola assemblea pubblica in aula, in cui i ragazzi commentano ciò che hanno visto e si confrontano. Dopo i lavori in classe, all’interno della scuola, allestiamo una sala cinematografica. La visione di un film dal vivo alla fine del percorso aiuta, secondo me, a colmare un dato allarmante delle nuove generazioni. Spesso i ragazzi non hanno mai visto un film al cinema. È importante, invece, recarsi in uno spazio di condivisione, perché sorgono subito numerose domande e interventi. È come se fossero sempre stati abituati a dominare le immagini attraverso il monitor di cellulari o tablet (più piccoli di loro). Quando, invece, hanno di fronte uno schermo più grande, sentono il bisogno di commentare e tirare fuori qualcosa.

Quali temi affrontate in classe?
In ogni incontro sottolineiamo delle parole chiare, poi sta ai ragazzi far emergere gli aspetti che preferiscono. Abbracciano vari campi e contenuti perché parlare solo di mafie e non di diritti o di nuove forme di povertà sarebbe riduttivo. Cerchiamo di avvicinare i ragazzi alla realtà variegata delle mafie. Spesso siamo sorpresi dai ragazzi che, in maniera inaspettata, iniziano da argomenti apparentemente lontani ma poi centrano perfettamente il tema della mafia. Li lasciamo liberi di avvicinarsi all’argomento attraverso la strada che più preferiscono.

Nei vostri incontri nelle scuole e nelle piazze, notate che la percezione dei ragazzi delle mafie è diversa da quella degli adulti?
Il punto di partenza è simile per entrambe le generazioni. C’è sempre, purtroppo, alla base una visione stereotipata delle mafie. È un dato più preoccupante per gli adulti, perché ai ragazzi, invece, viene data la possibilità di mettersi in discussione. Questo maggiore consapevolezza è accresciuta, però, non con un racconto frontale da parte di un adulto. Sviluppiamo invece una ricerca tra pari, dando loro gli strumenti audiovisivi per informarsi e raccontarsi a vicenda ciò che apprendono.

Al cambiare delle diverse regioni che visitate (con tradizionale presenza mafiosa o meno), avete notato una diversa percezione delle mafie nell’immagine che d’istinto i ragazzi ne danno?
Qualche hanno fa c’era un divario maggiore, oggi si è assottigliato. I ragazzi che incontriamo a Lucca, Savona, Rimini o Parma sono pienamente consapevoli che le mafie sono sul loro territorio. Non hanno, però, ben presente come operino e come riconoscerle. Pensano che una persona che parli il loro dialetto non abbia nulla a che fare con le mafie. Hanno comunque pienamente presente il ruolo dello spaccio di sostanze stupefacenti o dell’economia legale nel circuito del riciclaggio di denaro. Fanno più fatica, però, a capire che cosa possono fare loro a questo riguardo.

Come viene, all’opposto, rappresentata l’antimafia negli schermi in classe?
Purtroppo c’è sempre il rischio dell’eroismo. I ragazzi tendono a pensare e rappresentare l’antimafia come qualcosa di legato alle singole persone. Bisogna, invece, trasmettere il valore e la forza della collettività. Durante gli incontri, infatti, capiscono che è necessario costruire delle reti di persone. Parliamo di ragazzi abituati a vivere per anni in classi di 20/25 ragazzi e non è ancora difficile, per loro, convivere con delle realtà più grandi e con delle differenze, con qualcuno che la pensa diversamente. Nel tempo, comunque, capiscono che l’antimafia è fatta di chi vuole camminare sulla loro stessa strada, valorizzando le competenze dei singoli e costruendo un percorso comune.

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