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di Aaron Pettinari
Tra interrogatori e mancate audizioni in antimafia entrambi chiamati a chiarire alcune vicende inerenti il Ros e Vito Ciancimino

Lo scorso luglio la Corte d'Assise d'appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino (Vittorio Anania giudice a latere), aveva deciso di sentire d'ufficio l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Luciano Violante, ed il magistrato, oggi in pensione, Gian Carlo Caselli per chiarire alcuni aspetti già emersi durante il dibattimento di primo grado ma meritevoli di approfondimento, così oggi si è tornati all'aula bunker dell'Ucciardone.
Violante, che ha anche consegnato una memoria scritta, così come aveva fatto in altre occasioni è tornato a parlare di quegli incontri avuti con l'allora colonnello Mario Mori, tra ottobre e novembre 1992, in cui quest'ultimo gli parlò di Vito Ciancimino e dell'opportunità che fosse sentito in Commissione antimafia.
In primo grado, dopo alcune dichiarazioni spontanee del militare, erano emersi dei punti di disaccordo nella ricostruzione e la deposizione odierna non ha chiarito tali aspetti né la collocazione temporale degli incontri.
"Mori sostiene di non avermi mai chiesto un colloquio riservato con Vito Ciancimino, ma io lo ricordo con precisione". "Il colonnello Mori mi disse di ascoltare riservatamente - ha detto Violante leggendo l'appunto-memoria di undici pagine - l'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, ma io per tre volte gli risposi che non facevo incontri riservati e che se voleva avrebbe potuto chiedere in forma ufficiale di essere sentito dalla Commissione Antimafia. Questo avvenne non prima del 22 ottobre e non il 20 ottobre 1992 nella seduta della Commissione, come invece sostiene Mori"
Secondo il generale, in un colloquio privato tra i due, l'allora presidente Violante gli avrebbe anche chiesto un parere sulla possibilità di procedere all'audizione dei collaboratori di giustizia. Ma sul punto Violante è stato ancora una volta categorico: "E' impossibile che il 20 ottobre ci sia stata una prima interlocuzione sull'audizione di Vito Ciancimino perché decidemmo di sentire i collaboratori in sede di commissione solo dopo che fu reso noto il provvedimento di Ordinanza a carico di presunti responsabili dell'omicidio Lima. Io non avevo motivo di chiedere a Mori cosa pensava dell'audizione dei pentiti. Era qualcosa priva di senso chiedergli questa cosa, come se fosse più o meno opportuno.
Caso mai c'era un problema che era politico e non tecnico. I pentiti per terrorismo d'altro canto erano stati in passato sentiti dalla Commissione antiterrorismo, non vedo perché non avremmo dovuto sentire noi i pentiti di mafia. Ripeto, sarebbe stato illogico da parte mia chiedere un parere al colonnello Mori".
Non solo. Violante oggi ha ribadito che all'epoca non voleva "dare a Mori un ruolo di tramite tra lui e la Commissione" e che stoppò subito dicendo che la richiesta doveva essere formale.
Così come evidenziato da Pellino in data 27 ottobre, in sede di ufficio di Presidenza si comunica che Vito Ciancimino aveva chiesto di essere sentito dalla Commissione. "Ricordo che la stampa, forse su Il Giorno, aveva pubblicato la lettera che Ciancimino aveva mandato direttamente a me e che poi trasmisi all'ufficio - ha detto in aula Violante - Ciancimino chiedeva di essere sentito senza condizioni. Sulla busta non c'è francobollo né timbro postale e quindi presumo che sia stata consegnata a mano in portineria. Se davvero Ciancimino avesse deciso di venire in Antimafia prima del 20 ottobre sarebbe singolare l'attesa di dieci giorni per l'invio della richiesta formale. Più credibile mi sembra che egli abbia comunicato al colonnello Mori tale decisione dopo il 22, data nella quale io non ne avevo parlato in Commissione perché non conoscevo questa intenzione, e prima del 27, data nella quale io, informato dal colonnello e ricevuta la lettera, informai a mia volta l'ufficio di presidenza. Così potrebbe spiegarsi la consegna alla Commissione della lettera di Ciancimino il 29 ottobre".
Tornando a parlare dei colloqui avuti con Mori, Violante ha ribadito che quando gli parlò di Ciancimino e di un possibile incontro "come cortesia", quella richiesta non gli sembrò "inerente ad una trattativa ma una normale negoziazione di polizia. Conoscendo Mori, non mi stupì che potesse prendere un'iniziativa del genere. Nel secondo incontro mi consegnò il libro di Ciancimino, Le Mafie, e quando nel terzo mi chiese un parere dissi che avevo trovato quel libro banale. Ancora in quella occasione ribadii che Ciancimino sarebbe stato sentito da tutta la Commissione, non in privato da me. Mori mi disse che di quei suoi contatti con Ciancimino non aveva avvertito l'autorità giudiziaria perché, disse, si trattava di una cosa o di una questione politica, non ricordo l'espressione esatta che utilizzò, e non voleva rivelare le sue fonti confidenziali. Ma intanto poi negherà di avermi fatto quella richiesta di sentirlo in maniera riservata".

La mancata audizione in Commissione di don Vito
Violante, che di certi fatti ha parlato solo nel 2009 dopo aver letto su "Il Corriere della Sera" le parole di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che in qualche maniera lo tirava in ballo, ha anche spiegato ai giudici i motivi per cui alla fine non fu mai calendarizzata un'audizione di Ciancimino senior: "Ciancimino avrebbe potuto avere un proprio specifico interesse a fornirci elementi devianti. A quel tempo la Commissione era ancora priva di un quadro dei rapporti mafia e politica che fosse attendibile e non condizionato dalle appartenenze di ciascuno di noi. Noi non volevamo - ha spiegato il testimone - che la Commissione potesse essere utilizzata da questo discutibile personaggio per lanciare messaggi che avrebbero potuto inquinare il nostro lavoro e anche le indagini giudiziarie".
Violante ha ricordato anche che all'epoca, per evitare che vi fossero sovrapposizioni con le eventuali attività investigative, si chiese un parere alla Procura di Palermo. Ciò sarebbe avvenuto in due momenti con Gian Carlo Caselli ed Antonio Ingroia.
"Mi fu detto in un primo momento di aspettare. Ciancimino intendeva fornire motivazioni politiche degli omicidi di mafia - ha raccontato l'onorevole -. Ma non volevamo offrire un palcoscenico a un personaggio discutibile. Comunque il 29 ottobre proposi alla Commissione di sentirlo, lui poi fu arrestato il 19 dicembre '92 e venne ascoltato dall'autorità giudiziaria per tutto il '93. C'era molta diffidenza da parte di molti colleghi a sentirlo, altri dell'opposizione avrebbero voluto solo per alimentare alcune polemiche politiche. C'era da capire se questa cosa avrebbe solo creato un momento di confusione o se sarebbe servita a qualcosa, tenendo conto che Ciancimino all'epoca non era il personaggio diventato poi, a partire dalla sua collaborazione. Le Camere vennero sciolte il 16 gennaio '94. Questa è la ragione della mancata convocazione di Vito Ciancimino".

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L'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino © Letizia Battaglia


Da mafia-appalti al 41 bis
Violante ha poi parlato di un incontro avuto nel 1991 con l'allora procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco che gli parlò della famosa inchiesta su mafia-appalti: "Giammanco mi chiese di incontrarci prima delle stragi. Più volte mi chiese di incontrami e cercava di illuminarmi sull'inconsistenza di quel rapporto. Anni dopo chiesi al generale Mori a che punto fossero le indagini e lui mi parlò della bontà dell'investigazione. Mi colpiva l'insistenza di Giammanco di definire quel rapporto privo di fondamento". Durante la deposizione l'ex Presidente della Camera ha anche ricordato l'incontro con Falcone, assieme al presidente della Commissione antimafia Chiaramonte, dopo il fallito attentato all'Addaura: "Eravamo molto amici io e Falcone, ricordo che lo vidi molto preoccupato come mai lo avevo visto prima, se non ricordo male disse che erano venuti due magistrati per discutere dalla Svizzera su questioni di riciclaggio. E all'ultimo momento avevano deciso di andare dove lui aveva la casa al mare. Insomma era qualcosa di non preventivato". Altro tema inserito nel capitolato di prova anche quello del 41 bis e la mancata proroga di oltre trecento decreti nel novembre 1993. Violante all'epoca scrisse all'allora ministro della Giustizia Conso, proprio per avere un report sui 41 bis, ma non ha saputo spiegare da chi apprese che non sarebbero stati rinnovati. "Non posso escludere di aver fatto delle richieste per avere un report sull'andamento di quel regime all'epoca al ministro Conso, col quale avevo un certo rapporto, ma non ci fu risposta e non ho mai sollevato formalmente in ambito politico la questione, non c'erano le condizioni per farlo. Non escludo che qualche giornalista che seguiva i lavori della Commissione antimafia possa avermi informato o che lo abbia fatto qualcuno dei magistrati. Certo è che quando ricevemmo le risposte ormai le Camere erano sciolte e già i membri pensavano ad altro". In primo grado Massimo Brutti, in passato componente laico del Csm ed anche della Commissione parlamentare antimafia, aveva escluso di aver saputo in Commissione dell'iniziativa di Violante. Ma in questo caso Violante non ricorda se ne ha parlato con lui o con qualche altro membro.
Ancora una volta è tornato a parlare della relazione della Dia del 10 agosto 1993 in cui si procedeva ad un’analisi delle stragi del 1993 e si scriveva che “un’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’Art. 41 bis” avrebbe potuto “rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Un documento eccezionale dove per la prima volta compare il termine “trattativa”, utilizzato per descrivere quello che stava accadendo nell'immediato post stragi.
Infine Violante ha anche raccontato l'interlocuzione che ebbe con il generale Delfino, che allora era al comando dei carabinieri in Piemonte: "Mi disse che durante una perquisizione in un'officina meccanica venne trovato un personaggio con una pistola e che questo disse che avrebbe potuto mettere i carabinieri sulle tracce di Riina, perché era stato il suo autista. Ed io gli dissi di chiamare Caselli, già nominato anche se non ancora insediato".
Il riferimento è all'arresto di Balduccio Di Maggio, a Borgomanero, l'8 gennaio del 1993.

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L'arresto di Riina
Proprio dal racconto dell'incontro con Delfino e Mori, datato 10 gennaio 1993, è iniziata la deposizione dell'ex Procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, anche lui richiamato a deporre dalla Corte dopo le dichiarazioni spontanee di Mori. "Rispetto alla ricostruzione che il generale Mori fa dell'incontro del 10 gennaio dico che vi sono una serie di cose che stridono e non tornano - ha detto rivolgendosi alla Corte - In quel giorno noi dovevamo vederci a pranzo ma quando Delfino mi chiama e mi parla di Di Maggio e del possibile arresto di Riina io lo feci chiamare. L'adrenalina era a mille, si trattava di arrestare Totò Riina, il capo dei capi, ci siamo concentrati spasmodicamente su quello, non c'è stato nessuno spazio per altri argomenti (come invece sostiene Mori che dice di aver riferito allora al magistrato dei rapporti precedenti avuti con Vito Ciancimino, ndr)". "Mori - ha continuato Caselli - dice di aver riferito a sommi capi di un tentativo di approccio confidenziale e su pregressi contatti dei carabinieri del Ros con Vito Ciancimino. Ma la sequenza logica di fatti ci dice che Ciancimino è arrestato a dicembre. E il 10 gennaio lui è in galera. Che senso ha parlarmi in quel momento, di un uomo che è in galera, di un tentativo di approccio confidenziale con Ciancimino? Il rapporto confidenziale ci può essere quando era libero. Quando era ormai stato associato alle patrie galere è cambiato tutto".
Nel corso della deposizione, ovviamente, non è mancato il riferimento all'arresto di Riina e alla mancata perquisizione del covo. "Quello fu un momento pessimo, brutto. - ha ricordato il magistrato - Noi volevamo perquisire subito. Il capitano del Ros De Caprio (il capitano Ultimo, ndr) no, io mi sono fidato, per molti era ancora un eroe, quello che aveva messo le manette a Riina. Ma questo ritardo era comunque subordinato alla sorveglianza, che invece fu interrotta subito senza che ci fu detto nulla. Nelle lettere Mori dirà 'abbiamo deciso senza avvertirvi perché questo rientra nella nostra autorità decisionale e operativà. Mi sono fidato di questa spiegazione. Io ero appena arrivato in una procura, quella di Palermo, ancora attraversata da scontri. Falcone, eroe da morto, da vivo era stato professionalmente perseguitato. E quella procura era uno sfascio da ricostruire. Questo momento terribile del covo che avrebbe potuto rovinare la procura fu paradossalmente uno stimolo per andare avanti, tutti insieme, senza alcun compartimento stagno".
Altro tema approfondito è quello degli interrogatori con Ciancimino senior, che nel frattempo aveva chiesto di parlare proprio con l'autorità giudiziaria. Da alcuni documenti oggi acquisiti è anche emerso che tra le richieste dello stesso Ciancimino vi era proprio la necessità che fossero presenti gli ufficiali del Ros Mori e De Donno e per questo motivo presenziarono agli interrogatori. "Ciancimino era viscido, sfuggente, arrogante - ha detto ancora Caselli -. Speravamo che collaborasse sugli appalti, da ex sindaco e assessore se avesse voluto ci sarebbe stato un oceano da percorrere con la nostra barchetta e guidati da lui. Un tema che non ha mai aperto. Di appalti non voleva parlare, di rapporti mafia-politica non voleva parlare, dopo un po' mi stufai. E si stufò anche lui, diventando sempre più insofferente e scostante. Ho lasciato soli a coltivare quelle 'speranzielle' di collaborazione Ingroia e Patronaggio". In quegli interrogatori, esaminati dalla Corte, don Vito fece riferimento al rapporto avviato con i carabinieri, anche in riferimento ad alcune mappe che sarebbero state consegnate al Ros, ma quegli aspetti non furono approfonditi all'epoca: "Tutto quello che lui ci ha detto è messo a verbale, fedelmente riportato, all'epoca non ancora sufficienti per parlare di trattativa. C'era anche Ingroia che ascoltava e verbalizzava, che non ha avuto il minimo dubbio, sarà proprio lui in seguito a far partire l'indagine sulla trattativa dopo aver acquisito altri e più corposi dettagli. Tutto quello che so è in quei verbali, che fanno fede, non posso ricordarmi altro dopo 30 anni. Ciancimino era in galera ormai. Onestamente e umilmente oggi non so cos'altro dire di richieste, mappe, autorizzazioni. Noi volevamo convincerlo a parlare di appalti e di rapporti tra mafia e politica, questa era la direzione. Con lui era parlare morto, tutto gli era dovuto. E poi non faceva che parlare del suo libro, per lui una sorta di Bibbia, voleva che tutti lo leggessero, che tutti lo conoscessero. E non solo i magistrati di Palermo, persino Antonio Di Pietro a Milano. Ripeto, il suo problema era solo sputare addosso a Falcone. Era ossessionato".
Ultimo tema affrontato è stato quello del mancato rinnovo dei 41 bis nel novembre del 1993 che vide la Procura di Palermo dare un parere negativo alla richiesta che fu presentata dal Dap a pochi giorni dalla scadenza dei decreti.
"Ero arrivato a Palermo da pochissimo - ha ricordato Caselli -. La nostra posizione come Procura e la mia persona come procuratore capo sul 41 bis è stata comunque di una nettezza tale da venire definiti dei forcaioli. Ricordo che fui informato telefonicamente di quella richiesta e la nostra risposta fu netta e negativa. Abbiamo sempre detto 'no, no e no' alla revoca. La Dda si riuniva periodicamente, magari si è affrontato il tema, ma noi abbiamo detto di no in toto ad allentamenti di quel regime, era una questione di principio".
Il processo è stato infine rinviato al prossimo 11 novembre quando a salire sul pretorio, da programma, dovrebbe essere l'ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Foto © Imagoeconomica

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