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di Giulietto Chiesa
Leggendo molti commenti di osservatori, politologi, futurologi, politici, le reazioni della gente comune sui social network, ci si accorge che quasi nessuno riesce a capacitarsi circa la ragioni dell’inquietudine serpeggiante tra le nuove generazioni europee.

E non soltanto tra di loro.
Il fatto evidente è la crescita della disuguaglianza sociale in tutti i paesi occidentali. E questa disparità colpisce ormai dolorosamente molti ceti sociali. In primo luogo quei ceti “intermedi” che sono stati, per decenni, la base portante della stabilità sociale dell’Europa e degli Stati Uniti. La disuguaglianza sociale non è uguale dappertutto ma è presente dappertutto e dappertutto si allarga. In testa a tutti, affacciati sull’abisso, ci sono i paesi anglosassoni, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. C’è da chiedersi come mai. E la risposta a questa domanda non è facile, né forse piacevole, ma è quasi inevitabile: perché l’opinione pubblica anglosassone è più manipolata e manipolabile di tutti gli altri paesi. Il che, a sua volta, significa che, nei due paesi citati, il sistema informativo/comunicativo è stato più efficace che altrove nel nascondere il fenomeno. L’analisi viene dal Guardian ed è firmata da un economista in vena di dissacrazione che si chiama Jonathan Aldred

Il quale ci informa che stiamo assistendo da circa quarant’anni al più grande picco di disuguaglianza sociale della storia degli ultimi decenni. Le cifre colpiscono: nel mondo anglosassone i redditi dell’1% della popolazione, quello più ricco, sono raddoppiati se si prende come punto di partenza del confronto il 1980. Se si prende come punto di partenza del confronto il 1950 e si calcola qual era allora la differenza di reddito tra il massimo dirigente di un’azienda e la media dei suoi dipendenti, il risultato dice che era di venti volte superiore.

Jonathan Aldred ha fatto lo stesso calcolo oggi e scopre che un Chief Executive Officer guadagna 354 volte di più del suo dipendente medio. Come già accennato, Stati Uniti e Gran Bretagna battono tutti i record in questo ambito. In Europa la forbice non è così aperta e così grande. Come mai? Anche qui la risposta sembra scontata ma non è quella secondo cui i gruppi dirigenti europei sarebbero più equanimi e caritatevoli di quelli anglosassoni. Il merito non è loro. Molto probabilmente la maggior uguaglianza (per meglio dire la minore crescita della disuguaglianza) è dovuta alla permanenza di organizzazioni politiche di rappresentanza degli interessi popolari, di sindacati più forti, di una società civile più vigile, che hanno potuto limitare il prepotere dei gruppi industriali e politici al governo nei differenti paesi. Il cosiddetto welfare state è diventato in Europa una presenza, in senso lato, culturale, in senso stretto, politica, più difficile da smantellare. Ridurre le tasse a dare il via libera alla diminuzione della spesa sociale è stata la direzione impressa dal tandem Thatcher-Reagan, ma gli europei sono stati molto poco inclini ad accettare il dominio conservatore più brutale. È questa la ragione per cui il processo “divaricatore" è stato rallentato in Europa, mentre ha continuato a estendersi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dove, evidentemente, le capacità di contrasto dell'opinione pubblica nei confronti delle pretese dei più ricchi (rappresentate dai loro partiti nei rispettivi parlamenti, sostenuti massicciamente dai media, che appartengono ai più ricchi) sono state inferiori o nulle, visti i risultati.

Tuttavia, alla lunga, le stesse tendenze si sono manifestate in tutto il mondo occidentale. Una spiegazione più onnicomprensiva è dunque necessaria. Il fatto è che centinaia di milioni di persone sono state sottoposte a un bombardamento ideologico sistematico e unilaterale. Che ha imposto a tutti il pensiero unico capitalistico secondo il quale il successo individuale è un prodotto della capacità di “competere” con gli altri. Coniugato con la parallela e complementare, oltre che implicita, conclusione che chi prevale sugli altri è automaticamente il migliore e ha dunque diritto di vincere. Applicazione perfetta e oltremodo redditizia, come si è visto, del darwinismo sociale. Chi perde, o chi semplicemente non è all’altezza della competizione generale, non solo è sconfitto, ma “é necessario” e utile socialmente, che perda. In altri termini i più poveri si meritano la povertà in cui sono costretti a vivere.

È in questo modo che ogni idea di giustizia sociale è stata progressivamente cancellata. L’intera macchina comunicativa; quella educativa dei sistemi scolastici; quella delle televisioni pubbliche e private; ogni giorno che passa, sempre di più, dei social network: il combinato composto di tutti questi fattori, ha impresso nella coscienza collettiva delle folle stereotipi ormai indelebili, che consentono ai ricchi di insufflare nei più poveri, o comunque degli sfavoriti dalla sorte, le idee dei dominanti, anche quelle che producono la disuguaglianza sociale. L’operazione ha funzionato. La novità è che essa comincia a perdere colpi. Molti commentatori parlano ormai di “dissonanza cognitiva”: il fenomeno per cui le masse cominciano a percepire sempre più marcatamente che la “narrazione" cui sono sottoposte non corrisponde più alla loro percezione del reale. In termini politici ciò si manifesta come “caduta del consenso" di cui hanno goduto negli ultimi decenni i partiti tradizionali e, nello stesso tempo, di crollo del prestigio degli organi (il mainstream) che hanno veicolato la falsa narrazione della realtà. La crisi europea (ma il fenomeno è caratteristico di tutto l’occidente capitalistico dominato dai “mercati”) si spiega così. E prelude a una nuova fase in cui il controllo sociale diverrà più stretto e onnicomprensivo.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Fotolia/Marino Bocelli