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girl usa c flickr emerson utracik EPdi Giulietto Chiesa
Donald Trump, con la sua strepitosa e imprevista vittoria, ci ha mostrato l’esistenza di un’”America profonda” sconosciuta all’America stessa. E all’intero Occidente. Leggere e capire questa America sarà uno dei compiti immediati per il mondo intero.

Poiché molto di ciò che sta per accadere dipenderà dalla capacità di scandagliare la "cima abissale" — per usare un'espressione di Aleksandr Zinoviev — che si spalanca di fronte ai nostri occhi.

Bisognerà guardare in alto e in basso contemporaneamente, poiché nell'era dell'inganno universale, tutto ciò che appare ha la possibilità di essere falso. O, per meglio dire, vero e falso nello stesso tempo.

A cominciare dal risultato elettorale che ha sancito la vittoria di Trump. Vero o falso? Secondo fondate analisi, il trucco c'è stato. E a favore di Trump, che aveva minacciato fino all'ultimo di non riconoscere il risultato del voto, se il voto gli fosse stato sfavorevole. Lo sostiene il famoso giornalista investigativo Greg Palast, che, per la rivista Rolling Stones e la BBC ha rivelato di avere scoperto l'esistenza di una operazione — condotta in 28 Stati dell'Unione — per, letteralmente, cancellare centinaia di migliaia di votanti di pelle nera (elettori potenzialmente democratici), cioè impedire loro di partecipare all'elezione in quanto pregiudicati penalmente, o sotto inchiesta.

A capo dell'operazione ci sarebbe stato uno dei più potenti uomini di Trump, il segretario dello Stato del Texas, Kris Kobach. La cosa non deve destare eccessiva sorpresa se si tiene conto che questo identico schema fu adottato nel 2000, in Florida (allora governata da Jeb Bush) e altrove, per portare alla presidenza George Bush Junior.

Anche allora decine di migliaia di elettori neri furono cancellati dalle liste elettorali come criminali. E il risultato (con l'intervento finale della Corte Suprema) consentì a giovane Bush di prendere il potere per i successivi otto anni, e di portare in guerra l'America in Afghanistan e in Irak.

Dunque, se è vero quello che scrive Palast, le elezioni della prima nazione democratica del pianeta sono state nuovamente truccate. In varia forma, tra l'altro, se si tiene a mente l'improvvisa uscita, ad opera dell'FBI, di una nuova informata di oltre mezzo milione di e-mail, compromettenti per Hillary Clinton, a una settimana dal voto presidenziale. Come si vede la lotta è stata senza esclusione di colpi. E lo "sterminatore" Donald Trump non ha recitato la parte dell'angelo.

Ma anche la candidata sconfitta non è stata da meno. Non si sa se anche su scala nazionale. Certo, sulla scala minore delle primarie, Hillary ha fatto la stessa cosa per sconfiggere il suo antagonista democratico, Bernie Sanders. Questo è quanto emerge da uno studio condotto dall'Università di Stanford sulle modalità con cui la Clinton portò dalla sua parte l'apparato del Partito Democratico, con diversi gradi di pressione e di esplicita corruzione.

Se così stanno le cose, allora non è soltanto "l'America profonda" che dovrà essere scandagliata, ma in primo luogo lo saranno gli schieramenti all'interno dell'élite. Quelli che hanno sgomitato a più non posso per tenere, o procurarsi, i posti di comando. Certo Trump è stato capace di presentarsi come il portatore di un'idea che circolava largamente in un'America diseredata e delusa, frustrata e impoverita: quella di togliere di mezzo un'élite corrotta e avida. Ma è ancora tutto da dimostrare che il miliardario nuovo presidente sia un'alternativa reale all'élite washingtoniana. Oppure sia stata, anche la sua elezione, un'operazione di maquillage tendente ad assorbire una protesta popolare crescente delle classi povere bianche, con l'obiettivo di tenerla in frigorifero ancora per un po' di tempo.

Adesso tutti gli occhi sono punti sugli uomini che stanno emergendo come componenti della nuova squadra presidenziale. E le notizie non sono brillanti quanto alla chiarezza delle intenzioni e delle possibilità del vincitore. Scorrendo gli elenchi delle previsioni, alcune delle quali sono già quasi certe, si trovano nomi che non autorizzano alcun ottimismo.John Bolton, uno dei più feroci neocon, ex ambasciatore statunitense all'ONU, che sembra in grado di correre per la carica di Segretario di Stato, insieme a Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York durante l'attentato dell'11 settembre 2001. E la voce della nomina di Mike Pompeo alla testa della CIA: un altro neocon il cui ultimo Twit inneggia alla necessità di cancellare l'intera trattativa di Obama e degli europei con l'Iran.

E che dire delle due risoluzioni approvate dal Congresso americano nei giorni scorsi? La prima con la quasi unanimità (419 favorevoli e un solo contrario) che prolunga di dieci anni le sanzioni contro Teheran. La seconda che rinnova e aggrava le sanzioni contro la Siria e contro coloro che l'hanno aiutata nella lotta contro il terrorismo dello Stato islamico. Chiara indicazione di aperta ostilità contro la Russia di Putin. Per finire con l'accordo tra l'uscente Barack Obama e gli europei (inclusa la britannica May, insieme a Merkel, Hollande, Renzi e Rajoi) per prolungare le sanzioni contro la Russia. Tutti segnali che sembrano escludere ogni "reset" tra Occidente e Russia. Oppure sono i segni che la lotta interna agli USA e all'Occidente è tutt'altro che chiusa e che dobbiamo aspettarci rumorose novità da qui al 19 dicembre (giorno del pronunciamento dei "grandi elettori") e da qui al 20 gennaio (giorno dell'insediamento).

Una cosa è certa: l'Impero è nel pieno della sua crisi più drammatica. E non giova sperare che la risolva al suo interno, lasciando i suoi alleati al riparo dalle macerie. Qualcosa si sta rompendo e farà rumore.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © flickr.com/ Emerson Utracik (EP)