Si presenta a Palermo il volume “Atlante delle mafie”, edito da Rubbettino e curato da Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales. L’appuntamento è venerdì 8 marzo 2013 alle 18 nella Sala
Almeyda dell’Archivio storico comunale di via Maqueda 157.
Intervengono oltre al Sindaco Leoluca Orlando, Enzo Ciconte, Francesco Forgione, Pietro Grasso, Giovanni Impastato, Guido Longo, Claudio La Camera e Piergiorgio Morosini.
Si parlerà non solo di Sicilia ma anche del potente fenomeno della ndrangheta attraverso la testimonianza del Questore di Reggio Calabria e del responsabile dell’Osservatorio sulla ndrangheta che commenteranno il percorso fotografico sulla ndrangheta curato dalla giornalista Adriana Sapone. La presentazione del libro “Atlante delle mafie” rientra nelle iniziative del progetto “Un ponte per la memoria” dell’Osservatorio sulla ndrangheta di Reggio Calabria e dell’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato di Cinisi, sostenuto da Fondazione con il Sud.
Il volume
A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’“Atlante delle mafie” prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema.