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di Graziella Di Mambro
Purtroppo soltanto il sottosegretario all’editoria non comprende l’effettivo “valore del servizio di Radio Radicale”. Lo ha ribadito così tante volte che ormai è quasi un mantra e, lentamente ma inesorabilmente, comincia ad essere chiaro a tutti che l’astio contro questa voce libera del Paese sia irrecuperabile a prescindere dalle motivazioni. L’ultima uscita di Vito Claudio Crimi è arrivata ieri mattina presto, puntualmente riportata dall’Agenzia Ansa: “La posizione è molto chiara: l’intenzione del Governo, mia e del Mise è di non rinnovare la convenzione con Radio Radicale. – ha detto il parlamentare dei Cinque Stelle in un convegno sull’informazione locale che si svolgeva in Lombardia – Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o vuole la sua chiusura, sta nella libertà del Governo farlo; ha svolto per 25 anni un servizio senza alcun tipo di gara e valutazione dell’effettivo valore di quel servizio; la valutazione è stata fatta: esiste Rai Parlamento, un servizio pubblico, un canale istituzionale che trasmette le sedute parlamentari e delle commissioni. Parole che suonano come quella che il Corriere della sera ha giustamente definito “la condanna del Governo per Radio Radicale” e che appare come un discrimine ideologico oltre che la palese violazione della libertà di stampa. Eppure sul punto il Movimento e i suoi colonnelli non sono disposti a cedere di un millimetro. Era stato il Ministro Barbara Lezzi, pochi giorni fa, a dire più o meno le stesse cose proprio durante un’intervista a Radio Radicale. Si può aggiungere che proprio il sottosegretario Crimi in questo periodo sta giustificando la peggiore persecuzione della libertà di stampa in Italia dal dopoguerra come un modo per ripristinare le regole e risparmiare, non solo per il caso di Radio Radicale, che, va ricordato, è vincitrice di una regolare gara d’appalto (indetta nel 1994) per la diffusione dei lavori parlamentari cui ha aggiunto anche quelli di molte Commissioni e di tutti i principali processi penali che si sono tenuti negli ultimi venticinque anni, di cui custodisce l’unico archivio esistente, pur non richiesto dalla convenzione medesima. Nello specifico la convenzione in essere prevede di trasmettere nel corso dell’anno il 60% delle sedute parlamentari nella fascia oraria che va dalle 8 alle 21. Il refrain del Movimento Cinque Stelle su questa emittente che si può definire storica va avanti ormai da mesi. E, in fondo, sempre Crimi dice di non voler penalizzare il pluralismo dell’informazione proprio mentre sta togliendo i fondi che lo rendono possibile. Fino ad oggi Radio Radicale ha ricevuto da convenzione 8 milioni di euro e 4 da contributo per l’editoria, quest’ultimo abolito e ciò ha fatto in modo che il sostegno alla radio sia di fatto dimezzato. Stando così le cose sarà impossibile mantenere il servizio, oltre alle immediate ripercussioni sui livelli occupazionali. La posizione del sottosegretario Crimi è condivisa dal vicepremier Luigi Di Maio e ci sono solo timide contrapposizioni da parte della Lega, che evidentemente nella trattativa con l’alleato di Governo ha preferito portare a casa altro che la pluralità dell’informazione. Dura e piena di amarezza la presa di posizione della Federazione Nazionale della Stampa: “Quella del governo contro Radio Radicale è una crociata. Ormai non passa giorno senza che il sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, non faccia esibizione di muscoli per ricordare che la convenzione non sarà rinnovata. Questa insistenza dimostra che la decisione non ha niente a che vedere con il riordino del settore dell’editoria, ma è di natura politica e ideologica. La stessa ideologia contraria al pluralismo dell’informazione e alla circolazione delle idee, che si traduce in una guerra sempre più aperta a tutte le voci delle differenze, delle diversità e delle minoranze”, dicono in una nota Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana. “Una visione – proseguono – che ha portato il Governo italiano a votare contro la direttiva europea sul diritto d’autore, nel tentativo di impedire ad aziende editoriali, giornalisti, professionisti e intellettuali di ricevere la giusta remunerazione del proprio lavoro da parte dei giganti della rete. Se queste sono le premesse con cui il governo intende affrontare il tema della riforma del settore editoriale attraverso gli Stati generali, non c’è da aspettarsi niente di positivo, soltanto una gigantesca pantomima con il rischio di dare il colpo di grazia all’intero comparto. Saremo felici, ovviamente, di essere smentiti. Non è un caso, però, che il sottosegretario ribadisca ogni giorno la necessità dei tagli, ma non trovi mai il tempo di dire alcunché sulle tante forme di bavagli all’informazione”.
A latere si muove una vasta mobilitazione civile e c’è stato l’intervento di molte associazioni e partiti. Ma tutto ciò non è servito, finora, a cambiare le cose, così come non si è riusciti a fermare la furia che si è abbattuta sui fondi per i giornali. Il Governo si è limitato a convocare i cosiddetti Stati Generali, i cui lavori sono stati (peraltro) trasmessi in diretta solo e proprio da Radio Radicale.

Tratto da: articolo21.org

Foto © Imagoeconomica