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Documento del Consiglio Direttivo della Lista del Popolo per la Costituzione
Nel momento in cui si avvia la formazione del “governo dei vincitori”, Cinque Stelle-Lega, occorre fissare alcuni concetti nella grande cacofonia che ha accompagnato questi quasi tre mesi di agonia della Seconda Repubblica e di una faticosa nascita della Terza.
L’Italia, dopo il voto del 4 marzo ha affrontato una situazione senza precedenti nell’intero dopoguerra. Siamo di fronte a un passaggio inedito che segna la fine dell’élite politica (in tutte le sue componenti) che ha guidato fino a ieri il paese e la sua sostituzione con qualcosa di diverso, che ancora non ha assunto una forma ben definita, ma che è comunque “altra cosa” rispetto al passato. Questo “qualcosa” nasce da un voto di protesta, di rivolta: confuse entrambe, me legittime entrambe di fronte al malgoverno e alla truffa dei governanti finalmente uscenti. Una cosa è chiarissima: il voto del 4 marzo ha reso impossibile il “Renzusconi” ed è la cosa più positiva di tutte.
Le due forze politiche che daranno vita al governo risentono però entrambe di questa confusione e hanno mostrato entrambe serie debolezze, oltre che comprensibili inesperienze. Il loro “contratto”, pur aprendo spiragli verso una possibile nuova collocazione dell’Italia all’interno della crisi europea, non affronta esplicitamente i nodi cruciali di una politica di risanamento economico e sociale del paese. Alcuni di essi sono invero indicati: in particolare ciò concerne il punto 5 del programma, dove si indicano i compiti della banca pubblica per gli investimenti, con funzioni di credito alle imprese e di sviluppo delle partecipazioni statali in settori strategici; altrettanto si può dire del punto 8, quello relativo al debito, dove si prevede lo scorporo della spesa per investimenti pubblici dal computo del deficit (e quindi del debito pubblico), indicando l’intenzione di aprire un varco nella muraglia del Fiscal Compact, cioè del meccanismo più letale tra quelli che sono stati previsti dal Trattato di Lisbona. In questo avvicinando il programma allo spirito del titolo III della Costituzione. Inoltre, altro aspetto parzialmente positivo, è il richiamo agli obiettivi europei disattesi in tema di sviluppo economico e sociale. Elementi tutti, questi, che potrebbero aprire lo scontro sui Trattati Europei, che hanno stravolto il progetto dell’Unione Europea rispetto ai principi originari. Ma tutto ciò dipenderà dalla capacità della coalizione di metterli in opera, e da quella di resistere alle pressioni esterne che, indubbiamente, si faranno sentire.
Forti perplessità, anche tecniche, emergono sulla flat tax (punto 11) e sul meccanismo di assegnazione del reddito di cittadinanza (punto 19), che pure erano elementi centrali dei due programmi elettorali della coalizione. Ma, a riguardo del primo dei due problemi, non si può non notare che esso contrasta con gli articoli 53 e 3, comma 2, della Costituzione, violando il principio della tassazione progressiva e scavando nuove distanze tra i ricchi e i poveri. Queste linee di pensiero politico appaiono e sono molto pericolose per lo Stato democratico, così come lo è l’idea dell’introduzione del vincolo di mandato (che implica l’abrogazione degli artt. 67 e 49 della Costituzione). Altrettanto estranea alla Costituzione Repubblicana vigente (quella che il 60% degli italiani decise di mantenere nel referendum del 4 dicembre 2016) è l’idea della istituzione del Comitato di Riconciliazione. Esso priverebbe il Consiglio dei Ministri della titolarità esclusiva delle decisioni, trasferendo di fatto i suoi poteri (e quello del Presidente del Consiglio dei Ministri, che ne risulterebbe esautorato) al di fuori delle istituzioni e lo metterebbe in mano ai partiti. Di fatto una minaccia esplicita alla sovranità del popolo (articolo 1).
La politica della fedeltà atlantica non è minimamente rimessa in discussione, salvo la dichiarazione di ripulsa delle sanzioni e la generica manifestazione di volontà di una ripresa del dialogo con la Russia. Molto al di sotto, cioè, di una visione realistica della crisi mondiale in corso e dei crescenti pericoli di guerra, in gran parte creati dalla stessa Alleanza Atlantica verso cui si ribadisce la fedeltà.
Siamo dunque di fronte a una situazione di grande incertezza politica e istituzionale, sulla quale già gravano le pressioni esterne alle istituzioni e all’Italia. Pressioni di cui il Presidente della Repubblica si è già ripetutamente fatto interprete. Il rischio serio è che si esca dallo strettissimo sentiero i cui margini sono: da un lato la necessità di rispettare il voto popolare, minacciato da qualche diktat alla coalizione (che in questo momento meglio rappresenta il popolo) per impedirle di formare un governo che sia diverso da quello dettato da Bruxelles e dai “mercati”.  Dall’altro lato quello di un governo che non sia in grado di rispondere ai problemi reali del paese.
Occorre un’ampia vigilanza democratica e, in ogni caso, una nuova legge elettorale rigorosamente proporzionale. Se si dovesse tornare alle urne è indispensabile che il popolo possa esprimere la sua volontà senza essere rinchiuso nei vincoli di una classe dirigente che è stata espulsa dal potere e che non deve ritornare.

Tratto da: listadelpopolo.it

Foto © Imagoeconomica

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