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niceta angelo il fatto quotidianoInterrogazione parlamentare su Niceta, la replica dei familiari
"La mafia mi ha distrutto, le istituzioni mi hanno dato il colpo di grazia"

di Giorgio Mannino - Video all'interno
E' il primo collaboratore di giustizia italiano a non avere una scorta. La storia di Angelo Niceta è più unica che rara. Dopo avere denunciato le relazioni mafiose dei suoi parenti, gli imprenditori Niceta, nota famiglia della borghesia palermitana, con i più alti esponenti di Cosa Nostra tra cui Bernardo Provenzano, i fratelli Guttadauro, il latitante Matteo Messina Denaro, le famiglie Scaduto e Graviano, Angelo Niceta gira libero per Palermo, senza alcuna protezione. Più di un anno fa ha anche deposto al processo sulla Trattativa Stato-mafia.

 

I pm Nino Di Matteo e Pierangelo Padova, avevano chiesto nel 2015, lo status di testimone di giustizia. Ma inspiegabilmente, il Ministero dell'Interno lo ha inserito tra l'elenco dei pentiti, sebbene Niceta non abbia mai commesso alcun tipo di reato. Ad infittire il mistero è una recente delibera proveniente dal Viminale, in cui è scritto che il "caso Niceta" è coperto da segreto di Stato.
Per le sue dichiarazioni che gettano ombre sul rapporto occulto tra mafia, massoneria, imprenditoria e politica, Niceta è isolato e abbandonato dalle istituzioni. E con lui, anche la sua famiglia. Non ha un lavoro e vive sotto la soglia di povertà. Niceta chiede che lo Stato rispetti le leggi, garantendogli quelle misure di protezione previste in questi casi. E che gli venga attribuito lo status di testimone di giustizia.
Per destare l'opinione pubblica e una stampa sonnecchianti, ha deciso di digiunare. Adesso, dopo quasi venti giorni di digiuno, preoccupano le sue condizioni di salute. Pochi giorni fa ha incontrato, insieme al suo legale Rosalba Vitale, un delegato del prefetto di Palermo. Ma da quel tavolo, riferisce Niceta, al momento "sono uscite molte chiacchiere e nessun fatto concreto". Intanto sulla piattaforma Change.org, cresce sempre di più il numero delle firme nella petizione che perora la sua causa.



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