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giuliano salvatore gabrieledi Paolo Borrometi
La Polizia di Stato di Siracusa sta eseguendo una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal Gip del Tribunale di Catania, a carico di soggetti ritenuti responsabili a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni ed aziende agricole.

Fra loro, secondo quanto si apprende, il capomafia Salvatore Giuliano ed il figlio Gabriele. Gli stessi rinviati a giudizio per minacce di morte, tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso nei confronti di chi scrive (LEGGI) e che, secondo le intercettazioni di mesi fa di Giuseppe Vizzini, volevano organizzare l’attentato contro di me (LEGGI).

L’indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Siracusa, con l’ausilio dei poliziotti dell’analogo ufficio investigativo di Catania, ha consentito di accertare l’operativita’ nei territori della zona sud della provincia aretusea, di un gruppo delinquenziale, che – si legge in una nota – grazie alla forza di intimidazione esercitata dai suoi appartenenti, aveva monopolizzato e condizionato l’intero mercato ortofrutticolo della zona. I poliziotti hanno altresi’ riscontrato una serie di attivita’ illecite che andavano dalle estorsioni, al traffico di sostanze stupefacenti, alla commissione di furti ad abitazioni ed aziende agricole.

COMUNICATO STAMPA

Duro colpo al clan Giuliano da parte della Polizia di Stato, che questa mattina ha eseguito 19 misure cautelari emesse dal gip del tribunale di Catania perché ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni ed aziende agricole.

Le indagini svolte dalla Squadra Mobile di Siracusa, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania, avrebbero documentato, nel periodo che va almeno da maggio 2015 a maggio 2017, l’azione, nella zona sud della provincia aretusea, del gruppo Giuliano, con a capo Salvatore Giuliano, che «servendosi della forza di intimidazione avrebbe condizionato le attività economiche della zona, traendone indebiti vantaggi, nonché di perpetrare una serie di attività illecite che spaziavano dalle estorsioni, al traffico di sostanze stupefacenti, alla commissione di furti ad abitazioni ed aziende agricole».

L’indagine, infatti, parte proprio dalla figura di Salvatore GIULIANO e sugli uomini di sua stretta fiducia, VIZZINI Giuseppe e i fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio APRILE (tutti gravemente indiziati del reato di associazione di tipo mafioso per la loro appartenenza al clan) e sulla progressiva ascesa del gruppo a vero e proprio sodalizio mafioso in grado di acquisire il monopolio nella produzione e nello smistamento dei prodotti ortofrutticoli coltivati nelle numerose serre presenti in quei territori; GIULIANO Salvatore è, infatti, l’indiscusso boss della zona, cui tutti devono rivolgersi per poter svolgere le proprie attività nei territori sotto il suo controllo. Grazie ai legami vantati nell’ambito della criminalità organizzata catanese con il clan «Cappello» e al patto di non belligeranza siglato con la consorteria rivale dei «Trigila», GIULIANO si era quindi assicurato lo spazio operativo per dominare incontrastato nei territori di Pachino. A tal proposito, l’attività d’indagine svolta dal Commissariato P.S. di Pachino e confluita nel procedimento penale in argomento, ha anche documentato, in data 4 gennaio 2016, a Pachino, un episodio di danneggiamento a mezzo incendio, aggravato dall’utilizzo del metodo mafioso, commesso da BOSCO Salvatore e commissionato da SALVO Salvatore Massimiliano, organico al clan catanese dei «Cappello», che ha avuto ad oggetto un mezzo utilizzato per la raccolta dei rifiuti di proprietà della Dusty s.r.l., azienda che aveva l’appalto di tale servizio nel comune di Pachino. La principale fonte di guadagno del gruppo capeggiato da Salvatore GIULIANO derivava dal condizionamento del ricco e fiorente mercato ortofrutticolo che da sempre costituisce in quei territori la più rilevante attività economica. Per ottenere questo risultato, il sodalizio mafioso, rifuggendo dalla mera imposizione del pagamento di somme di denaro, aveva dato vita a un’attività imprenditoriale, «La Fenice s.r.l.», le cui quote sociali risultano formalmente ripartite al 50% tra Gabriele GIULIANO, figlio di Salvatore, e VIZZINI Simone, figlio di Giuseppe, che si occupa del commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli. Tale sodalizio ha nel magazzino sito a Pachino il suo quartier generale, ove si tenevano le riunioni e gli incontri con gli esponenti di altri clan. Come emerso dalle numerose conversazioni registrate nel corso dell’indagine, la titolarità delle quote sociali in capo a Gabriele Giuliano e Simone Vizzini era meramente apparente e finalizzata a lasciare in mano al vero dominus, GIULIANO Salvatore, la signoria e la gestione dell’attività di accaparramento del mercato ortofrutticolo. Per tale ragione GIULIANO Salvatore, GIULIANO Gabriele e VIZZINI Simone risultano gravemente indiziati del delitto di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dal fine di agevolare l’associazione mafiosa. «La Fenice» non operava secondo le regole del libero mercato, bensì ricorrendo a forme di pressione intimidatoria, ora larvata ora esplicita, sugli operatori del settore. Tale strategia era finalizzata a costringere i produttori a versare il loro raccolto nei magazzini della «Fenice» in modo da ottenere il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo dell’attività di mediazione per la successiva vendita della merce agli operatori della grande distribuzione. Allo stesso modo, anche i commercianti che intendevano acquistare i prodotti coltivati nelle serre di Pachino, per immetterli successivamente nel mercato finale, dovevano trattare con GIULIANO e il suo gruppo senza potersi interfacciare direttamente coi coltivatori. Grazie a questo collaudato meccanismo, gli indagati pretendevano il pagamento di una somma di denaro, la c.d. «provvigione», calcolata in percentuale del raccolto prodotto e ceduto agli operatori della piccola e grande distribuzione, che costituiva il corrispettivo per la presunta attività di mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti. In tale fase, un ruolo decisivo era svolto dai fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio APRILE, veri e propri bracci armati di GIULIANO, cui il boss si rivolgeva quando era necessario incutere timore e far sentire la pressione del clan agli operatori del settore. In alcuni episodi, che vedevano come vittime i produttori ortofrutticoli operanti in Noto e Rosolini, ovvero in territori sotto il controllo del clan rivale dei Trigila, emergeva la concorrente partecipazione di CRISPINO Giuseppe in qualità di referente del «clan» facente capo ad Antonio TRIGILA. Ma le attività illecite del sodalizio non si limitavano al condizionamento illecito del mercato ortofrutticolo. La capacità di penetrazione del clan era tale da colpire anche le altre principali attività economiche della zona. Anche il settore dei parcheggi a pagamento, situati a ridosso delle zone balneari ricadeva sotto l’influenza del clan. E in tale settore un ruolo determinante era svolto dai citati fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio APRILE che, sempre in accordo col capoclan GIULIANO, si occupavano della gestione dei parcheggi, sia direttamente collocandovi uomini fidati, sia indirettamente imponendo il pagamento di somme di denaro a coloro che li gestivano. È stata, inoltre, contestata a Salvatore GIULIANO e Claudio APRILE l’estorsione perpetrata ai danni del titolare di un lido balneare stagionale, costretto a versare al clan una somma di denaro in cambio di un presunto servizio di «guardianìa» svolto in suo favore. Secondo quanto emerso nel corso dell’attività, inoltre, i fratelli Claudio, Giuseppe e Giovanni APRILE, avvalendosi della complicità di AGOSTA Rosario, GUGLIOTTA Vincenzo, DI SALVO Giuseppe, CANNARELLA Antonino e ARANGIO Sergio si occupavano della commissione di furti di macchinari agricoli, specificatamente trattori e mezzi per la lavorazione della terra, che venivano asportati alle aziende agricole insistenti nei territori di Noto, Rosolini e Palazzolo Acreide. Inoltre, veniva riconosciuta l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti composta da CANNAVÒ Salvatore, CACCAMO Massimo e Antonio ARANGIO, i quali grazie all’avallo ottenuto dal boss Salvatore GIULIANO, facevano giungere a Pachino ingenti quantitativi di cocaina per immetterli sul mercato. Ai fratelli APRILE Giuseppe, Giovanni e Claudio, ad ARANGIO Sergio, DI SALVO Giuseppe e CANNARELLA Antonino venivano altresì riconosciute singole condotte di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Infine, GIULIANO Salvatore e SCALISI Nunzio Agatino Lorenzo, Assistente Capo della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di Pachino, sono gravemente indiziati del tentativo di estorsione, aggravato dal metodo mafioso, posto in essere in danno dei proprietari di un’abitazione condotta in locazione dallo SCALISI. In particolare, GIULIANO, con minaccia, consistita nel presentarsi personalmente dietro richiesta e accordo con il poliziotto, aveva prospettato anche larvatamente pericoli per l’incolumità personale o ai beni delle persone offese, al fine di costringerli a non pretendere il corrispettivo di almeno tre canoni di locazione a loro dovuti dallo SCALISI. Col medesimo provvedimento, il G.I.P. presso il Tribunale di Catania ha, altresì, disposto il sequestro preventivo delle quote sociali e dell’intero patrimonio aziendale de «La Fenice s.r.L.»

NOTA DI REDAZIONE:
Il ringraziamento più sentito alla Procura di Catania, ai Magistrati che in silenzio lavorano per liberare il territorio, alla Polizia, Mobile di Siracusa e Commissariato di Pachino. Grazie a voi che avete reso possibile la liberazione di un territorio soffocato.

Fonte: laspia.it

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Tratto da: 19luglio1992.com

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