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di Gilda Sciortino
Secondo anniversario del presidio per il pm Nino Di Matteo e il pool antimafia

Non si può certo dire che la città abbia risposto in massa, dimostrando di avere quella sensibilità necessaria a fare credere che le cose siano veramente cambiate, ma quanti fanno parte di “Scorta Civica” – singoli cittadini e associazioni che afferiscono al cartello costituitosi per esprimere solidarietà e sostegno all’azione dei magistrati della Procura di Palermo impegnati nel processo sulla Trattativa Stato - mafia e, per questo, oggetto di gravissime minacce – ci sono in un certo senso abituati.  Nulla, infatti, neanche il freddo e la pioggia che hanno funestato la città nei giorni scorsi ma che fortunatamente oggi ha regalato una giornata di pausa, avrebbero potuto impedire loro di celebrare il secondo anniversario della sua nascita, avvenuta esattamente 731 giorni fa in piazza Vittorio Emanuele Orlando, davanti il tribunale di Palermo. Stesso luogo, stesso spazio in cui questa mattina si sono ritrovati non in molti, ma in numero abbastanza significativo per dare vita a una vera e propria agorà, che ha offerto l’opportunità di confrontarsi sulle esperienze e le riflessioni che hanno contraddistinto i due anni di presidio già trascorsi.
«In realtà spesso c’è la tendenza, anche della parte più sensibile della città, a delegare. Riceviamo tanti complimenti – afferma Giorgio Colajanni, portavoce di “Scorta Civica” – ma, contemporaneamente, ci accorgiamo che c’è una scarsa consapevolezza rispetto al fatto che  occorre puntare anche sulla quantità ed essere presenti. Quello che andiamo, infatti, ripetendo da anni è che le battaglie bisogna portarle avanti non solo in occasione delle tragedie. Certo, di fronte alle stragi la città ha reagito, è scesa in piazza, ha contestato e preteso. Oggi noi pretendiamo che i magistrati vengano protetti da vivi. E’ un concetto molto semplice da capire. Vogliamo, poi, contestare quanti ci accusano di “fare il tifo” per un solo magistrato. Non è così e rispondiamo a queste critiche malvagie che vorrebbero i magistrati zitti, silenti, in attesa dell’ennesima strage».
 Di Matteo è sicuramente un simbolo della lotta alla mafia perché lo hanno scelto gli esponenti della mafia, da Riina in carcere a Messina Denaro latitante. Basta fare riferimento alle intercettazioni, nelle quali proprio Riina lo definisce ripetutamente un magistrato “potentoso”.
«Non bisogna certo essere un grande conoscitore del linguaggio mafioso – prosegue Colajanni - per capire che, con questo termine, vuole dire che è un magistrato che ha fatto, sta facendo e farà danno alla mafia, quindi deve saltare in aria. Ancora più assurdo che questa cosa venga negata ripetutamente, affermando che si tratta di invenzioni. L’ultimo blitz, che ha portato in galera una serie di persone, tra cui l’avvocato che ha curato la vendita di alcuni box ai mafiosi, ci ha confermato che sono stati venduti per acquistare il tritolo. Che va trovato.  E va arrestato Matteo Messina Denaro, la cui latitanza non dovrebbe esistere in un paese democratico. Noi ultimamente lo abbiamo definito “latitante di stato”, rievocando un importante intervento di Pio La Torre che, al pari, denunciava la latitanza di Liggio come latitanza di Stato. Gode sicuramente di una protezione molto alta, alla quale va posta fine».
Una consapevolezza che trova presenti e attivamente impegnati molti studenti della nostra terra. Oggi molto più di ieri, nonostante si voglia credere e far credere il contrario.
«Recentemente Nino Di Matteo è venuto a trovarci a scuola – dice Hubert Pennino, 3R del Liceo “Regina Margherita”, presente con una delegazione di compagni alla manifestazione – e abbiamo parlato della sua condizione, personale e professionale. Ci é servito per cominciare a darci degli input formativi. Oggi siamo qui perché “Scorta Civica” è una delle poche realtà che fa qualcosa di concreto e continuativo, con un filo logico che segue e da seguire. Vogliamo dimostrare che siamo interessati e informati, volendo assumerci impegni e responsabilità necessari per tenere sempre desta l’attenzione».

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Energia ed entusiasmo che, se da parte degli studenti liceali si sono mostrati attraverso le loro testimonianze, con i piccoli del “Nicolò Turrisi”, plesso del Capo afferente all’Istituto comprensivo “Luigi Capuana”, hanno avuto modo di venire fuori con un’esplosione di canti, inni e giochi colorati e animati nel piazzale davanti il tribunale. Ad accompagnare la 3E e la 3F, le insegnanti Maria La Bianca e Tiziana Palma.
«Siamo venuti qui per dire allo Stato di dare una scorta a Nino Di Matteo – grida la giovanissima Federica – perché è un giudice buono che va protetto”.  Per la piccola Benedetta, invece, «la mafia è solo morte e a casa ne parliamo sempre quando guardiamo la televisione».
Tanti i volti, tante le storie che hanno animato questa giornata, piena di calore e di voglia di fare veramente la differenza.  
«Ho vissuto, vivo e vivrò con un costante dolore sino alla fine dei miei giorni – racconta Antonella Azoti, figlia di Nicolò, il segretario della Camera del Lavoro di Baucina, ucciso il 23 dicembre del ’46 -. Avevo 4 anni quando mi venne strappato, ma quello che mi ha umiliato più di tutto è stato il silenzio attorno alla vicenda di tutti i sindacalisti uccisi. Allora, infatti, ogni esecuzione doveva servire come esempio, quindi non se ne doveva parlare. Tutto questo sino alle stragi del ’92 quando, partecipando alla catena umana, ho preso il microfono e ho detto “ascoltatemi, per favore, anch’io ho qualcosa da dire. Sappiate che la mafia non uccide soltanto adesso; ha ucciso mio padre, un giovane di 37 anni che aveva lottato per i diritti dei contadini”. In quell’occasione ho rivendicato e rivalutato pubblicamente per la prima volta, dopo 46 anni, il suo nome. Mio padre è finalmente conosciuto da tutti, non è più ignoto, e con lui tutti gli altri sindacalisti.  Oggi ci sono tre tesi di laurea, una villa a Palermo a lui dedicata e l’etichetta di un vino delle terre confiscate alla mafia che porta il suo nome. Un riscatto che non devo certo allo Stato, ma a quanti hanno creduto a questa lotta insieme a me».
Due anni possono essere pochi per fare un bilancio, soprattutto quando si parla di lotta alla mafia. In questo caso, però, forse no.
«Sono convinto, anche perché lo tocco con mano con i miei studenti, che ci sia voglia di riscatto. Da un po’ di tempo – spiega Gregorio Porcaro, coordinatore regionale di “Libera” in Sicilia -. vedo che i ragazzi hanno desiderio di memoria storica, me lo chiedono in classe, quasi pretendendo che sia viva, anche per non darla vinta ai mafiosi che tentano di annullare ogni cosa.  La storia può insegnare loro che il futuro adesso non esiste, ma che si costruisce nell’oggi. Insieme. Ritengo fondamentalmente il fatto che noi grandi abbiamo responsabilità molto grosse. Non possiamo più trasmettere burocrazia, fatalismo e rassegnazione, ma cominciare a parlare di speranza».
Speranza che passa anche attraverso l’impegno costante, quotidiano delle forze dell’ordine. Un’esperienza forte e ineguagliata in tal senso è quella portata avanti da nove anni dal progetto “Se Vuoi”, al quale ha dato vita un piccolo e determinato gruppo di agenti della Squadra Mobile di Palermo che, sul pullman della Polizia di Stato, rigorosamente in borghese, portano i ragazzi delle scuole di tutta Italia sui luoghi della memoria a rendersi conto concretamente, attraverso la testimonianza di chi la crudeltà della mafia l’ha vissuta sulla propria pelle, di cosa si sta parlando.
«Ormai siamo a non meno di 50 scuole all’anno – spiega Francesco Mongiovì, uno degli agenti che anima gli speciali tour – e i risultati sono le tante lettere che riceviamo da quanti fanno con noi questa esperienza. Nella settimana di Natale, per esempio, sono venute delle ragazze di una casa di recupero della Sardegna, all’inizio assolutamente diffidenti rispetto al fatto che siamo poliziotti. Ci hanno salutato con due sole dita, ma quando se ne sono andate non si contavano gli abbracci e la promessa di rivederci presto. La bellezza di questo progetto è che lo portiamo avanti in maniera volontaristica, durante le nostre ore di libertà dal lavoro, senza ricevere alcun contributo pubblico o privato.  Sappiamo molto bene che, se sul pullman entrasse un solo euro, cambierebbe tutto».
La speranza, però, deve passare anche e soprattutto attraverso la consapevolezza della strada che dobbiamo imboccare. Decidendo sin dall’inizio da che parte stare.
«La cosa strana è il paese che costringe i cittadini a doversi schierare per difendere e sostenere i propri magistrati – tuona Lorenzo Baldo, vicedirettore di Antimafiaduemila - quando dovrebbe essere lo Stato a svolgere questo compito. E’ questa la prima anomalia. Nel caso di Nino Di Matteo, dovrebbe essere la stessa Procura a metterlo nelle condizioni di occuparsi unicamente o soprattutto del Processo sulla Trattativa e non essere sommerso da altre incombenze. E’, dunque, nostro dovere fare in modo di tenerci informati e tenere desta l’attenzione di tutti su uno dei processi più importanti della storia del nostro Paese. Questo per avere la coscienza di cambiare lo stato delle cose ed evitare nuove stragi e interventi di emergenza a scoppio ritardato. “Scorta civica” nasce per evitare che si torni alla Palermo degli anni caldi».



Si, quella Palermo in cui Giovanni Falcone si compiaceva con Paolo Borsellino del fatto che la gente stesse facendo il tifo per loro.  
«Quello del magistrato è un mestiere veramente duro, una vera e propria missione – si inserisce Salvatore Borsellino, anima delle “Agende Rosse” -. Purtroppo, però, nel nostro disgraziato Paese, i magistrati che più perseguono questa strada, vengono spesso uccisi. Come successo nel passato, da Terranova a Chinnici, sino a Falcone e Borsellino, spesso traditi da pezzi dello Stato che avrebbero dovuto lottare con loro. A decenni di distanza, poi, non si riesce ad avere verità e giustizia. Oggi siamo qui perché questi magistrati, anche a fronte delle minacce che ricevono dalla mafia, ma pure da pezzi interni allo stesso Stato, sono quelli più a rischio e hanno bisogno di avere il nostro tifo. Hanno bisogno di sapere che il loro lavoro, spesso non riconosciuto, viene apprezzato. Perché, a fronte di un Napolitano che ha osteggiato apertamente il processo sulla Trattativa, pretendendo la distruzione delle intercettazioni e rifiutando di testimoniare, come sarebbe stato suo dovere, c’è anche l’attuale Presidente della Repubblica, il cui fratello è stato ucciso dalla mafia, da cui mi sarei aspettato ben altre parole. Sono, quindi, felice di vedere tanto entusiasmo e sapere che, quando non avrò più fiato, potrò contare su voi giovani per gridare al mio posto “Resistenza”, pronti a cambiare questo Paese».
«La giornata odierna è la dimostrazione che crediamo nel lavoro che facciamo – afferma in conclusione della mattinata Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafiaduemila -. Scorta civica è stata, insieme alle “Agende Rosse”, capace di smuovere le coscienze e dare un contributo altissimo alla protesta, per fare si che lo Stato desse la scorta di primo livello a Nino Di Matteo. Quando i cittadini si muovono e protestano, quando reclamano cose giuste, soprattutto nel caso della lotta alla mafia, ogni tanto lo Stato si muove, anche se per molte altre cose purtroppo no. Noi dobbiamo insistere perché il pool Trattativa Stato-Mafia, e Di Matteo nello specifico, venga messo nelle condizioni di fare il proprio lavoro. In questo momento, se indaghiamo, scopriamo che il lavoro che sta facendo è generico, è quello di un magistrato che incarichi importanti sulla lotta alla mafia non ne ha. La storia purtroppo si ripete. Dobbiamo, quindi, organizzare proteste culturali forti per far si che le ipocrisie cessino. All’interno di questo palazzo che guardo mentre siamo qui in piazza, ci sono uomini veri, uomini che rischiamo la vita e uomini che vogliono liberare il nostro Paese da questo cancro. Che non é solo da noi, ma vive e prolifera in tutta Italia. Noi, come Antimafiaduemila, stiamo portando avanti delle inchieste anche sul versante dell’’ndrangheta e a breve pubblicheremo certe indagini che riguardano gli uomini invisibili, quelli che controllano e dirigono le grandi organizzazioni criminali e che sono gli stessi di Cosa nostra. E’, però, importante che ci ritroviamo uniti, desiderosi di andare avanti  con  l’entusiasmo che ci caratterizza».
Una mattinata veramente ricca, alla cui riuscita hanno contribuito anche le tante attestazioni di solidarietà giunte da tutta Italia. A partire da Annalisa Insardà, per la quale “Di Matteo non combatte l'illegalità, la mafia, perché l'ha subita in prima persona, ma perché la subisce come cittadino, come appartenente a un territorio vessato, come uomo nato libero a cui la mafia impedisce la libertà”, a Marilù Mastrogiovanni insieme alle studentesse e agli studenti del Liceo Classico, delle Scienze umane, Linguistico ed Economico-sociale di Casarano, in provincia di Lecce, che in Nino Di Matteo vedono la persona grazie al quale la mafia può essere debellata e la libertà riconquistata. «Mafia è una mentalità, un modo di ragionare e di essere – scrivono - che, purtroppo, si sta espandendo a macchia d’olio in questa Italia a volte inconsapevole che spesso, però, si tappa gli occhi, le orecchie e la bocca».
 «Noi non ci accontentiamo - sottolinea Danila Santagata -. Noi la verità la vogliamo vedere, sentire, leggere a caratteri cubitali e urlarla ai quattro venti”, mentre per Paolo Borrometi, “Scorta Civica incarna perfettamente ciò che dovrebbe essere la società civile. E’ un ideale meraviglioso, un modo per far camminare le loro idee sulle nostre gambe”.
«Non dovrebbe essere una buona notizia che dei cittadini debbano fare da scudo alle manchevolezze di uno Stato, troppo spesso in ritardo nella difesa dei suoi uomini migliori - è il commento amaro dell’attore Giulio Cavalli, da sempre vicino alle battaglie per la legalità portate avanti in Sicilia -, anche se poi penso che sia sempre meglio che le cose belle esistano.  Indifferentemente dal nero che ci offrono gli altri. E allora, auguri “Scorta Civica”, perché ci servono cittadini da scorta, ma anche di scorta per un Paese migliore. Ci servono soprattutto cittadini che sappiano bene, che abbiano in mente, come la nostra Costituzione dice, che ognuno di noi ha il dovere di concorrere, con la propria funzione e con la propria professione, alla crescita morale e materiale di questo Paese».

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