Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

palazzo chigi notturna c imagoeconomicadi Giulietto Chiesa
Sembra che il destino del governo e dell’opposizione in Italia sia una questione conviviale, di grandi cuochi, di pranzi e soprattutto di cene.

Per lo meno di questo discute tutto il gossip nazionale: talk show, radio, giornali non parlano che delle due cene che potrebbero (nel primo caso), o avrebbero potuto (nel secondo caso) decidere (forse) il destino del governo e dell'opposizione.

Ci riferiamo, come forse è noto, alla cena di Arcore tra Berlusconi, ospitante, e Salvini, ospitato (questa è la prima delle due cene, quella andata in porto) e quella a casa di Calenda, con invitati Renzi, Gentiloni, Minniti (e questa non c'è stata, è andata deserta, fallita, non si è mangiato, né bevuto). Anzi gli ospiti proprio non sono arrivati. O, forse, l'ospitante ha dato forfait e se n'è andato. O qualunque altra variante.

Sembra uno scherzo, ma c'è del vero. L'opposizione, rappresentata dal partito Democratico, visto che non ce n'è altra, non riesce, letteralmente, nemmeno a sedersi a tavola. Calenda tentava un compromesso prima di un Congresso che si annuncia come un massacro. E non si è nemmeno cominciato. Con dirigenti di primo piano che invitano all'autoscioglimento, al karakiri, al suicidio. E altri, come il governatore del Lazio, Zingaretti, che organizza (anche lui) una cena polemica in una trattoria romana, invitando tre o quattro esponenti della "società civile", per esprimere un dissenso radicale con la politica che ha portato il Partito Democratico a una sconfitta, probabilmente definitiva, lo scorso 4 marzo.

Però nessuno di costoro, sette mesi dopo quel disastro, che ha segnato la fine della seconda repubblica, è riuscito fino ad ora a fare una seria riflessione sulle cause. Mentre resta il fatto, evidente, che il nuovo governo - una specie di Frankestein, sorto dal nulla attraverso l'incontro "impossibile" tra due partiti, Lega di Salvini e 5Stelle di Di Maio, che hanno fatto la campagna elettorale combattendosi con tutti i mezzi - continua a godere, tra gli elettori, abbastanza stabilmente, del consenso aggregato del 60%, uno dei più alti dell'intera storia repubblicana.

E qui veniamo alla prima cena, da cui siamo partiti, quella di Arcore tra Berlusconi e Salvini. Cena che si può dire riuscita, ma in modo drammatico. Salvini l'ha affrontata da vincitore, asso pigliatutto potenziale, con il suo 32% di consensi zampillante dai sondaggi più recenti, mentre Berlusconi poteva mettere sul piatto delle bilancia uno striminzito 8% circa, e in ulteriore discesa. La situazione, per chi ha buona memoria, è l'esatto opposto di quel lontano incontro, vecchio di vent'anni, ancora ad Arcore, sempre a cena, in cui Berlusconi trionfatore incontrò l'allora leader della Lega Lombarda, Umberto Bossi. Che implorò un posto alla grande tavola della "Roma ladrona" e lo ottenne, per grazia del Cavaliere, che pur aveva bisogno del piccolo partito padano e, nelle intenzioni, secessionista.

Adesso, a parti invertite, Salvini si presenta sulla scena come il barbaro condottiero, capo dei Galli, Brenno che conquistò Roma nel IV secolo avanti Cristo, gettando poi sulla bilancia la sua spada: guai ai vinti! Intendendosi come vinti sia il Partito Democratico, sia Forza Italia. Uno nemico da sgominare, l'altro preda da mangiare. Infatti Silvio Berlusconi ha tutto da temere da un confronto elettorale imminente, sia esso elezioni anticipate, sia le europee del 2019. In entrambi i casi, sic stantibus rebus, Forza Italia rischia di essere, appunto, fagocitata quasi interamente dalla Lega.

Ecco, dunque, com'è andata la cena. Berlusconi come questuante già arresosi, che chiede a Salvini una fetta della grande torta pubblicitaria per le sue televisioni, offrendo umilmente su un piatto d'argento la nomina di Marcello Foa a direttore della RAI. Nomina che, senza i voti di Forza Italia nella Commissione di Vigilanza, non sarebbe possibile (perché occorrono i due terzi dei voti). Che Matteo Salvini insista su questa nomina e la consideri cruciale, lo dimostrano tutte le televisioni italiane, pubbliche e private, unanimi nell'attacco al governo Conte. Da sette mesi, con sonorità crescente, tutto il mainstream dichiara guerra, giorno dopo giorno, ai due partiti di governo, con particolare insistenza e virulenza proprio contro Salvini. Non è con la nomina di Marcello Foa che la situazione potrà essere rovesciata, ma i tre canali pubblici della RAI potrebbero essere costretti a correggere la loro linea, come minimo. Per esempio attraverso la nomina di una serie di direttori e conduttori dei programmi principali.

Ma qui si apre un altro problema per il governo. Fino a ieri Luigi Di Maio aveva fatto capire di non volersi interessare della presidenza della RAI, accontentandosi del posto già acquisito con la nomina dell'amministratore delegato Fabrizio Salini (proposto appunto dei 5Stelle). Ma il patto che si delinea tra Salvini e Berlusconi potrebbe significare che sarà impedito (con l'avallo di Salvini) un riequilibrio del sistema pubblicitario, cui invece puntano ii 5 Stelle e che imporrebbe un tetto alla posizione di predominio di Mediaset. L'annuncio era venuto, qualche giorno fa, dal sottosegretario con delega all'editoria, Vito Crimi, provocando acuti spasimi di terrore in sede Mediaset, cioè a casa Berlusconi. Luigi Di Maio ha subito messo uno stop, escludendo anche che Berlusconi possa "mettere le mani sulla Rai", o avere "reti e telegiornali". Cioè annunciando che potrebbe non appoggiare la nomina di Foa, facendo mancare i voti 5Stelle. Potrebbe essere uno di quei granelli - per altro molto importante - che fanno andare in panne tutta la macchina.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Imagoeconomica