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niceta angelo prefettura palermoInterrogazione parlamentare su Niceta, la replica dei familiari
di Alfia Milazzo*
La situazione del testimone di giustizia Angelo Niceta sta mettendo in luce l’inquietante e colpevole isolamento a cui lui e la sua famiglia sono sottoposti. E’ ormai chiaro quanto sia assurda, e soprattutto “feroce”, questa forzatura del cambiamento di status da testimone di giustizia a collaboratore, privandolo di ogni tutela, persino quella prevista per i collaboratori stessi (da intendersi equivalenti ai pentiti di mafia, benché certamente Niceta non lo sia in quanto non ha ricevuto alcuna imputazione né condanna). Ma ciò che mi preme chiarire sono le ragioni non-violente dello sciopero della fame intrapreso da Angelo Niceta ormai da 18 giorni. Ragioni che meritano un approfondimento.

Lo sciopero della fame prolungato, come metodo di dissenso non-violento, in Italia ha avuto precursori di grande rilievo etico come Danilo Dolci e Aldo Capitini. Il principio di base è quello teorizzato da Tolstoj, e ripreso poi da Ghandi, della "non resistenza al male", principio che si ispirava, a sua volta, al concetto di disobbedienza civile, teorizzata e praticata da Thoreau. Angelo Niceta non sta portando avanti lo sciopero della fame perché “vuole morire”, ma perché tutte le vie di dialogo, per ottenere giustizia e ascolto dallo Stato, gli sono state precluse.

Quando parlo di Stato intendo la Commissione Centrale del Ministero degli Interni, presieduta dal deputato Filippo Bubbico, che ha svalutato il ruolo di Niceta, e la prefettura, diretta dal prefetto Antonella De Miro. D’altra parte, però, bisogna sottolineare che se le sue richieste non avessero avuto una fondatezza giuridica allora neanche il metodo di protesta, dello sciopero della fame, avrebbe avuto una tale rilevanza collettiva. Niceta infatti più volte ha dichiarato di aver intrapreso lo sciopero della fame “per eseguire una sentenza di morte inflitta dallo Stato a lui e alla sua famiglia”.

Questa dura affermazione, riportata da diversi giornali, dovrebbe suscitare da parte delle autorità competenti una reazione immediata, tale da smentirne l’allarmante significato, che da essa discende. Invece, a parte qualche vaga rassicurazione di intervento, non ha sortito, fino ad oggi, nessuna concreta risposta. E risulta ancora più assordante il silenzio delle Istituzioni, in una Palermo, in un’Italia  in cui gli intrecci tra imprenditoria, stato e mafia (diretta dal super latitante Matteo Messina Denaro) sono descritti ampiamente nelle dichiarazioni di Niceta, rese al processo sulla trattativa.

Questo vergognoso silenzio, questo irragionevole incedere mollemente cauto, questo esercizio di pressapochismo del potere, paragonato alle sofferenze che il Niceta ha patito e sta patendo, risalta come una grave violazione cinica dei suoi diritti riconosciuti dalla Costituzione e dalla Carta Europea dei Diritti dell’uomo. Ci sono molti modi  di vivere, ed ancora più significativi modi di morire. Tra questi c’è quello di chi, di fronte ad una condanna a morte, esercita, come Socrate, come Sacco e Vanzetti, il diritto di “andarvi incontro” per affermare la propria dignità e il rispetto di sé.

Le motivazioni dello sciopero della fame di Niceta sono profondamente etiche. Infatti, si sviluppano nella triade di autonomia critica, dignità e responsabilità. E in questa triade la coscienza tratteggia la sua vera struttura morale, che l’altrui iniquità non può scalfire, perché è fondata sulla Verità alla quale il soggetto aderisce. Niceta sta affermando il diritto di autodeterminarsi in un atto, cioè la sua morte, che altri hanno deliberato. Io credo che il Niceta sia grato con tutta l’anima a tutti quei cittadini che lo stanno appoggiando, cercando di salvargli la vita. Ed ho costatato di persona quanta composta determinazione vi sia in lui e nei suoi familiari, che lo accompagnano e lo sostengono.

Si può pensare che questa scelta comporti apparentemente un “dargliela vinta” a chi lo vuole fermare, ma così non è, poiché è invece un’opposizione non violenta di dissenso nell’acconsentire un verdetto violento. In tutto ciò, pur riconoscendo le radici etiche del suo sciopero della fame, noi tutti speriamo ardentemente che lui interrompa la sua protesta prima che sia troppo tardi per la sua salute: infatti, ne siamo convinti, non varrebbe di meno la sua battaglia eroica. Per questo dobbiamo, con ancora più forza, ritenere, per quanto detto, le Istituzioni responsabili della sua salute e pretendere dal prefetto De Miro un intervento tempestivo (anche presso il Ministero dell'Interno).

Qualunque forma di inazione da parte delle Istituzioni, in questo caso, avrebbe l’esito di una passiva istigazione al suicidio. Il prefetto De Miro, che si è distinta in passato per aver contrastato le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia (processo Aemilia), dimostri di essere contro la mafia che vuole tacitare Niceta, uccidendolo in sordina, isolandolo e affamandone la famiglia. Dimostri che lo Stato da lei rappresentato è fuori da ogni ipotetica collusione con chi avesse interesse a bloccare un testimone di giustizia chiave come Angelo Niceta.

Noi cittadini lo chiediamo in via ufficiale, attraverso questo e altri articoli, da due settimane. Attraverso ben tre sit-in sotto gli uffici della Prefettura. Tutto ciò, perché non vogliamo che lo sciopero della fame, intrapreso da Angelo Niceta, sia come un neo nella biografia di un funzionario pubblico deputato al rispetto della legalità. Perché la scongiurabile morte di un uomo di specchiata onorabilità come il Niceta trasformerebbe una troppo lenta inazione in colpevole, terribile corresponsabilità con i poteri nefasti della criminalità organizzata.
E questo, crediamo, sarebbe l’errore più grande che un rappresentante delle Istituzioni possa compiere.

*presidente Fondazione La città invisibile

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