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manifestazione bandiera macedonia c reuters marko djuricadi Giulietto Chiesa
Domani in Macedonia (alias FYROM secondo la denominazione imposta a Skopje dall’Unione Europea) è previsto un voto “storico” che dovrebbe cambiare il nome della piccola repubblica balcanica, spezzone della antica ormai Jugoslavia
Il cambio del nome è la pre-condizione per permettere alla ormai "ex Macedonia" di entrare in Europa e, parallelamente divenire membro della Nato.
Infatti la Grecia, (membro della Nato), avrebbe votato sicuramente contro l'ingresso nelle due organizzazioni "atlantiche" di un paese che, secondo i criteri di Atene stava "usurpando" il nome "greco" di Alessandro il Macedone. Così, per qualche decennio, l'Unione Europea cercò di salvare capra e cavoli imponendo a Skopje il nome di FYROM, che in inglese suonava ridicolmente come "Former Yugoslav Republic of Macedonia".
Ma i tempi sono cambiati e la fretta spasmodica di estendere i confini della Nato su tutti i Balcani, ha spinto Washington e Bruxelles a cessare la commedia. Così il governo greco, in grave difficoltà interna, economica e sociale, è stato gratificato con qualche prebenda finanziaria e con la soddisfazione nazionalistica di umiliare il piccolo stato che si considera ancora "macedone". E tutti gli sforzi si sono concentrati sulla leadership macedone affinché accettasse il nuovo nome deciso a Bruxelles e concordato dietro le quinte con Atene: "Repubblica delle Macedonia del Nord".
Primo atto dell'operazione, in corso da due anni, è stato quello di far cadere il precedente governo, guidato dal moderato Nikola Gruevski, e sostituirlo con il più fedele premier socialdemocratico Zoran Zaev. Operazione portata a compimento senza troppi sforzi, grazie alla corruzione politica dilagante, e anche grazie al finanziamento e all'incoraggiamento della richieste di crescente autonomia della minoranza albanese (circa il 25% della popolazione).
Così si è giunti, il 30 settembre scorso a un referendum popolare per il cambio del nome. Che, sfortunatamente per i piani atlantici, si è trasformato in una clamorosa sconfitta. Solo il 33,75% dei votanti rispose affermativamente al cambio del nome, mentre il 63,09% degli elettori non si presentò neppure al voto. Secondo la Costituzione del paese, tutt'ora in vigore, un referendum che non raggiunga il quorum richiesto, non è valido e, dunque, la Commissione elettorale fu costretta a cancellarne il risultato.
Neppure un comunicato ufficiale della Nato e dell'Unione Europea fu sufficiente a smuovere la tetragona opinione della stragrande maggioranza dei macedoni. Neppure una visita a sorpresa, a Skopje, alla vigilia, del Segretario di Stato alla Difesa americana, generale James Mattis, riuscì a smuovere la situazione. Il clima attorno al referendum fu così arroventato che, al suo arrivo all'aeroporto di Skopje, solo l'ambasciatore americano si presentò ad accoglierlo ai piedi della scaletta dell'aereo. Un vero disastro.
Ma Bruxelles, insieme ai due ambasciatori americani, a Skopje (Jesse L. Baily), e ad Atene (Geoffrey R. Pyatt), che svolse uno importante ruolo nell'organizzazione del colpo di stato nazista di Kiev nel 2014, sono riusciti facilmente a convincere Zoran Zaev a tentare la rivincita. Come? Portando la decisione sul cambio di nome a livello parlamentare. Lo suggerì pubblicamente, del resto, lo stesso Segretario Generale della Nato, Iens Stoltenberg, la sera stessa del fiasco referendario del 30 settembre. Certo questo significa calpestare la Costituzione, ma Bruxelles lo ha fatto più volte quando decise di cancellare i referendum popolari francese, olandese e britannico che si erano pronunciati contro il Trattato di Lisbona. Dunque, se fu fatto su così grande scala europea, essi pensano che si possa ripetere in Macedonia.
Detto fatto, la questione è stata messa all'ordine del giorno del voto parlamentare. La data prescelta è quella del 16 ottobre, martedì prossimo. Il 16 ottobre è il giorno in cui una dozzina circa di parlamentari dell'opposizione nazionalistica potrebbero essere privati del mandato parlamentare da un tribunale macedone, sotto accusa di avere spiato le conversazioni degli avversari politici. In tal modo il partito di Zoran Zaev e i suoi alleati della minoranza albanese potrebbero forse ottenere il quorum dei 2/3 dei voti.
Nel frattempo, secondo quanto riferisce l'agenzia Mina, citando il noto giornalista e strenuo oppositore, Milenko Nedelkovski, un alto funzionario del Dipartimento di Stato USA, Mitko Burceski (denominato "agente Tesla") avrebbe aperto un ufficio in un lussuoso appartamento, divenuto nel corso di poche settimane il centro di un via vai di parlamentari, in coda per ricevere zainetti ripieni, ciascuno, di 2,5 milioni di dollari.
A Skopje, nell'imminenza del voto, circola questa battuta: "l'Ambasciata USA è divenuta ormai il massimo finanziatore dell'economia macedone". Secondo le male lingue (che sicuramente non hanno votato il 30 settembre) dall'ambasciata USA sarebbero usciti in 30 giorni oltre 45 milioni di dollari, mediante i quali sono stati letteralmente comprati giornalisti, giudici, parlamentari, attori, atleti. Questa volta dovrebbe funzionare.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Reuters/Marko Djurica