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scaglione-pietroIl 5 maggio del 1971 fu ucciso, nel corso di un agguato mafioso, il Procuratore capo della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, definito – anche in sede giurisdizionale penale – “magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore spietato della mafia, le cui indiscusse doti morali e professionali risultano chiaramente dagli atti”.
Il sacrificio del procuratore Scaglione e del suo fedele agente di custodia Antonio Lorusso è stato ricordato, nei giorni scorsi, nell’Aula magna della ex Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, nell’ambito del progetto “Mafia in itinere”, di fronte agli studenti di Bisceglie in visita nella nostra città.
Scaglione e Lorusso saranno commemorati solennemente anche martedì 5 maggio, alle ore 9, nell’Aula magna del Palazzo di Giustizia di Palermo, in occasione del Convegno dal titolo “Carcere, città e giustizia”, organizzato dal Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza.
Una tematica in linea con l’operato del Procuratore Scaglione che svolse, con impegno e dedizione, anche la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.
Nella sua lunga carriera di giudice e di pubblico ministero, Scaglione si occupò dei principali misteri siciliani dal dopoguerra al 1971, anno della sua uccisione, in via Cipressi, vicino al cimitero dei Cappuccini di Palermo.

In particolare, per quanto riguarda gli “Atti relativi ai mandanti della strage di Portella della Ginestra”, nelle Conclusioni del PM Pietro Scaglione (datate 31 agosto 1953), i moventi principali accreditati furono i seguenti:  la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che allontanavano i banditi dalle campagne.
In relazione agli assassini dei sindacalisti siciliani negli anni Quaranta e Cinquanta, l’allora sostituto procuratore generale Pietro Scaglione chiese l’ergastolo per i boss imputati nel processo per l’omicidio di Placido Rizzotto e il rinvio a giudizio per i campieri accusati dell’omicidio Carnevale. Nelle sue dure requisitorie, il pubblico ministero Scaglione parlò di “febbre della terra” ed esaltò le lotte sindacali.
Secondo quanto scrisse il giornalista Mario Francese (ucciso dalla mafia nel 1979), il Procuratore Pietro Scaglione “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli  nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la “linea” Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”; il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, nel biennio 1969-1970, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……. hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica”. (M. FRANCESE, Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
In questo contesto – come affermò Paolo Borsellino – “la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati.  Accadde così per Scaglione […]” (in  La Sicilia, 2 febbraio 1987, p.10)  
L’uccisione del procuratore Scaglione - come scrisse, a sua volta, Giovanni Falcone - ebbe sicuramente “lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino” (in La Posta in gioco, edizioni Bur, 2011, p. 320).
Le causali dell’omicidio del Procuratore Scaglione e del  precedente sequestro del giornalista De Mauro – come scrisse lo storico Francesco Renda - erano “inequivocabili”: “Si trattava di una ripresa del terrorismo mafioso tipo 1946-1948, non più però contro dirigenti sindacali e politici del mondo contadino, bensì contro la stampa e un corpo essenziale dello Stato, come l’organo giudiziario” (in Storia della mafia. Come, dove, quando, Palermo, Sigma edizioni, 1997, p. 374).
Infine, con Decreto del Ministero della Giustizia del 1991, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.