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moro auto didaIntervista al giornalista Paolo Cucchiarelli autore del libro-inchiesta "Morte di un Presidente"
di Simona Zecchi
Nell'ultima relazione dalla Commissione parlamentare sul rapimento e il delitto di Aldo Moro, ancora in parte segreta, riappare il ruolo svolto dalla 'ndrangheta sia nel rapimento che nella uccisione dell'ostaggio. Abbiamo posto delle domande a Paolo Cucchiarelli autore di un importante lavoro d'inchiesta sulla vicenda

Il 20 dicembre scorso la Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro ha reso noti i risultati della seconda relazione annuale. Solo alcune delle parti non sono state rese pubbliche,  perché inviate alla magistratura per il proseguimento e l’approfondimento delle indagini o perché in corso di sviluppo dalla stessa Commissione. L’onorevole Gero Grassi, vice Presidente gruppo PD alla Camera e componente della Commissione, ha dichiarato infatti: “Siamo in attesa di conoscere l’esito di molte perizie, tra cui quelle relative a eventuali tracce genetiche sulla R4 nella quale fu abbandonato il corpo di Moro e quelle sulle armi”.

La Voce di New York, nel corso del 2016, ha trattato il tema del coinvolgimento della ‘ndrangheta nel rapimento dello statista DC, che è soltanto parte del caso complesso qual è il “caso Moro”, anticipando con un lavoro di raffronto e inchiesta in due parti (per leggerle qui e qui) parte di queste risultanze.

Oggi la Commissione, oltre a dare grande rilievo alla presenza di esponenti della ‘ndrangheta in Via Fani, e al loro successivo ruolo nella vicenda, può solo confermare che i rilievi del Ris sulle foto raffiguranti Antonio Nirta non possono essere al momento considerati scientificamente certi, e la somiglianza comunque accertata fra il boss Antonio Nirta -classe ’46- e il personaggio raffigurato nella foto pubblicata da Il Messaggero il 21 gennaio 2016, resta un fatto. Impossibilità data anche da un elemento imprescindibile ai fini della comparazione tutta: la sottrazione di diversi rullini andata “in scena” subito dopo il rapimento. Personaggio il Nirta, la cui identità è stata da noi ricostruita e chiarita. Inoltre, il capitolo sulle armi e la ‘ndrangheta, reso noto dalla Commissione è molto interessante perché riporta a un luogo specifico di Via Fani, il bar Olivetti, il cui titolare, si legge, è “indicato in documentazione di polizia e dei Servizi come partecipe di una rete di interessi criminali legati al traffico internazionale di armi, e fu precocemente ‘rimosso’ dall’indagine sul traffico di armi, come peraltro confermato dal pubblico ministero Armati titolare dell’indagine”. E’ il bar Olivetti, chiuso o aperto che fosse il giorno della strage in Via Fani, a costituire lo snodo centrale del traffico d’armi internazionale di cui anche le Br avrebbero potuto beneficiare. Ed è lì vicino che Antonio Nirta detto ‘due nasi’, classe 46, si sarebbe appostato quella mattina in supervisione di quanto accadeva.
caso moro ndrangheta
Sono tante le novità emerse dal lavoro dei collaboratori della Commissione, alcune trattate da altri quotidiani in questi giorni. Noi abbiamo chiesto al giornalista Paolo Cucchiarelli autore del libro Morte di un Presidente rispetto al lavoro da lui svolto, di spiegarci la rilevanza delle novità emerse da queste indagini  che il suo libro ha anticipato –  il cui lavoro ha avuto inizio ben prima della istituzione di questa ultima  Commissione –  e di indicarci gli altri luoghi del “caso Moro” da lui individuati. Il lavoro d’indagine e ricerca di Cucchiarelli ha tra l’altro prodotto due perizie che la Commissione ha acquisito successivamente alla pubblicazione del libro.

La ‘prigione dello Ior’ di Via Massimi 91 sulla Balduina, le due palazzine.

“Un covo o molto più credibilmente una prigione. Quella scoperta in Via Massimi a Roma fu in realtà la prima. Era a poche centinaia di metri da via Fani, e a poche decine da dove vennero lasciate le tre macchine usate per il rapimento. Un luogo particolare, di proprietà dello Ior e con presenze di cardinali e società straniere, come ha affermato ora la Commissione. La proprietà di quell’immobile, presto individuato da una fonte della GdF, era, da un punto di vista amministrativo, di Luigi Mennini: il papà di Don Antonello Mennini, poi scelto dalle Br come canale della trattativa, e che si sospetta – anche perché Moro in questi termini ne parla nelle lettere- che possa essere entrato più volte nella ‘prigione’. Individuata la prima altolocata prigione,  come la definì Leonardo Sciascia nell’ Affaire Moro, la vicenda prende una piega incredibile: Moro è spostato in diverse prigioni, indicate nel mio libro in base a quanto rivela il corpo di Moro e la R4 di via Caetani dove fu ritrovato. Lo Stato sceglie più volte di non intervenire militarmente e di continuare una trattativa che è condotta direttamente dal Presidente con le sue lettere. Una storia ben diversa da quella ‘codificata’ dal racconto BR e da quello giudiziario”.

paolo cucchiarelli

Paolo Cucchiarelli davanti alla Renault 4 in cui fu ritrovato il corpo di Aldo Moro

Il racconto BR a cui si riferisce il giornalista è il cosiddetto “Memoriale Morucci” al quale la storia giudiziaria sul caso si è largamente affidata. Come riporta la Commissione, fu il generale Giuseppe Santovito, direttore del fu SISMI, sentito sul punto nell’audizione del 1 luglio 1980, presso la prima Commissione Moro, a farsi sfuggire che: «Sono più dell’avviso che il Presidente non si sia allontanato più di un chilometro da via Fani». Anche un racconto-inchiesta dello scrittore italo-americano Pietro Di Donato, Christ in Plastic che vinse nel 1978 il premio Overseas Press Club, ne fece riferimento.

Quali le altre prigioni del Caso Moro

“Le prigioni, se così le si vuole definire, sono diverse: Palo laziale, la seconda dopo via Massimi; una nel triangolo Manziana-Bracciano-Trevignano e poi via Gradoli (non il covo scoperto il 18 aprile). Dopo il comunicato della Duchessa che, come spiega l’inchiesta da me svolta, è snodo fondamentale della trattiva condotta dal Vaticano, ipotizzo almeno un’ultima prigione fuori Roma nello stabilimento balneare della GDF a Fregene. Poi l’ultima “partita” svoltasi a Roma: un immobile in via della Scrofa e il passaggio finale nella zona del ghetto. Moro invece di essere liberato, come qualcuno aveva deciso nonostante la trattativa in atto si stesse chiudendo, improvvisamente viene ucciso”.

Emerge dalle lettere ritrovate in Via Monte Nevoso a Milano nel 1990, come Moro fosse grato alle BR per la sopraggiunta notizia della sua liberazione. Poi le cose invece cambiano, ed è questa la parte della storia non l’unica ma la maggiore a essere stata sepolta più di ogni altra.

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Moro prigioniero delle Brigate Rosse

'Ndrangheta: il ruolo di Giustino De Vuono rivelato nella tua inchiesta

L’uomo decisivo, perché viene visto portare la R4 durante il rapimento e lasciarla in via Caetani è Giustino De Vuono legato alla ‘ndrangheta. Non è escluso che De Vuono si trovasse anche in via Fani. Fu visto da testimoni credibili a via Gradoli. Certamente De Vuono ha quella specifica caratteristica di ‘fuoco’ che utilizza proprio chi spara a Moro e, cioè, la sequenza di colpi a raggera attorno al cuore. Certamente c’è un identikit che lo indica come l’uomo che, assieme ad una giovane bionda, lascia la R4 in via Caetani. E, ancora, esiste un rapporto riservato di carabinieri e polizia, sempre come rivela l’inchiesta, trasmesso alla Procura generale il 10-11 maggio 1978. Il documento, che non è agli atti, indica De Vuono come l’uccisore di Aldo Moro”.

Ecco come, dunque, tutta l’importanza del ruolo della mafia calabrese nel sequestro, nel tentativo di liberazione e nella uccisione dell’on. Moro si fa avanti. Elemento nella sua interezza e differenza – rispetto anche alla presenza generica di altri elementi della criminalità organizzata – di assoluta novità. Una storia tutta da riscrivere.

“La relazione fa ampio riferimento anche a molti aspetti approfonditi o  in corso di approfondimento riguardo alla presenza ‘internazionale’ nel caso Moro  dalla Raf all’OPL, e il traffico di armi fra organizzazioni palestinesi e BR, e altri, che qui non trattiamo ma che è possibile leggere dalla stessa fonte: la relazione”.

Tratto da: lavocedinewyork.com

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