Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Aaron Pettinari
La Procura generale deposita nuovi atti

Inviata alla Corte "lettera anonima" con "suggerimenti investigativi"

Totò Riina aveva o non aveva utilizzato un cellulare, nel 1993, durante la sua detenzione a Rebibbia? La Procura generale di Palermo, in questi mesi, ha provato a dare una risposta alla legittima domanda, sorta dopo la deposizione, lo scorso ottobre, dell'ex funzionario del Dap Andrea Calabria nel processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia. Calabria aveva riferito che al Dipartimento amministrazione penitenziaria "era giunta una segnalazione riservata del ministro dell'Interno con una nota del Capo della Polizia in cui si ipotizzava che Riina, con l'ausilio di alcuni agenti penitenziari, avesse a disposizione un telefonino per parlare con l'esterno. Di Maggio non c'era e quella pratica era giunta in segreteria da qualche giorno. Io ed il consigliere Bucalo, che era il mio superiore nell'ufficio, decidemmo di trasferire Riina al Carcere di Firenze Sollicciano per procedere con gli accertamenti. Poi Di Maggio chiamò Bucalo (ex dirigente dell'ufficio, ndr) per revocare il provvedimento e Riina rimase a Rebibbia. Magari aveva ricevuto delle informazioni rassicuranti sul punto ma questo è quello che accadde".
I sostituti Pg, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera hanno compiuto sul punto una serie di accertamenti volti proprio a verificare la circostanza ed oggi hanno messo a disposizione delle parti, chiedendo di sentire alcuni testi, alla Corte d'Assise d'Appello.
"Abbiamo chiesto chiarimenti al Dap - ha spiegato Fici - Quanto detto da Calabria è in parte confermato nel punto in cui il 30 luglio del 1993 vi è un trasferimento da Roma a Firenze Solliciano, poi sospeso il 3 agosto successivo dal direttore Bucalo. Ma la nota Sisde a cui fa riferimento Calabria è trasmessa in data 15 novembre 1993. In quella nota, che abbiamo recuperato si dice, tramite una fonte confidenziale, che Riina è stato visto in cella con un cellulare grazie alla collaborazione compiacente di quattro agenti di polizia penitenziaria, subito rimossi, senza che fosse fatta una segnalazione giudiziaria".

Giorni caldi
Come mai, dunque, a pochi giorni dalle stragi di Roma e Milano, fu disposto il trasferimento di Riina dal carcere della Capitale per poi essere revocato? Secondo quanto emerso dalle indagini della procura quei mesi sul fronte "detenzione Riina" erano stati particolarmente turbolenti.
Dai documenti provenienti dal Dap si evince che il 7 luglio 1993 la casa circondariale di Palermo segnala al Dap che Riina cesserà i suoi impegni processuali nel Capoluogo siciliano dal 20 luglio 1993 fino al 10 settembre di quell'anno. Di Maggio (vice capo dap, ndr), a sua volta chiede al proprio ufficio di pensar una posizione diversa per la detenzione di Riina rispetto a quella di Roma Rebibbia. L'ufficio si adopera, individua la struttura di Firenze Solliciano, nel reparto M con tanto di perlustrazioni effettuate tra il 26 ed il 27 luglio volte a verificare le condizioni per la vigilanza. "Due giorni dopo - ha evidenziato Fici - il 29 luglio, a Rebibbia viene trovato morto in carcere Antonino Gioè, e lo stesso giorno Calabria annota in un documento l'avvenuta riunione in cui si concorderà il trasferimento di Riina in quella struttura, tenuto conto che l'Asinara necessitava di lavori per oltre un mese". Il 3 agosto, però, quando Di Maggio torna dalle ferie il provvedimento viene prima sospeso e poi revocato sulla base di una relazione ed un appunto, il primo scritto dal luogotenente Fiumara (uomo delegato direttamente da Di Maggio) ed il secondo dal tenente colonnello Ragosa, in cui si esprimevano considerazioni di inopportunità al trasferimento a Firenze Solliciano. "Sarà singolare che proprio Ragosa, nel 1996, dirà che il reparto M offre ampie garanzie custodiali di sicurezza proprio per Riina - ha proseguito Fici nella sua esposizione - Ad agosto 1993 Calabria prenderà le distanze formalmente dalla decisione di non trasferire da Roma Riina. Una struttura, quella di Rebibbia, da dove poco tempo prima era fuggito un detenuto in elicottero e in cui era appena morto Antonino Gioè. C'era poi la singolarità che il boss corleonese era detenuto in una zona molto vicina al luogo dove, magistrati, avvocati e forze di polizia tenevano tutti gli incontri particolarmente delicati con i detenuti".

parisi vincenzo c imagoeconomica

Vincenzo Parisi, al centro, ai funerali del giudice Paolo Borsellino © Imagoeconomica


L'allarme di Parisi
Nonostante quelle criticità, però, Riina non si muoverà dalla Capitale. Neanche dopo l'allarme del Capo della Polizia Parisi che il 1 settembre 1993 scrisse al Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia e al Dap. Nel documento, letto dal sostituto Pg in aula, è scritto: "Corre l'obbligo di sottoporre all'attenzione di codesta onorevole amministrazione la Sistemazione in strutture carcerarie di massima sicurezza, Pianosa o l'Asinara, di uno degli esponenti maggiori del crimine mafioso, si sottolinea a riguardo che nell'ambito della criminalità organizzata tale provvedimento ciò inciderebbe significativamente sul carisma che lo stesso tuttora conserva. Diversamente il boss potrebbe apparire beneficiario di un trattamento di riguardo determinato proprio dalla sua posizione di prestigio nell'ambito malavitoso. D'altra parte la permanenza del Riina per lunghi periodi a Rebibbia e l'Ucciardone per i noti processi costituiscono di per sé una posizione di rischio di tentativi di evasione anche in forma clamorosa".
"Vi è una non comprensibile determinazione del Dap a mantenere Riina a Roma - ha proseguito Fici - Non risultano agli atti formali risposte o note trasmesse al capo della polizia". L'8 settembre anche la Commissione Parlamentare Antimafia chiederà spiegazioni sul perché Totò Riina, fino a quel momento, non era ancora stato collocato in carceri come Pianosa o l'Asinara. "Sulla questione abbiamo trovato un appunto a mano per fascicolo, scritto da Di Maggio, in cui scrive 'ho taciuto al Presidente della Commissione antimafia di soluzioni alternative perché ritenute a radice inadeguate e dal 20 settembre prossimo sarà impegnato a Palermo. E' un appunto anomalo, riservato alla conoscenza dello stesso ufficio, in cui si fotografa una pressione esterna perché finisse lo scandalo della presenza di Riina a Rebibbia".
Anche il ministro degli Interni Nicola Mancino "chiese lumi" al ministro alla Giustizia, Conso che a sua volta, tramite il capo di Gabinetto La Greca, si rivolgerà al Dap nella persona del funzionario Calabria. La risposta, però, arrivò tramite una nota del direttore del Dap Capriotti. "Una riposta che fa slalom tra inadempienze, omissioni e propositi di soluzione in cui si tace della vicenda di Firenze Solliciano. E si dà assicurazioni che si sarebbero dati da fare per individuare in l'Asinara come il carcere giusto per Riina".

Appunto Sisde
Ma è la vicenda dell'appunto Sisde, trasmesso da Parisi, a tingersi di giallo, oltre che per il suo contenuto, anche per la sua origine. E' sempre Fici a spiegare i fatti: "Quella nota, datata 24 ottobre 1993 e trasmessa il 12-15 novembre, riferisce che i primi di agosto Riina era stato visto telefonare servendosi di un apparecchio cellulare messo a disposizione da quattro agenti penitenziari che hanno ammesso di aver preso 40milioni a testa. Per non dare pubblicità alla vicenda gli stessi sono stati trasferiti senza fare la denuncia". "La stessa mattina Capriotti trasmetterà la nota al Procuratore della Repubblica di Roma - ha proseguito Fici - Ad occuparsi delle indagini sarà il dottor Mele che sequestrerà le immagini tra luglio ed agosto 1993 del carcere di Rebibbia e l'indagine arriverà ad un'archiviazione. Questa incredibile vicenda però mostra una serie di falsi, omissioni e manovre oscure. Venne individuato l'autore dell'appunto, Franco Battaglini. Che disse di averlo scritto. Non sappiamo se all'epoca gli fu mostrato l'appunto. Noi lo abbiamo interrogato e, pur ammettendo di essersi occupato di carcerario e di aver scritto quella notizia ha detto di non aver scritto lui quel documento che gli abbiamo mostrato in quanto erano presenti delle anomalie: l'assenza del timbro riservato ed il fatto che era datato. Per Battaglini potrebbe essere un appunto informale".

rebbibia carcere


Anche il capo centro del Sisde, Maurizio Navarra, sentito dalla Procura generale, avrebbe sollevato dubbi sul documento riferendo di non aver mai appreso una notizia simile e che "quell'appunto potrebbe essere stato scritto da chiunque". Ma come è possibile che la nota sia stata ritenuta fondata dal Capo della Polizia e trasmessa solo dopo 21 giorni? Perché, salvo la trasmissione all'autorità giudiziaria, nessuno ha accertato cosa era realmente avvenuto?
Per cercare di dare una risposta la Procura generale ha chiesto di sentire Battaglini e Navarra.
Ulteriori attività investigative hanno riguardato i riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Squillaci, un interrogatorio al pentito Armando Palmeri (di cui è stata chiesta l'audizione alla precedente udienza). Inoltre approfondimenti sono stati compiuti per ricostruire il periodo di detenzione carceraria all'Ucciardone dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. La moglie e la compagna dei due boss, in quel periodo, ebbero una gravidanza nonostante i due fossero sottoposti a regime detentivo 41 bis. Nelle intercettazioni in carcere con la "dama di compagnia" Umberto Adinolfi proprio Graviano aveva rivelato di aver incontrato e messo incinta la moglie proprio in quel periodo. Così sono stati ascoltati a sommaria informazione alcuni soggetti appartenenti al Gom, che al tempo si occupavano della vigilanza dei due padrini, e l'ex Scoop, Ragosa. Tuttavia, allo stato, non sono state presentate richieste alla Corte.

Le richieste delle difese
Anche le difese, in particolare quella Mori-De Donno, hanno presentato diverse richieste di acquisizioni documentali in particolare su Vito Ciancimino, gli interrogatori e le indagini sviluppate dopo aver preso le dichiarazioni a verbale.

L'anonimo
Ad inizio udienza il presidente della Corte d'Assise d'Appello, Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania), ha informato le parti che lo scorso 10 dicembre, presso la procura della Repubblica di Palermo, è giunta una missiva anonima, a lui stesso indirizzata, con all'interno articoli di giornale e suggerimenti di tipo investigativo su temi inerenti il processo. "La lettera appartiene ad un fascicolo separato e non sarà unito agli atti del dibattimento - ha detto il presidente - resta comunque a disposizione delle parti".
Oggi sono intervenuti anche i legali di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, imputato di calunnia e condannato in primo grado ad 8 anni. Roberto D'Agostino e Claudia La Barbera hanno annunciato che nella prossima udienza chiederanno la sentenza di non doversi procedere "per avvenuta prescrizione prima della sentenza di prima grado". Sempre nella prossima udienza, prevista il 10 febbraio, la Corte scioglierà le riserve sulle richieste avanzate oggi dalla procura generale e dalle difese.

ARTICOLI CORRELATI

Processo trattativa, l’ex Dap Calabria parla delle note sulle revoche del 41 bis

Stato-mafia, la Procura generale vuole sentire il pentito Palmeri. Parlò di Servizi e stragi

Stato-mafia, il pentito Squillaci: ''Dal carcere boss Mangano scriveva telegrammi a Berlusconi''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos