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di Giulietto Chiesa
Il deus ex machina, del tutto imprevisto, è arrivato all’inizio del secondo ventennio del XXI secolo e ha spazzato via, d’un colpo, tutte le illusioni su cui si era pensato potesse reggere l’unificazione europea

Sappiamo il suo nome, Covid-19, ma ancora non sappiamo quasi niente di lui. Né dove è nato, né come è nato, né quali sono i suoi scopi, sempre che na abbia, né quanto tempo si fermerà dalle nostre parti. Lui, il virus sembra sia venuto dalla Cina e fosse destinato ai cinesi soltanto. Invece, tra la sorpresa generale, si è spostato con la velocità del fulmine - invero sospetta e, fino a questo momento inspiegabile - in Italia, da dove ha infettato una buona parte dell’Europa, dimostrando, tra l’altro, che il Brexit non lo interessa per niente, arrivando alla fine addirittura negli Stati Uniti. Sorprendentemente proprio là - se fosse vera la tesi che proprio da qualcuno dei laboratori militari americani esso è in qualche modo fuoruscito.
Si può già dire - sono in molti che ormai se ne accorgono - che questo nuovo e imprevisto, indesiderato ospite, cambierà il mondo intero, a cominciare da tutti i capisaldi del vivere comune che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli di storia della civiltà umana, per lo meno di quei due miliardi e mezzo di individui che hanno vissuto, dalla fine della seconda Guerra mondiale, la cosiddetta globalizzazione americana. La quale, come sappiamo, si proponeva di smantellare non solo tutte le abitudini e le idee correnti del mondo del XX secolo ma, tra queste, puntava a demolire addirittura gli Stati nazionali. Come minimo tutti quelli minori, visti come ostacoli ormai inutili alla trionfale marcia delle libertà essenziali del neo-liberismo anglosassone dominante.

Ciò che nessuno aveva previsto è che, a quanto pare, dopo soli tre mesi dal suo apparire sulla scena planetaria, sarà il Coronavirus a realizzare qualcuno di questi propositi rivoluzionari. L’iniziativa passa dalle mani dell’incessante attività prometeica dell’Uomo - quella che Shumpeter definì come “distruzione creativa” - a quelle della Natura.

Per esempio pare proprio che la prima vittima del Covid-19 sarà l’Unione Europea, quella che, fin dal suo inizio, si propose orgogliosamente come il primo Stato multietnico, multinazionale, di nuovo tipo. L’unico, grande Stato della storia umana ad essere nato - si proclamò ai quattro venti - per consenso e non come risultato di una guerra. Stato che doveva costituire, nelle menti di molti (non tutti invero) dei suoi creatori come il baluardo destinato a fronteggiare il temutissimo colosso eurasiatico dell’Unione Sovietica. Il compito assegnatogli dal Grande Alleato imperiale d’oltre Oceano, come sappiamo, fu compiuto nel 1989, data fatidica della caduta del Muro di Berlino. Quella che mise fin all’altro “esperimento”, che aveva preso inizio nel 1917 e che morì qualche anno dopo, all’età di 74 anni.
Ora l’impressione che si ricava dall’effetto dei primi colpi di questa emergenza mondiale senza precedenti, è che la fine si avvicini, a sua volta, anche per l'UE. Certo è difficile che l’Unione Europea collassi con la repentina velocità con cui collassò l’Unione Sovietica, nel 1991. Ma è pensabile che la storia di questo progetto decreterà che il vero inizio suo tramonto sia fissato nella data di apparizione in Europa del coronavirus, cioè all’età di 63 anni. È in questo frangente che tutti i pilastri della “integrazione” europea cominciano a cedere, uno dietro l’altro, con impressionante rapidità e senza che nessuno riesca nemmeno a impostare una qualche difesa che si frapponga al crollo imminente. La Natura ha preso il sopravvento sulle pretese e sui regolamenti umani. Si veda la questione della cosiddetta “libertà di movimento” degli individui, sia all’interno dello spazio europeo, sia tra esso e l’esterno. Era stato uno dei capisaldi dell’orgoglio europeo.
Si chiamava “Shengen”, uno di questi pilastri, ed è crollato formalmente il 17 marzo 2020, quando la Commissione Europea ha chiuso al resto del mondo - con grave ritardo indubbiamente - le frontiere esterne dell’area Shengen. Ma, in base ai trattati, questa materia è competenza dei governi nazionali, sulla quale la Commissione deve limitarsi a esprimere un parere, non a dare ordini. Infatti fin dal 13 marzo la Repubblica Ceca aveva annunciato la chiusura dei propri confini e, ben prima della fine del mese di marzo, 21 dei 26 Stati membri hanno preso decisioni identiche impedendo l’ingresso anche ai cittadini europei membri di Shengen. Nel momento in cui la solidarietà diveniva moneta rara e difficile, essa è stata ritirata e ciascuno ha pensato a se stesso. La visione dello “spazio europeo comune” si è rivelata tanto minima quanto illusoria. Tra gli ottimisti si parla di restrizioni temporali che, finita l’emergenza, potranno essere cancellate. Ma la loro durata resta indeterminata e l’esperienza lascerà un segno, modificando in peggio tutte le future relazioni tra gli Stati. Con questa libertà, ormai violata, se ne va anche la libera circolazione dei servizi.
Si è visto, con l’arrivo del virus pandemico, che la Germania, ad esempio, è arrivata a bloccare perfino l’esportazione di mascherine sanitarie verso il paesi membri. Ma, come si era già visto nella crisi precedente dei migranti, ogni Stato membro tende a risolvere i propri problemi ed equilibri interni: spesso in primo luogo, altrettanto spesso in ogni caso. In condizione di crisi economica generale, quale quella che si delinea nei prossimi mesi, è logico attendersi un inasprimento di misure protezionistiche a difesa dei singoli mercati interni.

Resta l’unica libertà che in condizioni di capitalismo neo-liberista risulta intoccabile, come un totem sacrale: la libertà dei capitali di muoversi dove loro conviene. Ma di solidarietà europea, dopo il modo brutale con cui è stata gestita la crisi del debito greco, e dopo quello che si sta verificando, sarà difficile parlare.

Basta pensare che, ancora fino al 16 marzo scorso, l’ordine del giorno dell’Euro-gruppo era ancora incastonato sulla idea dell’attivazione del Meccanismo Europeo Salva Stati (MES): una nuova struttura sovranazionale che prevedeva nuove forme vessatorie, lesive della sovranità nazionale dei singoli stati membri, e finalizzate non a salvarli in caso di crisi, ma a vincolarli a regole bancarie sottratte totalmente al loro controllo. Gli eventi hanno naturalmente fatto giustizia di una tale sciocchezza e il MES è uscito di scena, anch’esso travolto dalle dimensioni del disastro. Ma questa incredibile miopia brussellese dimostra fino a che punto le leadership europee erano incapaci di cogliere l’alluvione che stava per travolgerle. Pochi giorni dopo i fatti - cioè le previsioni di collasso della produzione industriale e agricola mondiale - hanno fatto saltare anche il famigerato “patto di stabilità” con cui l’Unione aveva preteso di delimitare ferreamente ogni possibilità dei governi degli Stati membri di intraprendere misure di sviluppo economico e sociale corrispondenti ai bisogni delle rispettive popolazioni.
Adesso esce allo scoperto Mario Draghi, ex governatore della Banca centrale Europea, con la proposta di inondare di liquidità Europa e europei che hanno perso lavoro, reddito, servizi, consumi. Ma il numero degli sciocchi che pensano di poter fare tutto questo con le vecchie regole è ancora molto alto. Perfino il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, è stato costretto a parlare all’Italia e all’Europa con un appello a non perdere l’"ultima occasione”. All’orizzonte, figlio della miopia burocratica e dell'egoismo rapinatorio dei banchieri, si annuncia la protesta sociale.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Imagoeconomica

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