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di Aaron Pettinari
Progetto di destabilizzazione dello Stato

Il collaboratore di giustizia sentito ieri al processo d'Appello. Acquisiti i verbali del pentito calabrese Antonino Fiume

"Nei mesi precedenti la scomparsa di Vincenzo Milazzo, da gennaio 1992 a qualche settimana prima del suo omicidio, lo stesso si incontrò per tre volte con dei soggetti appartenenti ai servizi segreti che dovevano mettere in atto una destabilizzazione dello Stato. Si parlava di bombe, di una guerra batteriologica". Con la testimonianza del collaboratore di giustizia Armando Palmeri, factotum del capomafia di Alcamo Vincenzo Milazzo (ammazzato per vendetta dai corleonesi nel luglio del 1992), ieri mattina è ripreso davanti al collegio della II sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo il processo d'Appello sulla trattativa Stato-Mafia. Di queste cose Palmeri aveva già riferito negli anni Novanta, all'inizio della propria collaborazione con la giustizia, ma solo di recente è stato richiamato dalle procure ad approfondire certi argomenti.
Così come aveva già fatto a Caltanissetta (processo Capaci bis e quello per le stragi del '92 contro Matteo Messina Denaro) e Reggio Calabria (processo 'Ndrangheta stragista), Palmeri ha ricostruito il clima che si respirava in quella prima stagione di attentati.

Gli incontri con gli 007
Seppur non formalmente affiliato Palmeri si era ritrovato a gestire la latitanza dello stesso Milazzo (così come quella di altri sodali del gruppo, Antonino Alcamo, Vito Diliberto e Simone Benenati), pian piano entrando in confidenza fino a condividere i segreti del boss a cui faceva da confidente, autista e braccio destro. "Più volte ho rifiutato di essere affiliato - ha raccontato - Ho conosciuto Calabrò e Ferro, mentre dell'area palermitana ho incontrato Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Gioè, Mario Santo Di Matteo. A loro venivo presentato come 'un amico nostro', che la dice lunga".
Più volte aveva accompagnato Milazzo ad appuntamenti, anche con politici ed imprenditori, ma quegli incontri nei primi mesi del 1992 segnarono profondamente la vita di entrambi.
"Lui sapeva che si sarebbe dovuto incontrare con uomini dei servizi, ma non sapeva cosa volessero esattamente - ha ricordato rispondendo alle domande del sostituto Pg Giuseppe Fici - Al primo incontro avrebbe voluto che partecipassi anche io, ma ho sempre preferito restare defilato. Ci trovavamo in contrada Conza, nel Comune di Castellammare del Golfo, in una villa di proprietà dell'imprenditore alcamese, Michele De Simone. Io restai un poco distante, con un binocolo che avevo. Li vidi arrivare. Erano due persone e ad accompagnarli c'era il dottore Baldassarre Lauria, primario di un reparto di chirurgia (negli anni successivi sarebbe diventato senatore di Forza Italia, ndr)". A distanza di una ventina di qualche settimana, vi sarebbe stato il secondo incontro in un'altra villa dell’imprenditore palermitano Manlio Vesco, qualche tempo dopo morto suicida in strane circostanze.
"Anche a questo incontro io ho assistito da lontano. C'era sempre il dottore Lauria, che veniva con una Volvo sportiva, e quei due soggetti. In quell'occasione pedinai la loro auto, un'utilitaria, fino a Palermo per cercare di risalire alla loro identità. Riuscii anche a prendere il numero di targa. Milazzo mi disse di portarlo a Sebastiano Di Benedetto, un macellaio di Castellammare che aveva qualche contatto con la motorizzazione. Scoprimmo che l'auto era intestata ad una società di noleggio a Palermo, ma che la stessa macchina in quel giorno non risultava essere stata noleggiata".
Nonostante il tempo trascorso Palmeri ricorda ancora oggi alcuni dettagli somatici dei due soggetti: "Nel 1998 mi mostrarono degli album ma non riconobbi nessuno. Uno era alto circa un metro e ottanta, l'altro più basso. Ho un'immagine nitida del primo che risale a oltre vent'anni fa. Aveva una giacca color nocciola. Ricordo che aveva una capigliatura abbastanza folta con i capelli leggermente tirati all'indietro, ma non era un capellone".

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Leoluca Bagarella © Letizia Battaglia


Milazzo e quella "strategia del 'Ni'"
Proseguendo nell'esame il teste ha anche ricordato i commenti che fece Milazzo dopo gli incontri: "Diceva sostanzialmente che questi erano matti, che erano loro la vera mafia. Mi disse che volevano che ci adoperassimo per la destabilizzazione dello Stato". Palmeri non sa dire se di quegli incontri fossero a conoscenza anche i vertici di Cosa nostra a Palermo. "Io credo che quella era una cosa molto riservata. Ricordo che Milazzo tremava. C'era un periodo di tensione molto forte. Lui mise in atto la 'strategia del Ni'. Da un lato si mostrava restio e contrario, dall'altro aveva comunque paura di poter essere eliminato se avesse detto no. Quindi preferì un'azione mista".
Come? Palmeri lo ha spiegato un attimo dopo: "Qualche tempo prima che morisse lo sentii ordinare a Gioacchino Calabrò di dire a sua volta a Giuseppe Ferro di mettere a disposizione quei 'parenti di lassù'. Solo tempo dopo appresi che effettivamente nelle stragi c'erano anche i parenti del Ferro che furono coinvolti".

Il terzo incontro
Quegli incontri con gli 007 si svilupparono nell'arco di alcuni mesi. "Il terzo si tenne nella villa il cui proprietario era il senatore Corrao. Quella volta accompagnai Milazzo fino alla porta della villa. Vidi altre macchine e me ne andai. Non c'era la possibilità di appostarsi e controllare. Lui mi riferì che parteciparono gli stessi soggetti e che furono toccati sempre gli argomenti sulla destabilizzazione. Addirittura il dottore Lauria proponeva una guerra batteriologica. Con che modalità non mi è dato saperlo. Una volta Milazzo mi disse che voleva avvelenare un acquedotto". Con la posta in gioco che diveniva sempre più alta Palmeri avrebbe detto più volte al capomafia di "cambiare aria", ma "lui cercava di barcamenarsi in quel mare impetuoso".

La morte di Milazzo ed Antonella Bonomo
Altro argomento affrontato durante l'esame è proprio l'omicidio del boss di Alcamo. Il collaboratore di giustizia ha ricordato che una settimana prima della scomparsa di Milazzo, si incontrò con Antonino Gioè all'ospedale civico di Palermo. "Gioacchino Calabrò aveva avuto un incidente e ci incontrammo là. Mi prese in disparte e mi disse di salutare il Milazzo, di portargli esplicitamente i suoi saluti. Quando lo dissi a Vincenzo sbiancò, rimase silenzioso. Capii il messaggio in codice. Se Gioè mandava saluti, erano saluti di morte e il significato era che non poteva fare più niente per lui". Ma perché Milazzo fu ucciso? Sulla sua morte, secondo il pentito alcamese, furono dette tante "corbellerie". "Poi seppi da Gioè che fu lui stesso a sparare per primo, per evitare che fosse strangolato. Mi disse che lo avevano dovuto fare. E lo stesso mi disse per Antonella Bonomo, la compagna. 'Lo abbiamo dovuto fare'".
Ma c'è un altro dettaglio che Palmeri ha raccontato alla Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino. "Due giorni dopo la sparizione della donna venne a trovarmi Giuseppe Montalbano dicendomi che l'avvocato Anna Benenati, sorella di Simone, mi stava cercando. Ci incontrammo e venne con delle persone che capii immediatamente essere delle forze dell'ordine. Lei vide il mio sussulto e mi disse di star tranquillo, che erano parenti della Bonomo".

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Gian Carlo Caselli © Imagoeconomica


La paura e le minacce
Dopo la morte di Milazzo, Palmeri si sentii più esposto ed evitò di andare ad altri incontri. "Un giorno mi arrivarono da parte di Gioè lo stesso tipo di saluti che mi fece dare a Milazzo. Capii che il pericolo era ancora più concreto". Dopo la morte di Gioè (suicida in carcere, in circostanze mai del tutto chiarite nell'estate del 1993), Palmeri sarebbe stato contattato da Agostino Lentini per l'esecuzione dell'attentato nei confronti del Procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli. Lui avrebbe dovuto pedinarlo. "Lentini, braccio destro di Gioacchino Calabrò, mi riferì che Brusca mi avrebbe chiesto di pedinarlo, ma non escludo che l'ordine e la richiesta, in realtà sia arrivata da Leoluca Bagarella. Io in quel momento mi sentii in dovere di contattare Caselli che a sua volta mi mise in contatto con la Dia perché come magistrato non poteva avere rapporti confidenziali". Rispondendo alle domande del Pg Sergio Barbiera sono emerse alcune intimidazioni subite durante la collaborazione.
"E' capitato nel 2001-2002 che, mentre ero in località protetta, mi incontrai casualmente in un bar con un altro pentito, tale Inzaghi, questi mi presentò una donna, come se fosse la sua ragazza. Ma capii che questa era una poliziotta. Voleva sapere se avevo contatti per avere della droga. Una situazione allucinante per screditare la mia figura e la mia correttezza". "Poi mi è capitato più di recente, nel carcere di Ferrara e a Secondigliano, prima che deponessi nei processi, di ricevere dei consigli in stile mafioso. Qualche sottoufficiale di polizia penitenziaria mi diceva 'chi ti ci porta a parlare di queste cose?', riferendosi proprio alle dichiarazioni di cui abbiamo parlato oggi". L'episodio sarebbe avvenuto tra il 2017 ed il 2018.

Quel no ad Andriotta per screditare Di Carlo ed Onorato
Un altro dettaglio riferito nel corso dell'udienza ha riguardato Francesco Andriotta, uno dei falsi pentiti della strage di via d'Amelio. Durante un periodo vissuto in comune detenzione gli avrebbe proposto di fare dichiarazioni false sui collaboratori di giustizia Francesco Di Carlo ed Onorato. "Mi disse che dovevamo delegittimarli, ma io lo stoppai subito. Anche di questo avvisai l'autorità giudiziaria". Palmeri ha anche raccontato di aver avuto per un certo periodo un telefono cellulare clonato, che lo stesso tipo di telefono avevano Milazzo e Calabrò, ma di non sapere indicare chi li avesse forniti. Infine ha aggiunto di aver partecipato ad un pranzo, sempre nella villa del costruttore De Simone, a cui avrebbero partecipato Brusca, Antonino Alcamo ed un italo-americano. "Questo soggetto diceva di occuparsi di borsa, e per due mesi all'anno veniva a fare le ferie in Italia. Ma era un pranzo normale. Non si parlò di nulla". Rispetto a quest'ultima dichiarazione, durante il dibattimento (che si è celebrato a porte chiuse per le restrizioni anti Covid-19), è intervenuto Giovanni Brusca con delle dichiarazioni spontanee: "E' la prima volta che sento la testimonianza diretta del collaboratore Palmeri. Non voglio entrare nel merito della sua credibilità e di quello che ha raccontato ma voglio intervenire per quello che ha detto per ciò che mi riguarda. Quel fatto che io avrei detto ad Agostino Lentini di chiamarlo: mai e poi mai ho fatto una cosa del genere, mai progettata e neanche chiamare Palmeri per farla", ha detto Brusca. E ha aggiunto: "Smentisco totalmente di avere mai incontrato un italo americano a Guidaloca né pranzato come ha detto Palmeri" e ha concluso: "Per quanto riguarda i telefonini clonati in uso a Milazzo venivano forniti da un soggetto già condannato che forniva armi e telefonini clonati". Oggi si sarebbe dovuta tenere anche la deposizione del collaboratore di giustizia calabrese Nino Fiume ma, in accordo con le parti, sono stati acquisiti i verbali del dibattimento in corso a Reggio Calabria in cui ha parlato degli incontri tra calabresi e siciliani ai tempi delle stragi. Così il processo è stato rinviato al 26 maggio quando, secondo programma, dovrebbero essere ascoltati i pentiti Cuzzola e Pace.

Foto di copertina © Emanuele Di Stefano

Dossier Processo Trattativa Stato-Mafia

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