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fittipaldi emiliano c imagoeconomicadi Francesca Scoleri
L'intervento di Emiliano Fittipaldi - L’Espresso - all’evento: “Giornalismo d’inchiesta pilastro di democrazia”, presso la Camera dei Deputati




“Dal Vaticano alla Politica, perché in Italia è difficile fare inchieste che sfiorano in potere?”

Emiliano Fittipaldi:

Come il direttore Travaglio anche io non sono mai stato invitato alla Camera a parlare di temi di questa complessità e di questa importanza e quindi sono contentissimo di essere stato invitato. Mi spiace che è andato via il Presidente Fico che è stato il primo ad invitarmi a Napoli nel 2010, siamo napoletani entrambi e avevo fatto un libro “Così ci uccidono” che raccontava dell’inquinamento della nostra terra.

E’ stato l’unico a presentarmelo, era il 2010 ai tempi della campagna elettorale per le Regionali. Eravamo 2 ragazzi e adesso mi fa strano vederlo qui, lui da una parte ed io dall’altra. Allora, io faccio inchieste sul potere. Qualsiasi forma di potere. Non soltanto il Vaticano che con le inchieste che mi hanno reso più celebre, perché io sono partito facendo inchieste.

Che cosa vuol dire fare inchieste sul potere in Italia? Inchieste sul potere è cercare di raccontare quelle verità nascoste che qualsiasi forma di potere, potere politico, potere economico, potere finanziario, poteri di autorità morali importanti, di poteri reali come il Vaticano in Italia, vogliono che l’opinione pubblica non conosca. Segreti, scandali, affari poco chiari, conflitti di interesse, non per forza questioni che riguardano reati penali. Questo tipo di lavoro, ahimè, lo dico con sofferenza, in Italia, è vero, lo fanno pochissimi. Si fa molta cronaca giudiziaria, che è tutt’altro da un’inchiesta autonoma del giornalista.

Cronaca giudiziaria vuol dire che tu utilizzi e racconti sui giornali, sulla stampa, è documentare inchieste che fanno altri. Che fa la Polizia Giudiziaria, il Magistrato, oppure dei report di altri poteri che possono veicolare la stampa per pubblicare quelle indagini. Le inchieste sul potere non si fanno in questo paese, mentre sono la base del giornalismo anglosassone.

Per esempio, ancora oggi lo sono per 1000 motivi. Non è vero – non mi ricordo chi l’ha detto – che prima si facevano ed oggi non si fanno più. Secondo me in questo Paese le inchieste autonome di giornalisti non se ne sono mai fatte tante. Non abbiamo una cultura simile a quella del giornalismo anglosassone, non c’è nessun giornalista d’inchiesta che è mai diventato direttore di nessuna testata. Mai, nella storia di questo Paese. Forse Giuseppe D’Avanzo, mio maestro è diventato vice direttore di Repubblica, ma Direttore è un’altra cosa.

Non accade questo nel resto degli altri paesi, in Francia, in Germania, in America, in Gran Bretagna. L’esempio che tu facevi delle inchieste sul Vaticano, e faccio questo esempio personale perché lo conosco bene ed è il motivo per cui nessuno o pochi giornalisti fanno inchieste di questo tipo, è che, vi ricordate Spotlight, l’inchiesta dei colleghi del Boston Globe del 2003-2004 che raccontò quello che accadeva a Boston col Cardinale Bernard Law che spostava i preti pedofili da una parte all’altra, che pagava le famiglie per il loro silenzio, i giornalisti del Boston Globe che hanno fatto quell’inchiesta sono stati premiati con il Pulitzer, il capo di quei cronisti attualmente è Direttore, si chiama Martin Baron del Washinghton Post.

Da quell’inchiesta è nato un film che nel 2015 ha vinto un’Oscar. Ovviamente, fatte le dovute differenze, mettendo la radice quadrata, quello che ho fatto io con Gianluigi Nuzzi con “Avarizia” e “Via Crucis” nel 2015 e quello di aver raccontato per la prima volta come vengono gestite le finanze Vaticane; quant’è ancora, anche sotto questo pontificato e questo magistero l’imponente ricchezza ed il potere del Vaticano stesso e con quei 2 libri abbiamo cercato semplicemente di fare il nostro mestiere, cioè raccontare quello che c’è nel dietro le quinte.

Quindi la Chiesta ancora oggi non è affatto povera per i poveri, questo è un desiderata di Francesco e spero che alla fine del suo magistero riesca a realizzarlo ma è una Chiesta ancora molto ricca che utilizza anche i soldi della beneficenza per gli interessi personali dei cardinali dei dicasteri a volte dei politici amici, abbiamo visto qualche deputato di qualche di qualche partito importante che aveva una casa a Via dell’Orso insieme Esterino Montino e Monica Cirinnà per non fare nomi, che aveva una casa da 130 mq a cui pagava 130 euro al mese, da un Ente, il Vaticano, in particolare l’Absa, a cui alcune leggi dello Stato Italiano vanno ad aiutare quell’ente stesso, quindi a proposito di conflitti d’interesse.

I due giornalisti, cioè il sottoscritto e Nuzzi, non hanno vinto il Pulitzer, sono stati indagati dal Vaticano, nel silenzio totale della politica italiana, TOTALE, in tutti i partiti. Ho visto anche esponenti del Movimento 5 Stelle, anche il Movimento 5 Stelle non si è mosso proprio in maniera forte per quei giornalisti che hanno fatto quel tipo d’inchiesta, rischiando dai 4 agli 8 anni di carcere, con un attacco molto duro fatto dal Vaticano e da giornalisti che – diceva la signora Vella – la prima cosa che i giornalisti devono fare è quello di proteggere e aiutare gli altri giornalisti che cercano di scoperchiare il potere.

Questo non accade in Italia, in Italia chi fa questo mestiere, sia dalla politica, sia dai potenti ma anche dai colleghi viene un po’ abbandonato, visto con antipatia, perché chi lavoro in un certo modo fa vedere che forse gli altri non lavorano come si dovrebbe lavorare. E quindi siamo stati attaccati, addirittura accusati di aver rubato i documenti, di aver minacciato “le fonti”. Solo in Italia “le fonti” vengono chiamate “corvi”. Questa è una cosa che… se le fonti danno informazioni di qualità, interessanti per l’opinione pubblica, vengono chiamate “gole profonde”, vengono addirittura premiate, vengono considerate degli eroi, vede quello che è successo con Wikileaks, con Assange, in Italia invece vengono chiamate “Corvi”. Perchè c’è sempre il retropensiero che il giornalista fa quella particolare inchiesta per un interesse personale del suo Editore o della sua fonte stessa.

Questa è una cosa che accade, dal punto di vista culturale, solo in questo Paese. Cosa fa il potere in questo caso specifico? Cerca di distruggere la credibilità del giornalista. In questo caso specifico dicendo che noi eravamo dei ladri, e che avevamo pagato le fonti o addirittura che le avevamo minacciate. Alla fine questo processo è andato male per la Chiesa, perché nemmeno un rigo dei due libri, nemmeno un rigo è stato smentito, e noi siamo stati accusati, diciamo, di aver divulgato notizie riservate che potevano mettere a rischio l’interesse nazionale dello Stato, della Città del Vaticano (questo per la ridicolaggine dell’accusa). Ma nessuno c’ha dato nessun premio, nessuno ha fatto un film su questo. Nel 2015 fu premiato come miglior giornalista d’Italia Fiorello, Rosario Fiorello non Beppe.

Questo per dire che in Italia il tipo di lavoro che viene fatto, ovviamente quello che faccio io è niente rispetto alcuni colleghi che rischiano la pelle, sia in grandi testate nazionali, qui abbiamo Giovanni Tizian che lavora con me, che è stato sotto scorta (non so se lo sei ancora) fino a pochissimo tempo fa, per aver fatto inchieste molto importanti sulle infiltrazioni ‘ndranghetiste in Emilia Romagna. E’ davanti alla mia scrivania, al lato ho invece Lirio Abbate, anche lui sotto scorta, per aver svelato primo fra tutto Mafia Capitale, prima ancora per minacce ricevute dalla Mafia siciliana. C’è Roberto Saviano, insomma noi abbiamo una quantità di scortati all’interno della Redazione piuttosto significativa. Questo per farvi capire la difficoltà e anche il rischio personale che quelli che fanno il mestiere, non in maniera eccezionale, attenzione, quà nessuno è un eroe, come bisognerebbe fare questo mestiere. Io non concepisco un altro modo di fare il giornalismo.

Il giornalismo è quello di raccontare e di svelare dei segreti o comunque di approfondire delle notizie che il potere – di qualsiasi forma – cerca di darti in maniera interessata. Quello che il giornalista d’inchiesta fa è quello di attivare, accendere una curiosità intellettuale di fronte alla rappresentazione che il potere racconta di sé stesso. Se arriva un nuovo Pontefice che promette una rivoluzione, parte importante della stampa, ahimè soprattutto quella italiana, considera quella rivoluzione già belle fatta. Il Papa ha un carisma straordinario rispetto al suo predecessore, questo c’è poco da dire, e quindi noi crediamo alle sue parole senza andare a vedere se a quelle parole corrispondono i fatti. Questo lo si fa ogni volta non soltanto sul Pontefice, la stampa italiana, ahimè lo fa spesso sul potere, oppure la stampa, parlo sia di televisione sia i giornali, oppure quando ci sono delle simpatie politiche (che è normale che i giornalisti abbiano).

Io cerco di essere apolitico nel tipo di lavoro che faccio. Nel senso che io, ovviamente voto un partito piuttosto che un’altro, a secondo delle proposte, ma quando vado a lavorare io non guardo in faccia a nessuno. Non devo guardare in faccia a nessuno. Al di là delle simpatie politiche che posso avere io, il mio Direttore, il mio Editore. Invece succede, ahimè, per tutti i giornali, TUTTI, nessuno escluso, ahimè, forse un po’ noi ci proviamo all’Espresso, un po’, ci proviamo, a volte ci riusciamo, a volte no, che chi ti dà un’informazione se ti è simpatico tu la dai per buona. E quindi non fai la seconda domanda. Ossia il secondo passaggio. Quello che ti stanno raccontando è vero o è falso?

La prova che ti stanno dicendo rispetto ad un particolare dossier, rispetto ad una particolare questione, è sufficiente oppure no? Il giornalista, ma non un giornalista investigativo, un qualsiasi giornalista, deve cercare di analizzare le promesse, le parole, per vedere se quelle parole corrispondono a fatti concreti. Questo, è vero, viene fatto pochissimo. Perchè vien fatto pochissimo? Per tantissimi motivi. La questione delle querele e delle liti temerarie è vera. Io ho avuto negli ultimi 2 anni richieste non solo penali ma anche civili per milioni di Euro. Mauro Masi capo della Consap mi ha chiesto 25 milioni di Euro. Per un’inchiesta perfetta perché alla fine ha dovuto ritirarla quella querela.

Brunetta me ne ha chiesti 11-12 per una copertina che feci insieme a Marco Lillo, quando era ancora all’Espresso prima di fondare Il Fatto (su la sua carriera lui al tempo era Ministro dell’Innovazione). Adesso mi è arrivato, ora ho visto 2 giorni fa una querela di Salvini, non so ancora perché, quali sono le sue motivazioni, sono 49 milioni ma le inchieste le hai fatte tu, non capisco perché … io non l’ho fatta non capisco perché se la prende con me e non con te. Francesco Boccia del PD mi ha chiesto 2 milioni e la moglie 1 milione e mezzo (perché forse non si potevano mettere d’accordo). Bertone, di cui ho rivelato la storia dell’attico, io raccontai, e anche lì, per raccontarvi che non sempre poi le cose vengono raccontate dagli altri giornali, lì non ci fù nessun leaks, li non avevo nessuna carta su Bertone, sui soldi che il Bambin Gesù, o meglio la Fondazione del Bambin Gesù aveva dato a Bertone per ristrutturarsi la casa. 500 mila euro di soldi fottuti dalle casse della beneficenza e che il Cardinale Bertone ha utilizzato per ristrutturare la sua casa con i marmi di Carrara, con un sistema di impianto Bose da 18.000 Euro.

Non avevo quelle carte. Dovevo consegnare questo libro, avevo il libro di Nuzzi e scoperto che Nuzzi era al terzo libro, aveva molta più roba di me. Per fortuna no, ma non lo sapevo. Insomma, volevo inserire qualche altra notizia. Mi ricordai che 3 anni prima, ad una festa romana qualcuno mi raccontò di questa vicenda del Bambin Gesù. Io chiesi subito i documenti, ho detto non possiamo pubblicare storie di questo tipo senza avere ogni carta d’appoggio, perché rischiamo il nostro portafogli. E alla fine chiamai Profiti, bluffai facendo finta che avevo i documenti che non avevo. Profiti era il capo del Bambin Gesù, e lui stesso mi raccontò tutto quello che era successo, pensando che io avessi le carte che invece non avevo. Ovviamente, per fortuna, registrai la telefonata, perché era l’unica prova. Questo per dirvi come nopn tutto è legato ai leaks e un giornalista d’inchiesta è tale solo se riesce a fare inchieste autonome. Perchè anche il leaks che va molto di moda in questo periodo non ha nulla a che fare con l’inchiesta.

Se arriva Wikileaks che da ai giornali stranieri o americani tutta una serie di informazioni, è facile fare inchieste avendo tutti i documenti sulla tua scrivania. E’ importante andarli a cercare e valutarli. Cosa succede in Italia rispetto alla questione della fonte? Mi trovai a “Porta a Porta” accusato da un giornalista di cui non farò il nome, Massimo Franco del Corriere della Sera, mi accusò (insieme – ovviamente – a Bruno Vespa) di essermi, non fidato delle fonti, ma di essere diventato strumento delle fonti. Ti sei fatto strumentalizzare, ti sei fatto utilizzare dalle fonti. Questa è una cosa che spesso fa la politica quando faccio un’inchiesta su Renzi, per esempio. Faccio un’inchiesta su Renzi, su Carrai, su Alberto Bianchi (ne ho scritte di ogni su di loro).

Sui conflitti d’interesse, prima ancora che del ‘caso Consip’. Raccontai che Bianchi aveva avuto una serie di consulenze da Consip, nonostante non fosse soltanto un’avvocato del Giglio Magico, ma fosse un importante esponente della Fondazione, Presidente della Fondazione renziana e che quindi forse non era il caso che prendesse soldi e consulenze da un’amministratore delegato (Marroni) che aveva messo lo stesso Renzi. Come su Carrai quando voleva fare il Cyber non ne parliamo proprio. Lì quando faccio quei pezzi mi accusano di essere ‘grilllino’ e i loro uomini della comunicazione mi attaccano, attaccano l’Espresso dicendo che l’Espresso è diventato ‘grillino’. Contemporaneamente, se faccio un’inchiesta su Marra, per esempio, e Marra è finito in galera perché il sottoscritto ha fatto un’inchiesta prima.

La Procura si è attaccata all’inchiesta che ho fatto io per un caso fortuito. A quel punto i grillini mi dicono che io sono un servo di De Benedetti e sono al soldo del PD o dell’Editore o di Berlusconi. Questo in un caso o nell’altro è gravemente offensivo del lavoro del giornalista perché si ipotizza che – questo è uno dei cancri culturali del nostro giornalismo – che il giornalista sia per forza al soldo di qualcuno, e che quindi fa un’inchiesta sul potere, e il potere può essere di maggioranza, di opposizione, su un partito su un altro, obbligatoriamente viene insufflato da qualcuno per qualche interesse. Massimo Franco mi disse: “ti sei fatto strumento di quelli che voglio distruggere la rivoluzione di Francesco”. Ero molto stanco e non ho avuto la prontezza quella sera di rispondergli.

Avrei dovuto rispondere che chiunque pensa e dice una cosa del genere deve cambiare mestiere, perché sempre le fonti utilizzano il giornalista. Il giornalista può sapere, e deve cercare di capire perché quella fonte ti sta dando quell’informazione. Quali sono le sue motivazioni più o meno recondite. Ma se la fonte è ‘buona’, se quella notizia è di interesse pubblico, se quella notizia ovviamente deve essere verificata 2, 3, 4, 5 volte per capire se è vera, il giornalista deve pubblicare quell’informazione. Perché se la tiene nel cassetto come, ahimè, abbiamo visto molti giornalisti fanno, beh a quel punto lui stesso può diventare un vile ricattatore. Quando nel più importante scoop della storia americana, e probabilmente del giornalismo contemporaneo, quello che ha fatto il Washington Post sui colleghi del Watergate, i colleghi Bernstein, Woodward tra l’altro ha fatto un libro da pochissimo, se non l’avete letto, leggetelo (su Trump) fecero saltare il Presidente Nixon col Watergate. Si scoprì 30 anni dopo qual’era la sua fonte.

La sua fonte era il numero 2 dell’FBI. Teoricamente l’uomo che più di tutti, o uno di quelli che più di tutti avrebbe dovuto difendere Nixon. Perchè ha traditom Nixon quella fonte? Non lo sappiamo. Probabilmente perché voleva distruggere quell’amministrazione per sostituirla con un’amministrazione diversa? Perchè questo succede sempre, una fonte ti dà delle informazioni su un gruppo di potere perché vuole distruggerlo per sostituirlo col suo. Quasi sempre lo fanno per vendetta, per rabbia. Mi ricordo che c’erano i ‘renziani’ che mi davano un sacco di informazioni contro i loro amici (e questo ahimè capita anche con i nuovi governanti) perché consideravano quelli che venivano promossi dei raccomandati delle persone che non potevano stare su quella poltrona, su quella sedia, che non lo meritavano, e quindi si vendicano attraverso la stampa. Tutto vero, questo accade sempre così. Nessuno ha chiesto a Woodward e a Bernstein in America se si son fatti convincere o strumentalizzare dal numero 2 dell’FBI. Le notizie erano vere? Certo.

Erano d’interesse pubblico? Ovvio. Erano confermate dai fatti? Si. Nixon è saltato e i due giornalisti son diventati degli eroi nazionali. Ancora oggi ne parliamo. In Italia tutto questo ahimè non c’è. E quindi conviene ai giornalisti, diciamo, stare un passo indietro, anche da un punto di vista di carriera, come vi dicevo prima. Non conviene tanto andare a rimescolare nel torbido, creare problemi. Si autocensurano. A volte non c’è nemmeno bisogno del potere che gli dica di ‘non fare’. E’ lo stesso giornalista che in Italia si autocensura. Questo è uno dei problemi maggiori. Ho una notizia? Se la pubblico ho più problemi o più cose positive? No più problemi! E’ meglio quindi che questa notizia non la pubblica. Interessi degli editori: verissimo.

Non ci sono editori ‘puri’ in questo Paese. Ovviamente non si può immaginare che per un potere, per legge, decida l’editore, se è ‘puro’ e non è ‘puro’. Questo dev’essere il mercato a deciderlo. Così come non esiste al mondo, se no sembra vendicativo, che un potere decida o non decida se un’azienda pubblica faccia per i suoi interessi di marketing, la propaganda su alcuni giornali oppure no. Questa è una cosa che non può dire il potere perché altrimenti quello stesso potere sembra un potere censore nei confronti della stampa. Anche se alcuni elementi di rigidità nelle critiche ci sono eccome. Le minacce. Le minacce sono di ogni tipo da parte del potere. Ci sono minacce criminali per cui io mi ricordo quando feci un’inchiesta su Nicola Cosentino, non so se lo ricordate Nicola Cosentino, era sottosegretario all’Economia nel Governo Berlusconi. Ad un certo punto mi arrivarono una serie di informazioni, anche di carattere penale, quindi in quel caso feci cronaca giudiziaria, non investigazione autonoma, che lui era sotto indagine dalla procura di Napoli per questioni legate ai suoi rapporti con i Casalesi. Lui era diventati Vice-Ministro dell’Economia, avevo ad un certo punto avuto queste informazioni, e aspettai un po’ di mesi perché non volevo che poi la Procura di Napoli mi accusasse di aver rovinato quell’indagine.

Passava sempre più tempo e vedevo che Cosentino prendeva sempre più potere. Ad un certo punto dopo 6 mesi decisi di pubblicare quelle informazioni. Qualcun’altro mi disse “No, c’è qualcuno in Procura a Napoli che non vuole che questa inchiesta vada avanti”. Probabilmente era una balla, fatto sta che alla fine pubblicai lo stesso. Arrivarono a casa mia e del collega Gianluca Di Feo e sequestrarono alle 6 di mattina 20 persone in casa, un sequestro della Finanza che chiaramente sembrava intimidatorio, rispetto alla pubblicazione di una notizia che fu deflagrante. Quanti giornali raccontarono quell’inchiesta? Nessuno. Perchè un’altra delle cose paradossali è che in Italia se tu fai un’inchiesta giornalistica autonoma, nessun giornale te la riprende. MAI. Anche se hai carte e hai pezze d’appoggio che dimostrano in maniera inconfutabile che tu probabilmente hai ragione. Questo accade per motivi anche biechi. Nel senso di gelosia professionale. La volontà di non mostrare che tu hai preso un buco.

Questo, anche quì, accade solo in Italia. Se Le Monde fa un’inchiesta importante il giorno dopo Figarò la riprende. Anche perché la volta successiva se la fa Figarò sarà Le Monde. E questo fa bene a tutto il giornalismo professionale. Oppure al contrario. Se c’è un giornale che fa un’inchiesta sballata o che dà delle notizie false, ci sono gli altri giornalisti che fanno le pulci a quel giornale. Quindi c’è un’attenzione molto maggiore che se sbagli ne paghi anche le conseguenze. Che possono essere professionali individuali ma anche di vendite. Tutto questo non accade perché “cane non mangia cane” tra i giornali. E tra i Media, per non parlare della televisione, che viene da 20 anni di berlusconismo spinto dove l’informazione, soprattutto sulle reti private si è ridotta al lumicino. E dove la semplificazione del linguaggio – e questa è l’ultima cosa che dico – è diventata prioritaria nell’interesse del potere. Perchè la semplificazione? Perchè una delle responsabilità per cui non si fanno inchieste è perché l’opinione pubblica, anche se quelle inchieste dice di volerle (a chiacchiere) non le vuole in realtà. Non le legge.

Se io faccio un’inchiesta complessa che può essere sugli interessi economici del Giglio Magico o sul concorso del Presidente del Consiglio Conte, che ha che fare con dati, conflitti d’interesse complicati, con pezzi difficili, quando io la vado a mettere sul sito della Repubblica o dell’Espresso mi accorgo dai dati che viene letta, anche se la faccio gratuitamente, quindi la diamo gratuitamente (è una follia da punto di vista economico perché il giornalismo professionale che faccio io ha un costo) è complicato, non tutti lo possono fare, non tutti lo sanno fare, il gattino a fianco che salta sul cane ha un numero di ‘click’ infinitamente superiore. Quello che dicevi tu, ossia, del fatto che c’è una parte di italiani ‘analfabeta’ non dal punto di vista ovviamente che non sa leggere/scrivere, ma che al settimo rigo non capisce più nulla. E’ vero, è drammaticamente vero. Ma è un dramma per la nostra democrazia perché se non si alza il livello culturale avremo dei cittadini che avranno difficoltà ad informarsi. Che avranno difficoltà a diventare cittadini consapevoli. E quindi cittadini che poi possono scegliere nel momento delle elezioni, che è il momento più alto della nostra democrazia. Chi votare e chi no.

La propaganda a tutti i livelli, di tutti i poteri, su cittadini del genere ha molta più presa. E questo è un problema. Io non sono contrario ai social, qualcuno dice i giornalisti son contrari, no io non son contrario, ma noto che negli ultimi 10 anni il linguaggio dei social si è semplificato in maniera sempre più forte. E quindi quello che scriviamo noi, a volte le cose sono complicate perché i meccanismi del potere, ragazzi, sono difficili, e vanno spiegati anche semplificando al massimo con una certa dose di complessità per non rimanere sempre in superfice. E noto che l’arrivo dei social non è stato positivo per questo. E noto che anche l’utilizzo dei social va sempre verso una semplificazione maggiore quando le generazioni scendono. Io ho 2 figli, Facebook per loro è troppo complesso. Facebook è troppo complicato, puoi scrivere troppo, e troppo lungo. Già Twitter … ma anche Twitter è troppo complicato. Meglio Instagram: una fotografia. Ce l’altro Snapchat che non prevede testo che ha un successo straordinario soprattutto in America tra le nuove generazioni. Noi non aiutiamo le nuove generazioni a comprendere e a capire anche la difficoltà di informarsi su cose complicate. Quindi, la cultura del sospetto, l’ignoranza, le minacce, le querele temerarie, gli interessi degli editori, l’autocensura dei giornalisti, questo, per rispondere al motivo per cui mi avete invitato, sono motivi che si intrecciano tra di loro.

Tratto da: themisemetis.com

Foto © Imagoeconomica

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