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toga-campanelloL'udienza è rinviata a domani, 11 novembre 2014,  con l'audizioni dei teste Violante e Amato
Borsellino quater, Capriotti: “Venni chiamato improvvisamente al Dap”

di AMDuemila - 10 novembre 2014 - Ore 12:24
“Mi occupavo del terrorismo austriaco asburgico da dieci anni quando improvvisamente nel 1993 mi chiesero se per caso potevo accettare un nuovo incarico di dirigente del Dap. Diedi la mia disponibilità e rimasi così. C’erano le difficoltà del Dap e con il fatto che dovevo restare un anno o poco più accettai”. E’ iniziata così la deposizione dell’ex direttore del Dap, Adalberto Capriotti, sentito come persona informata sui fatti al processo Borsellino Quater, in trasferta a Roma. I pm Nico Gozzo e Stefano Luciani hanno infatti riferito che, in base a quelle che sono le loro risultanze, l’ex dirigente non sarebbe indagato dalla procura di Palermo. Ad inizio udienza i pm hanno presentato i certificati con cui gli altri due testi, l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e l’ex ministro Giovanni Conso, hanno manifestato il proprio impedimento per essere presenti in aula. Data l’impossibilità di entrambi i pm hanno chiesto l’acquisizione dei verbali d’udienza e di interrogatorio con le dichiarazioni rese in passato ai pm di Palermo e ai processi di Firenze. L’udienza è ancora in corso.

Discussioni sul 41 bis
“Si viveva un momento eccezionalmente gravido di tanti fatti avvenuti a danno dello Stato e in risposta c'era l’intervento dello Stato a vari livelli, anche interessando l'amministrazione penitenziaria. C'erano articoli di giornale, nelle università, c'era anche questo scritto anonimo scritto molto bene (riferendosi alla lettera dei familiari dei detenuti al 41 bis, ndr) inviato ad alte cariche dello Stato”. Rispondendo alle domande del pm Nico Gozzo l'ex direttore del Dap, dopo aver ripercorso le fasi della propria nomina, ha parlato del regime carcerario del 41 bis. “Io non sapevo niente il mio compito al Dap non era guardare l’ambiente carcerario vero e proprio - ha detto - dopo l’applicazione del carcere molto severo quell’applicazione portò un contraccolpo e nelle riunioni del Comitato nazionale di sicurezza si disse che questo provvedimento aveva fatto un gran rumore. Se ne parlava all’estero, a Bruxelles, nell’ambiente giudiziario e nel giornalismo. Mi risulta che il 6 marzo, dopo un Comitato, Nicolò Amato, raccogliendo forti spinte e proteste del comitato e del capo della polizia Parisi, mise per iscritto questo grave dissapore che c’era tra il nostro ambiente e l’ambiente esterno. Questo appunto non l’ho letto. La mia conoscenza deriva da un altro appunto, quello del 26 giugno, redatto dal collega Calabria. E di recente queste cose sono state spiegate dalla Commissione antimafia Pisanu. Tutto questo è avvenuto in quel momento. Io non mi occupavo di queste cose. Era il ministro che rifletteva di queste cose”.

Incalzato dal pm Gozzo sulla nota del 26 giugno '93, indirizzato all' allora ministro della Giustizia Giovanni Conso, Capriotti ha ricordato che a lui fu presentata a soli a pochi giorni dal proprio insediamento fu preparata dal personale dell'ufficio detenuti. “C'erano Calabria, c'era Francesco Di Maggio (deceduto nel 1996, ndr). Le firme sono queste. Io misi la mia perché mi presentarono questo documento”. Sulla nomina di Di Maggio come suo vice l'ex direttore del Dap conferma di non averne saputo nulla: “Io non lo conoscevo. L'indicazione sul suo nome arrivò da altre parti. Aveva un forte appoggio dal capo della polizia Vincenzo Parisi. Con Conso aveva rapporti difficili, ricordo contrasti molto forti, anche una discussione molto accesa in cui intervenni. Diversamente Di Maggio aveva un legame forte con la dottoressa Pomodoro, capo gabinetto. Era talmente portato avanti che poteva diventare capo del Dap”.

Riunione d'urgenza dopo le stragi di Milano e Roma
Capriotti ha anche parlato della riunione che ci fu a poche ore dalle stragi, nella notte tra il 27 ed il 28 luglio 1993, e che vide la partecipazione delle massime autorità proprio a Roma. “Venimmo convocati in piena notte telefonicamente – ha ricordato Capriotti – C'erano le massime autorità, il capo della polizia, il comandante dei carabinieri, il ministro. Un primo chiarimento su quello che stava accadendo. Era una riunione informale sulle stragi. Ricordo perfettamente che subito il capo della polizia parlò di mafia, senza aggiungere altro. Io per esempio ipotizzai che vi potessero essere problemi di carattere internazionale con gli slavi. Lo ipotizzavo perché venivano colpite strutture di interesse culturale, non le persone. E mi sbagliai”. Alla domanda se in quella riunione venne mai fatto riferimento al regime carcerario come movente delle stragi l'ex dirigente del Dap ha risposto in maniera negativa. “Non ricordo assolutamente questo tema. Si parlò del fatto che si erano spenti i lumi ed i telefoni. Ricordo che parlò anche il presidente Ciampi ma non nell'esternazione che poi fece successivamente. Poi ricordo che al piano di sotto mi aspettava Di Maggio ed erano presenti altri esponenti dei carabinieri, personaggi dei servizi che non conoscevo, ma non riferii nulla della riunione”.
A questo punto il pm Gozzo chiede a Capriotti chiarimenti sulla nota del 29 luglio 1993, a firma del Vicedirettore dell'Ufficio detenuti reparto M.S. non indirizzata a tutte le strutture di vertice delle Forze di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza erano stati esclusi. Una nota in cui “si attesta non controvertibilmente che il Dap cercava un'interlocuzione esterna in vista delle proroghe dei decreti che scadevano alla fine del mese successivo, diversamente dalle scadenze, di pochi giorni prima peraltro, del 20-21 luglio”. Nel documento viene ugualmente sottolineato come il Dipartimento si ripromettesse di proporre le proroghe non per tutti i detenuti gravati dal 41 bis ma chiedesse di conoscere le valutazioni di ordine generale e anche di origine oggettivo, a valle tuttavia della individuazione di alcuni soggetti che sarebbero rimasti esclusi dalla proposta di proroga. “Non ne sono mai venuto a conoscenza di questo documento” ribadisce Capriotti. Ma Gozzo lo stoppa ricordandogli: “Le venne mostrato il 13 giugno 2002 dal pm di Firenze Chelazzi. Anche qui si fa riferimento al 41 bis”. E l'ex direttore del Dap si difende: “Non mi ricordo. Non ricordo. Non ricordo che fossero autorizzati tutti questi servizi che si occupavano del carcere e dell'andamento generale politico che potessero interloquire tra loro. Quindi loro parlavano bypassandomi, bypassando me. La nota è a firma Calabria. Io ero all'oscuro di questa cosa non ho mai sentito. Calabria dice che faceva tutto quello che dicevo io? I nostri colloqui erano rari. Non lo so se con Di Maggio o con questi uffici esterni o con a capo sempre il Ministero degli Interni”.


Riprende lunedì 10 novembre 2014 alle ore 9.30, presso l'aula bunker di Rebibbia a Roma, il processo Borsellino quater, nel quale i pubblici ministeri di Caltanissetta Sergio Lari, Domenico Gozzo, Stefano Luciani e Gabriele Paci, indagano sulla morte del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via d’Amelio il 19 luglio 1992 insieme agli agenti della scorta.
Tra gli imputati Salvatore Madonia, Vittorio Tutino, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

E' possibile seguirlo in diretta/audio streaming qui!

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