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di Rosario Antonio Drago
“E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).
Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà e della possibilità di uno sviluppo umano integrale.
In tal senso il mondo “silenzioso” dei rioni mafiosi non è aperto a tessere i filari della storia con la parola portatrice di luce che dovrebbe caratterizzare tutti i rapporti relazionali di una società, primo fra tutti il rapporto società-stato e poi quelli interindividuali tra i suoi membri.
La mafia è una struttura prettamente iniziatica, storicamente trova la sua forza esplosiva e dirompente nelle tacite leggi condivise tra i suoi membri, ma anche nell’ambiente circostante dove detiene il potere del silenzio omertoso che declassa la forza della verità ad un gargarismo che mai deve essere emesso, sempre abortito. Il peccato dell’omertà rende i rapporti inquinati e contradditori.
Infatti il radicamento e la potenza di Cosa Nostra si basano sull’omertà, sulla mancanza di fiducia nello Stato, sulla percezione della debolezza di esso, sulla corruzione, sulla disponibilità di grandi capitali ottenuti grazie ad attività illecite (traffico di sostanze stupefacenti, racket, prostituzione, per esempio), sull’omicidio di chi ostacola le sue attività illegali.
L’omertà è una vera e propria legge, quella del non far rimostranze contro l’offensore, né rivelarne il nome o denunziarne il reato, riserbando la vendetta per sé; l’omertà è la caratteristica più spiccata del comportamento della gente nelle zone di mafia, in particolare in Sicilia. La gente, soprattutto in passato, la praticava per timore della vendetta del mafioso, ma più ancora per una sorta di rispetto di un codice cavalleresco che vietava di far entrare nella contesa gli estranei (carabinieri, giudici, ecc..). Si possono capire, perciò, le grandi difficoltà che i vari pentiti, di cui Buscetta è un esempio, hanno incontrato, decidendo di collaborare con la giustizia, infrangendo, così, la “legge del silenzio” e andando incontro a vendette spietate da parte dei boss mafiosi.
Il mondo cattolico nella vicenda dei rapporti con la mafia ha assunto atteggiamenti diversificati lungo l’arco del tempo, complicità e denuncia si sono alternate.
Nel nostro tempo lo spartiacque della posizione netta della chiesa è stata l’ormai celebre invettiva pronunciata da Giovanni Paolo II (maggio 1993) contro la mafia che apostrofava con veemenza i responsabili degli efferati delitti, in particolare l’attentato ad un giudice simbolo della lotta alla mafia come Giovanni Falcone che in quel momento rappresentava “la voce piena di luce della verità”, strumento di autentico amore.
Il grido di Agrigento e l'appello ai mafiosi: "convertitevi: una volta verrà il giudizio di Dio", non sono l'unica presa di posizione di Giovanni Paolo II contro la criminalita' mafiosa. Lo stesso giorno dell'omelia, incontrando i genitori del giovane giudice Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre 1990, aveva definito i magistrati uccisi dalla mafia "martiri della giustizia, indirettamente della fede". E la condanna dei mafiosi era stata ripetuta in seguito durante un viaggio a Catania e Siracusa. Giungendo a Catania Giovanni Paolo II aveva invitato la Sicilia ad "alzarsi in piedi" e ai detenuti del carcere minorile catanese aveva ricordato che "chi si rende responsabile di violenze e sopraffazioni macchiate di sangue umano dovra' risponderne davanti al giudizio di Dio".
Per Giuseppe Savagnone - docente di Storia e Filosofia presso Scuola Superiore “Umberto I” di Palermo; direttore diocesano del Centro per la Cultura di Palermo e dell’Ufficio per la Cultura, l’Educazione, la Scuola e l’Università della Conferenza vescovile della Sicilia; Coordinatore generale del terzo Congresso delle Chiese cattoliche d’Italia; giornalista dell’Avvenire e di altre riviste culturali - è possibile un discorso specificamente ecclesiale sul tema della mafia che sia al tempo stesso ’socialmente rilevante’ e ‘teologicamente fondato’.
Pertanto ci vorrebbe una via epistemogicamente fondata di verità che spinga la riflessione della chiesa e in particolare di quelle siciliane oltre la ‘falsa alternativa’ che ha fin qui tenuto imprigionate la struttura ecclesiastica, continuamente oscillante tra il rigoroso silenzio osservato fino ad un recente passato dal magistero, appiattito sulle analisi, le tesi e persino il linguaggio dell’antimafia diffusa nella società civile, e una nuova apertura di legittimità per il ‘martirio della giustizia’, che consiste nell’esplicita e consapevole donazione di sé nell’amore.
Il nuovo pilastro teologico su cui si basa questa posizione della Chiesa Cattolica è un allargamento più globale e nello stesso tempo trasversale della “struttura di peccato” nella quale sicuramente trova posto il tema dell’omertà. Bisogna ritornare a mettere al centro della “nuova evangelizzazione” l’uomo portatore di verità e non di menzogna.
Per fortuna non c’è soltanto un “rione” chiamato silenzio, dopo l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la società civile palermitana ma anche siciliana sta cercando di rompere gli schemi taciti di propaganda criminale mafiosa. Giovanni Falcone diceva e ripeteva spesso che la mafia è un’istituzione umana e che quindi essendo umana si poteva debellare al suo interno, stroncando la gerarchia e i modelli culturali che impone. I modelli culturali di un popolo sono la sua presentazione, sono schemi sedimentati nei secoli che si tramandano non solo con le parole ma con gli sguardi, la mimica e le consuetudini. Si deve molto seminare, “far sapere”, “non tacere” per vincere questo fenomeno pervasivo e forte.
Il giornalismo di denuncia può fare molto, un giornalismo che dice, che tiene informati per evitare “la calma apparente” delle notizie tutte uguali a se stesse. La parola detta ha un grande potere, non è solo “flatus vocis”, può diventare viva memoria per gli uomini che la vogliono far tacere. I siciliani ormai sono pronti per fare questo salto, per far riemergere la propria “isola paradigmatica”, un’isola del cuore dove la verità non è solo un particolare ma è fondamento della realtà.
Nel cuore abita la verità dell’uomo, nei rioni del silenzio le atrocità della mafia.

Testo presentato al Seminario “Nel rione del silenzio quando la mafia diventa Cosa 'Nostra'”
Corso di Laurea di Filologia Moderna

Foto © Shobha

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