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huawei c imagoeconomicadi Giulietto Chiesa
L’arresto a Vancouver, su richiesta americana, di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del colosso Huawei Technologies, e figlia del fondatore del Gruppo Ren Zhengfei che possiede Huawei, segna una vera e propria scolta nelle relazioni internazionali.

Simbolica finché si vuole, ma carica di implicazioni pratiche e politiche, con uno sguardo ravvicinato su quelle belliche. La “motivazione” dell’arresto (avvenuto il primo dicembre scorso, ma reso noto solo l’altro ieri) è che la signora avrebbe violato le sanzioni americane imposte a tutte le imprese che commerciano con l’Iran.

Non si tratta di un arresto effettuato, per esempio, dall’Interpol, cioè da un’autorità internazionale riconosciuta, bensì dell’esecuzione di una richiesta del governo americano. Il che equivale esattamente a far sapere al mondo intero che, da questo momento, la legislazione americana si deve intendere estesa a tutto il pianeta, inclusa la Russia, la Cina, l’Iran, l’Africa, l’India ecc. Non si sa se le leggi di Washington siano state estese anche alla superficie di Marte, ma sembra di sì, visto che esistono già compagnie immobiliari americane che mettono in vendita appezzamenti di terreno sul pianeta rosso.

Ma si può ironizzare solo fino a un certo punto. All’inizio dell’estate di quest’anno, il Dipartimento di Giustizia americano rese nota una decisione presidenziale che estendeva a tutti i paesi le norme americane in materia di lotta alla corruzione. Dando mandato alle agenzie di sicurezza degli Stati Uniti di perseguire i potenziali imputati dovunque si trovassero, a prescindere dalla loro nazionalità e dall’incarico ricoperto. Dunque ciò che è accaduto a Vancouver ha tutta l’aria di essere un provvedimento rientrante in quelli previsti da quel presidential order.

Il problema è ora sul tappeto di tutte le cancellerie, include quelle degli alleati occidentali degli Stati Uniti. In effetti qualunque manager di una qualunque impresa europea che abbia avuto la sventura di commerciare con l’Iran potrebbe essere arrestato oggi stesso su indicazione di Washington. E non c’è dubbio che tutte le migliaia di manager cinesi che girano per il mondo facendo affari, ma che abbiano una casa madre implicata in traffici con Teheran, sono passibili di arresto in base allo stesso criterio.

Si tratta di un avvitamento di secondo grado di una situazione già illegale. Le sanzioni unilaterali, cioè decise da un paese contro un altro paese, quale che esso sia, sono infatti vietate dalla Carta delle Nazioni Unite in quanto mezzi di pressione che un paese mette in atto per imporre con la forza i propri interessi contro quelli un altro paese. Le Nazioni Unite considerano un tale comportamento come un vero e proprio atto di aggressione. Adesso — per meglio dire dal 1 dicembre 2018 — questa situazione illegale diventa legge internazionale valida per tutti. Sempre che, naturalmente, non vi sia una reazione internazionale di protesta.

Il Canada è un vicino molto condiscendente degli Stati Uniti, ma è impensabile che la Cina, o la Russia, o l’Iran accettino di eseguire sul proprio territorio gli ordini americani. E, presumibilmente, anche molti paesi, pur alleati degli Stati Uniti, dovranno reagire in qualche forma respingendo tali pretese.

Ma la questione — pur grave e senza precedenti — è molto più vasta che quella giurisdizionale. La cultura anglosassone è famosa per essere pragmatica. E questo caso nasconde implicazioni e interessi di vastissima portata immediata, economica e finanziaria. L’oggetto del contendere è il nuovo sistema di comunicazioni mobili 5G. La Cina, e Huawei in particolare, sta promuovendo il suo standard a livello mondiale, pestando i piedi a una iniziativa analoga americana, capitanata da Elon Musk (ma dietro alla quale ci sono gl’interessi dei giganti Internet di Silicon Valley, come pure dei possenti servizi segreti americani) che progetta, tra l’altro, il lancio di migliaia di satelliti di comunicazione che circonderanno il globo terraqueo.

Per giunta, secondo l’Amministrazione americana, le infrastrutture e i dispositivi di Huawei avrebbero potenzialità “spionistiche” globali, tali da poter competere con quelle di cui gli USA si sono già dotati e stanno ora portando a compimento. Dunque l’arresto della signora Meng Wanzhou è un avvertimento molto chiaro: vi fermeremo con ogni mezzo, visto che si tratta della sicurezza degli Stati Uniti d’America.

Ma non è chi non veda che, se passa questo principio, non ci sarà più nessun leader politico che potrà spostarsi fuori dai confini del proprio paese senza provare il brivido di venire arrestato una volta messo piede in uno dei territori dell’Impero d’Occidente.

Tratto da: stopeuro.news

Foto © Imagoeconomica

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